La scoperta di Éric Zemmour

4 Novembre 2021 di Stefano Olivari

Chi sarà il prossimo presidente della Francia? Forse Macron, forse no, comunque si vota il 10 aprile 2022 con ballottaggio due settimane dopo. Di sicuro il candidato più discusso è Éric Zemmour, che fra le varie caratteristiche ha quella di non essersi mai finora candidato. E nemmeno è detto che lo faccia, anche se l’annuncio viene da molti dato per imminente…

Un sondaggio del 6 ottobre scorso ha mandato nel panico, per motivi diversi, sinistra e destra: il giornalista e scrittore, 63 anni, è infatti risultato secondo come presidente votabile, con il 17% delle preferenze, dietro a Macron ma davanti a Marine Le Pen. In altre parole, se tutto fosse vero al ballottaggio con Macron ci andrebbe lui. E in questo caso pensiamo che non ci sarebbe partita, a vantaggio del trasversale presidente in carica.

Che il sondaggio sia fondato lo dimostrano gli attacchi mediatici a Zemmour, che si definisce gollista ma che è accusato di tutto: anche di antisemitismo, lui ebreo. Fra l’altro non è nemmeno contrario all’immigrazione come il Salvini della situazione o la stessa Le Pen. Il suo problema con i media francesi ed ormai anche europei, visto che le elezioni sono vicine, è che si tratta dell’unico personaggio di rilievo, anche a destra, che parli apertamente di sostituzione etnica e soprattutto di un problema Islam che c’entra poco con l’immigrazione più o meno legale e molto con chi già risiede in Francia e magari è formalmente francese.

Il sottovalutato Indiscreto aveva scoperto Zemmour nel 2017 e ne aveva anche scritto dopo avergli fatto qualche domanda alla presentazione del suo interessante libro Un quinquennio per nulla (subito dopo essercelo fatto autografare, nella stessa sala, avevamo seguito anche una conferenza stampa della Boldrini per espiare il peccato), osservando la sua originalità. Senza alcun problema nei confronti dell’immigrazione, su cui fra l’altro Macron è molto più duro di lui, ma con molto pessimismo nei confronti dei francesi che non si sentono francesi e che al di là del discorso Islam sono una bomba sociale da 5 milioni di persone. La storia della Francia, fra colonialismo e tutto il resto, non è quella dell’Italia, ma a certi numeri anche da noi si potrebbe arrivare in un decennio.

La ricetta di Zemmour, che sia o no candidato presidente, è semplice e proprio per questo tocca nervi scoperti. Il multiculturalismo, senza un punto di vista ritenuto dominante dallo Stato, è un errore mortale, mentre l’unica strada percorribile è l’assimilazione. Chi arriva in un paese, o che già ci vive, deve aderire ad una sorta di cultura nazionale che non è una definizione vaga ma qualcosa di caratterizzante verso l’esterno. Chiunque, senza essere un politologo o uno storico, ha almeno una vaga idea di cosa sia la Francia e di cosa sia l’Arabia Saudita. Il multiculturalismo, anche con culture meno anti-occidentali rispetto all’Islam, produce ghetti, l’assimilazione si dà una possibilità di produrre cittadini con un sentire comune.

Tutto questo per spiegare perché Zemmour, a maggior ragione se scenderà in campo, diventerà il nuovo demonio per il giornalista collettivo. Più di Trump, Boris Johnson, Diaz Ayuso (nostra speranza del momento), Bolsonaro e Meloni messi insieme. Perché i nomi prima citati sono centrati sull’attualità e sul potere, su un generico liberalismo ma stando alla larga da dispute ideologiche di fondo, mentre lui parla apertamente di un futuro che prevede la nostra scomparsa come cultura. Avrà ragione il giochista Zemmour o sarà meglio seguire i concreti resultadisti?

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