La parte migliore del Paese

3 Ottobre 2013 di Stefano Olivari

Più divertente era stata la parte di serata in cui Enrico, lo chiamo così per non creare grane a uno che mi ha fatto guadagnare 40mila dollari per poche ore di conversazione, aveva parlato dei paninari a Roma e di tutte le informazioni che aveva raccolto in giro per l’Italia. Un’ora tutta sulla storia del paninarismo a Roma, più semplice e con meno implicazioni politiche rispetto a quella milanese. Il paninaro della Capitale, conosciuto anche come tozzo, abitava ai Parioli, al Flaminio o sull’Appia Antica. Si ritrovava con i suoi simili in piazza di Spagna, in via del Corso, a Santa Maria in Trastevere o a piazza Euclide. Negozi di riferimento, citando a memoria perché nemmeno per un attimo avevo preso appunti: Energie e Principal in via del Corso, El Charro in via Condotti e via San Giacomo, Naj-Oleari anche lei in via San Giacomo, Allergia in via Due Macelli. Per gli stivali Mister Boots, in piazza Trilussa a Trastevere. Ma anche The Fox & Company, via Cola di Rienzo. Fra le palestre una su tutte, stando al mio neo-amico: l’American Health Club a Villa Borghese. Come ritrovi-bar ovviamente il Mc Donald’s di piazza di Spagna (all’epoca si diceva fosse il più grande del mondo), il Burghy in piazza del Pantheon, Big-Burg in piazza Barberini, Cose fritte in via Ripetta. Locali: l’Histeria, ai Parioli, oppure l’Acropolis in piazza Euclide. E poi il Piper 80 in via Tagliamento, il Veleno in via Sardegna, l’Executive in via San Saba. I paninari romani ascoltavano Radio Dimensione Suono, almeno quanto noi a Milano eravamo legati a Deejay.

Considerando la casa già venduta, con ragione (un milione e duecentomila dollari, tutto intestato alla moglie), avevo provato a cambiare argomento e a buttare lì quei dieci aneddoti sui costumi di Manhattan che poi in Italia ci si rivende sempre bene fra il secondo e il dolce. Così, per coinvolgere entrambi i coniugi. Ma onestamente morivo dalla voglia di sentir parlare di paninari e lui di parlarne. Riuscì a contenersi un po’ solo durante lo sbranamento dell’ottimo hamburger di French Roast, servito da ragazzi con faccia da college, grazie a qualche generico discorso sul mercato immobiliare che sembrò svegliare un po’ anche la moglie. Cercai di spiegargli, dopo aver buttato lì l’espressione-manifesto di tutti i cialtroni del mondo (Lo dico contro i miei interessi), che la casa va comprata solo quando serve e come investimento ha un minimo senso solo in grandi città, dove il ricambio è frequente e c’è sempre qualcuno al quale puoi piazzare uno sgabuzzino. In Italia la bolla non era ancora scoppiata per la semplice ragione che banche e assicurazioni in stato comatoso non erano fallite, con conseguente immissione sul mercato di centinaia di migliaia di immobili. E in ogni caso la fase di stallo sarebbe durata anni, la classe media di cui avevamo parlato prima stava scomparendo. Banalità spesso impossibili da far entrare nella testa di chi è cresciuto con il mito della casa e accetta di strangolarsi ogni mese con il mutuo, per avere a settanta anni i suoi ottanta metri quadri di proprietà.

Mentre ci infilavamo in bocca una buonissima tarte tatin rivisitata (nel senso che era una apple pie), saltata solo dalla signora, Enrico tornò a parlare della sua rete di contatti in tutta Italia. L’embrione di un club a cui non avrei voluto iscrivermi, che secondo lui rappresentava però un progetto politico a suo modo rivoluzionario: la sinistra che riesce a sopravvivere tenendo i suoi elettori tradizionali e poi intercettando le classi di età prima ancora che le classi sociali. Era entusiasta di Matteo Renzi, secondo lui Bersani avrebbe dovuto usare il sindaco di Firenze come ariete generazionale e non trattarlo come un qualunque capo-corrente. Non avevo le sue certezze politiche, ma di sicuro sui paninari della Lombardia era molto più preparato di me.

“Milano ha troppe cose e tutto si mescola, ti assicuro che è nel resto della Lombardia che trovavi i paninari veri. Sei mai stato a Bergamo?”

“Be’, sì, certo”.

