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L’alibi dell’italiano bianco

Stefano Olivari 02/07/2012

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Per l’Italia dell’atletica il primo ‘Europeino’, nel senso di biennale, si è chiuso con un bilancio semidisastroso. Non tanto in assoluto, visto l’undicesimo posto nel medagliere, quanto in rapporto ai mezzi a disposizione (pozzi senza fondo come i corpi militari, soldi dello Stato attraverso l’ormai inutilissimo CONI) e alla popolazione, dove ormai tutte le razze hanno numeri importanti. In occasioni come queste si vede quanto è deleterio il giustificazionismo della parrocchietta, dopo anni in cui ci è stato spiegato che gli ‘altri’ vincono perché hanno i figli degli immigrati, le colonie, i passaporti taroccati, eccetera. Ecco, la varietà razziale adesso non manca nemmeno a noi, però ‘nostri’ marocchini vanno più piano di quelli francesi (e dei marocchini veri), mentre le fibre muscolari delle ‘nostre ‘ghanesi’ non sembrano più adatte alla velocità di quelle di un barlettano da dieci generazioni. Le medaglie sono arrivate dai bianchi Donato (a 35 anni, dopo una vita di infortuni, ha in canna l’oro olimpico così come uno stiramento salendo le scale), Meucci (regge sempre meglio i cambi di ritmo, ai Giochi nei 10mila può valere un ottavo posto dietro all’Africa, a Farah e a Galen Rupp) e Rosa (in una gara onestamente al ribasso, ma questa medaglia della vita se la merita tutta), così come bianchi sono gli allenatori e i dirigenti che hanno presentato a Helsinki questa squadra modesta ma che fa sempre ‘ben sperare per il futuro’. Più seri degli altri siamo nelle naturalizzazioni degli adulti, anche se certi divorzi lampo fanno pensare, ma il punto è che questo Europeo ha cominciato a togliere l’alibi razziale (e auto-razzistico) per i risultati della nostra atletica. Il mantra ‘mancano gli atleti, ma abbiamo i migliori tecnici del mondo’ è ormai offensivo per l’intelligenza anche dell’appassionato più superficiale, aspettiamo quindi la spending review anche per CONI e FIDAL.

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