Luca Madonia, intervista con calma

6 Dicembre 2022 di Paolo Morati

LUCA MADONIA (© Giovanni Canitano)

“Sono andato per sottrazione, ho preso l’essenza delle canzoni. Rifacendo totalmente gli arrangiamenti. Volevo dare più spazio al canto e alla melodia. E sono molto contento del risultato.” Così Luca Madonia ci spiega il progetto del suo nuovo album, Stiamo tutti ben calmi, in cui ripercorre (e riscrive) la sua storia di 40 anni in musica, tra l’esperienza iniziale con i Denovo e quella da solista. E l’aggiunta di tre inediti, con la produzione di Denis Marino che collabora con lui da una decina d’anni.

Partiamo dal nuovo progetto… come è nato e perché questo titolo?
Il desiderio era di realizzare un disco che si ascoltasse in cuffia la notte e che desse nel contempo un nuovo vestito alle canzoni. Canzoni che, in generale, non invecchiano a differenza di suoni e arrangiamenti. Sono tutti brani della mia vita, che mi rappresentano, e che hanno segnato la mia carriera dagli anni ‘80 con i Denovo a quella più lunga da solista. Riletti così, in chiave più intima, più acustica ma anche più viscerale. Il titolo ha una doppia valenza. La prima è sociale, visto che viviamo in un mondo assolutamente isterico, violento, dove non si ascolta più prima di parlare, e c’è un individualismo esasperato. E poi calma con riferimento ai brani scelti, a livello umorale, ma riletti appunto con estrema calma. Che aiuta ad agire meglio e a contare fino a dieci prima di compiere ogni gesto quotidiano.

Parliamo dei tre inediti, in particolare di Non mi basta….
Non mi basta parla del male di vivere. Spesso capita a tutti di non ritrovarsi e di non essere soddisfatti in determinate situazioni. Però c’è la consapevolezza di essere artefici del nostro destino per cui potremmo noi determinare le scelte e farci piacere o meno la vita. Invece, o per masochismo o per egoismo, spesso riusciamo a rovinare tutto. A questo si sono aggiunti gli altri due inediti, La mia ombra e Mentre fuori si fa festa, anche se considero comunque ‘nuove’ anche le canzoni ‘vecchie’ rilette nel disco.

Facciamo un passo indietro. Come Luca Madonia ha iniziato a fare musica e quali sono stati i suoi riferimenti musicali?
Ho studiato pianoforte dagli 8 ai 12 anni innamorandomi nel contempo follemente dei Beatles, per me un altro pianeta rispetto a tutti gli altri. Tanto che convinsi mia madre a portarmi a Londra per le vacanze estive dove, per puro caso, in un giorno di pioggia vidi John Lennon e Yoko Ono uscire dagli Abbey Road Studios riuscendo a fotografarli. Poi continuai a suonare per hobby con altri amici, e fondare successivamente i Denovo. Nati insieme a mio fratello Gabriele che conosceva Toni Carbone, bassista di un’altra formazione, il quale mi presentò Mario Venuti, che suonava il sax. Ecco che tutti i pomeriggi ci riunivamo per provare e inventarci qualcosa di nuovo.

La nascita ufficiale dei Denovo avviene nel 1982…
Quell’anno partecipammo a un festival rock, ‘Il rock italiano mette i denti’, e, superate le selezioni regionali, arrivammo in finale a Bologna classificandoci secondi dopo i Litfiba, e in gara con altri gruppi come i Walhalla. Ricordo ancora quel giorno. Vincemmo una chitarra, faceva un caldo infernale e incontrammo il produttore Francesco Fracassi, grazie al quale iniziammo a esibirci tanto dal vivo. Nel 1984 uscì il Q Disc Niente insetti su Wilma per la Suono. Successivamente realizzammo con la Kindergarten Records altri due album (Unicanisai e Persuasione). Proprio nel 1987 partecipammo a Sanremo Rock, emozione enorme condividendo il palco con star come Paul Simon, Duran Duran, gli Eight Wonder di Patsy Kensit. Uno dei nostri brani, Non c’è nessuno, fece innamorare Celentano che ci chiamò a Fantastico e poi iniziammo anche a frequentare le trasmissioni di Videomusic. La Polygram ci mise sotto contratto e l’anno dopo partecipammo in gara al Festival di Sanremo con Ma che idea. Devo dire che l’esperienza non fu altrettanto divertente come quella dell’anno prima.