“Ma forse non sai o non ti ricordi che come locali paninari a Bergamo c’erano il Basnet di via Sant’Alessandro, il Burghy di largo Rezzana, l’Happy Days alla stazione, il Drive In di via Quarenghi. Le scuole giuste? Ho tutto in testa. Vittorio Emanuele, ragioneria. Lussana, scientifico. Sant’Alessandro, classico privato. Negozi: Central Park in via Malpensata, El Charro in via Alessandro, la tripletta Diogene, Bruschi e Leda 1 in via XX Settembre. Poi Flipperia in via Locatelli, Biffi in via Tiraboschi, Harrison in via Paglia. Ritrovi: Galleria XX Settembre, giardino San Marco. Posso dirti anche le palestre per paninari bergamaschi: il Club Francesco Conti di via Ambiveri e l’Athena. Discoteche: N.1 a Rovallo, Chewing-gum di Grumello sul Monte”.

Ecco, nonostante sia a mezz’ora di auto da Milano sarò stato a Bergamo due volte in vita mia. Entrambe per veder giocare Jura ai tempi della sua militanza nella Sav insieme a C.J. Kupec, dopo i due anni a Mestre. Presi quindi per buoni vie e riferimenti di Enrico. A chi importa del passato, poi? Non certo a chi è stato paninaro. Trovai anche il coraggio per una domanda sensata.

“Scusa, ma tutte queste cose su Bergamo come le sai?”

“Eh eh, non è un grande segreto. Hanno inventato Internet, lo sapevi? E in ogni città ho i miei informatori… Ti faccio una confessione: quasi tutti votano per noi”.

“Questa è meravigliosa. Vuoi farmi credere che gli ex paninari sono impazziti e diventati di sinistra?”

Rise benevolo e condiscendente, come tutti quelli che prevedono le domande. Il suo concetto di paninaro era molto light, nemmeno concepiva che qualcuno potesse essersi preso a botte con gente di sinistra.

“Certo che no, lo so benissimo che PdL e Lega hanno fra i loro votanti più ex paninari rispetto a noi. Ma l’individualismo di quei tempi è compatibile anche con un partito che vuole essere il partito della classe dirigente e di chi ha un lavoro intellettuale. L’operaio incazzato e vittima della delocalizzazione, il disoccupato senza speranze, il pensionato assediato dai campi Rom voteranno per la Lega, magari per qualche partitello di ultradestra o ultrasinistra, addirittura per Grillo se il suo movimento si presenterà a qualche elezione. Chi guarda solo la televisione, le vecchiette e i frustrati che sognano di essere come lui voteranno Berlusconi. Ma tutti gli altri, compresa quella parte di pensionati che non vuole perdere i suoi privilegi da metodo retributivo, devono avere noi come punto di riferimento. Il resto non esiste, partiti giustizialisti compresi: agli italiani importa solo del loro gruppetto di riferimento e dei loro familiari, la giustizia è solo un pretesto per ammazzare un nemico politico. Insomma, noi del PD siamo messi bene. Spero solo che Monti non faccia la cazzata di fondare un partito di centro, una volta assaporato il potere vero: farebbe del male a sè stesso ma anche a noi che gli abbiamo già preparato una bella pensione da presidente della Repubblica”.

Finalmente un discorso interessante, purtroppo interrotto dall’elencazione dei punti di riferimento paninari di mezza Lombardia. Danni collaterali di Facebook.

“Tornando a noi, a Mantova il ritrovo era in via Roma o da Simon Sport. Negozi di riferimento: Paciugo, Folli Follie ed Emporio Armani. A Cremona il ritrovo era nella galleria di corso Stradivari, con le scuole per paninari che erano poche. Bonifacio Bembo, artistico. Manin, classico. Maselli, scientifico”.

Di Brescia conosceva anche la sala giochi dell’epoca, l’Astra Game, la gelateria Pinco Pallino, i negozi di abbigliamento Adriano Z e Borghini, la palestra Europa Sporting Club. Chiaramente anche le discoteche: il City Club, oppure l’Altaluna di Rezzate. Con rassegnazione ascoltai i posti giusti della Como paninara, partendo dalle scuole: il linguistico Casnati, ma soprattutto il classico Volta. Bar giusti della Como d’epoca: l’American Roll di via Milano, il Golosone di via Luini e il Burghy dei Portici Plinio. Per l’aperitivo meglio il Bolla. Negozi giusti di Como: Epifani in via Cinque Giornate, Tassabit, Emporio Armani e Gigi Molteni in piazza Cavour, Azimut in via Indipendenza. Discoteche: il 2001 di Erba, soprattutto, ma anche l’Orly di San Fedele. Sperai si fosse dimenticato di Varese, invece c’era anche Varese. Ritrovo in piazza Monte Grappa. Negozi: Artioli ed El Charro di corso Matteotti, Clan di via San Martino, Skipper’s in galleria Manzoni. Locali: Snoopy di via Verdi, Paninoteca Bonetti in piazza Monte Grappa, Brasseria di via Cattani.