Voi univate più stili, quindi non solo rock ma anche funky e altri ancora…
Avevamo un nostro sound che metteva insieme i nostri gusti che erano gli XTC, i Talking Heads, ovviamente i miei preferiti Beatles, ma per Mario anche Elton John. E un gusto per la melodia vera e seria che poi avrebbe contribuito a creare il nostro sound. Certamente non eravamo una dark band.

A un certo punto nel 1991 arriva la strada solista, con il singolo Solo come pare a te (album Passioni e manie). Ricordi di quel periodo?
Volevo sperimentare nuovi suoni e andare oltre le logiche del gruppo. Fu il primo singolo della mia nuova vita, una sfida e una canzone sempre richiesta nei concerti. Un brano barocco, ridondante, pieno, con una linea melodica importante che ora ho rifatto in modo minimale con due chitarre. All’epoca abitavo a Milano, dove rimasi per tre anni, zona Corso Buenos Aires. C’erano gli studi frequentati da personaggi come Loredana Bertè, Mango, Patty Pravo, Roberto Vecchioni… Fui subito contattato da una major, la Wea, con cui feci due album: Passioni e manie e Bambolina, e poi un terzo invece con la RTI Ricordi, Moto Perpetuo. Di quel periodo milanese ricordo l’inverno freddo e i weekend in cui non c’era tanto da fare. Ci volevano mesi per fare un disco. Tornare in Sicilia non era possibile, troppo costoso, quando non esistevano i voli low cost. Sono stati comunque periodi bellissimi, dopodiché sono andato a Roma e successivamente tornato a Catania.

Parliamo di Moto Perpetuo…
È stato un disco con cui mi riappropriai del mio sound primario, richiamando Toni Carbone al basso e coinvolgendo anche Franco Battiato. Un disco che mi ridiede molta credibilità. Se infatti Passioni e manie mi era piaciuto tanto, con grandi orchestrazioni e musicisti, Bambolina non l’avevo amato tantissimo essendo nato dalle richieste della casa discografica di fare un lavoro più mainstream, cosa che si scontrava con il mio desiderio di indipendenza. Ecco che con Moto Perpetuo ritornai ai miei suoni.

Parliamo della Sicilia e in particolare del catanese. Qual è il segreto di questa zona che ha dato i natali a tanti musicisti?
Catania è stata sempre una città iperviva, con tanti stimoli diretti e indiretti. Ricordo che già negli anni di cui parliamo si suonavano diversi generi dal rock alla new wave, mentre il Teatro Stabile ospitava compagnie incredibili. E poi c’era l’ambiente, il mare ma anche il vulcano, il barocco meraviglioso, ancora oggi grande stimolo creativo e capace di ridare vita. È una terra che indubbiamente trasmette creatività e forza, è una sorta di Seattle del Sud. Pensiamo proprio a quando Battiato vi fece ritorno iniziando nel contempo la collaborazione con Manlio Sgalambro, dopo i 20 anni passati a Milano. Ed è in quel periodo che l’ho conosciuto.

Come è stato il primo vostro contatto?
Nel 1989, grazie a Bruno Tibaldi, discografico nostro amico, ci fu questo incontro. Franco decise di produrre l’album Venuti dalle madonie a cercar carbone, un gioco di parole sui nostri cognomi. Un gruppo tra l’altro di new wave laddove aveva cantato di non sopportare la new wave italiana… Da lì nacque un’amicizia meravigliosa che ci portò nel tempo a diverse situazioni artistiche insieme. Fino al Sanremo del 2011, quando decisi di andare in gara per chiudere un cerchio iniziato negli anni ‘80, e gli domandai di accompagnarmi nel brano L’alieno. Lui accettò ma mi chiese di presentarlo come suo ‘corista’ per non rubarmi la scena. Franco passò quei giorni a Bordighera, lontano dalla ‘follia’ del Festival, si vedeva solo quando arrivava per salire sul palco con le sue cuffie, seduto al pianoforte. Di lui mi resta un grande ricordo, la capacità di passare dall’apparente banalità alle vette più alte, dal cannolo siciliano a Proust, di comunicare e fare alta cultura in tre minuti, dove il vero pop è proprio riuscire a fare arrivare veri gioielli a tutti. Mi ha insegnato tantissimo, musicista sublime di un altro pianeta.

Progetti futuri?
Dopo la fase di promozione partiranno i concerti in trio acustico in piccoli club, stiamo ancora definendo le date. In generale è un periodo in cui l’ascolto è cambiato veramente tanto. Ricordo ad esempio che da ragazzo riproducevo i 33 giri a 45 giri per riuscire a cogliere e far emergere le linee di basso, qualcosa di ‘maniacale’ che la velocità odierna con cui oggi è possibile cambiare da una traccia all’altra non favorisce, limitando certe scoperte. A metà dicembre l’album sarà disponibile in CD su ordinazione mentre stiamo meditando anche di pubblicarlo in vinile in edizione limitata. Se inoltre la storia dei Denovo ormai è chiusa non mi dispiacerebbe organizzare un tour con Mario Venuti proponendo le rispettive canzoni da solisti ma anche quelle della band che hanno anche lasciato un segno in una generazione, ma non solo. In tal senso ho avuto testimonianze da ragazzi giovani ma anche da tanti colleghi, da Morgan a Francesco Bianconi ai Negramaro.

Proprio parlando di colleghi nel 2019 era uscito l’album di duetti La piramide…
Si è trattato di un progetto spinto dai miei figli musicisti che sono riusciti a vincere la mia pigrizia, ma che purtroppo per il Covid non sono riuscito a promuovere. Dieci canzoni che mi hanno permesso di entrare in contatto con tanti altri artisti, da Enrico Ruggeri a Patrizia Laquidara ad appunto Morgan. Un lavoro musicalmente diverso dall’ultimo, con grandi orchestrazioni e arrangiamenti alla Ennio Morricone, Stelvio Cipriani, ma anche dal precedente (Il tempo è dalla mia parte) certamente più elettronico. Se oggi coverizzandomi ho puntato sull’essenziale non è però detto che a 70 anni non decida di fondare un gruppo punk…

Chiudiamo con il presente. Oggi com’è la musica?
È cambiato il mondo. Oggi si registra a casa ed è tutto troppo veloce. Noi siamo nati, ventenni, quando nelle cantine andavamo alla ricerca di un suono e ci facevano le ossa sui palchi, strutturandoci con i concerti. Il nostro primo album, un QDisc, arrivò dopo due anni di attività e per noi fu un trofeo. Era un’epoca di ricerca di novità da parte di tutto il nuovo rock italiano del quale come Denovo facevamo parte. L’obiettivo era di ribaltare le cose, un momento di rottura. Ricordo i concerti degli inizi, con il passaparola. La prima volta dieci persone, poi cento, poi mille. Ed era francamente bellissimo. Adesso si fanno numeri pazzeschi su Internet, mi sembra però tutto un po’ più effimero. Ci sono sì quelli bravi, ma per alcuni bisogna capire cosa saranno tra 40 anni. Io faccio un mestiere che adoro, che mi è sempre piaciuto, sono gratificato da questo e già mi basta.

Share this article