Non ho voglia di verificare se queste scuole e questi locali esistessero all’epoca o esistano ancora, mi sembra folle anche la sola idea di verificarlo. Saranno rimasti solo i nomi delle vie, ammesso che Enrico li avesse riportati in maniera corretta e io me li sia ricordati bene. Ero comunque ammaliato da tanta sincera passione, ben oltre i confini del fanatismo, per un gruppo di persone che tutto erano tranne che fanatiche. Enrico non era certo uno stupido, ma sbagliava prospettiva. Credeva che i paninari fossero come i ragazzi di altri movimenti. Cioè gente con propri valori, più o meno discutibili, nel medio periodo incanalabili in un progetto politico o gestibili da un leader. Ecco, Enrico avrà avuto ai suoi tempi il Moncler e adesso mi stava spiegando la Lombardia paninara, ma dei paninari non aveva capito l’anima nonostante fosse nato alla fine dei Sessanta. L’ultima cosa che il paninaro volesse fare era seguire un leader, uno che chiede il tuo consenso per poterti comandare. Per questo il movimento ha avuto una maggiore diffusione nel Nord Italia, dove la politica è considerata di solito una professione per falliti e l’unica figura veramente degna di rispetto è l’imprenditore. Feci l’errore di aprire il bar Nord-Sud buttando lì qualche battuta a carattere etnico, di quelle che si possono fare solo in privato. Un grande assist, quando la moglie mi guardò storto era ormai troppo tardi.

“Caro Andrea, Napoli ha avuto una sua importanza e lo sai bene. Prendi nota. Qui contava anche una sala biliardo, come ritrovo: il Play Room, in via Vittoria Colonna. Palestre: Dynamic di via Cappella Vecchia e Paradise in via Posillipo. Negozi: Cioccolata in piazza Dante, Halloween Store in via Ferrigni, Naj-Oleari in via Poerio, El Charro in via Calabritta. Ci si vedeva davanti al liceo Umberto, al bar Vittorio di via Petrarca, in piazza Fuga e in piazza Amedeo. Discoteche: Hemingway di via Tommaseo, My Way in via Cappella Vecchia, Accademia di via Manzoni. Napoli era in certi quartieri una città davvero molto paninara, pensa che lì era nato un club di supercazzari che se non ricordo male si chiamava Giovani meridionali amanti del fuoristrada. Un mio carissimo amico era fra i fondatori”.

Fra quel massacrante elenco e le due di notte passarono un’altra fetta di torta, che questa volta per disperazione prese anche la moglie, due caffè americani a testa e l’elenco paninaro relativo a quasi ogni capoluogo di provincia. Appresi che i paninari bolognesi si chiamavano zanari perché si riunivano al caffè Zanarini, ma non ero concentrato quando mi parlò delle scuole giuste. A Genova la città era divisa in due: paninari nel Levante e tarri nel Ponente, da Sampierdarena al centro storico. Il vero paninaro di Genova si trovava in piazza Leo, che stava per Leonardo da Vinci, ma c’erano isole anche in via XX Settembre, davanti a Burghy, oltre che in piazza Matteotti. Quartiere paninaro era Castelletto, con il linguistico delle paninare Grazia Deledda. Altre scuole di riferimento il privato classico e scientifico Champagnat e lo scientifico Leonardo Da Vinci. Discoteche: Vanilla ed Excalibur. Sul Veneto era preparato quasi come su Lombardia e Roma. A Padova ci si trovava davanti al negozio Ricordi. Negozi padovani: Metropolitan ed El Charro di via San Fermo, Immagine e Armani in galleria Borromeo. Discoteche: Angelo Rosa in strada Battaglia, Hippopotamus di Corso Milano, al limite il Mela Verde pur non essendo proprio paninaro (la considerazione era di Enrico, così come questo elenco che riporto in maniera incompleta e storpiando qualche nome). Mi inflisse anche Treviso, mentre la moglie stava giustamente pensando al cazzo del cameriere che aveva portato l’ultimo caffè: una specie di Leonardo Di Caprio giovane, a occhio uno che non aveva bisogno di lavorare da French Roast per pagare la retta alla NYU. Scuole di Treviso: liceo classico Canova e turistico Mazzotti. Ritrovi: Piazza dei Signori e Piazza Giustiniani. Bar: Opitergium, paninoteca Vittoria, Zodiaco. Palestre: l’Athletic Gym di via Salsa e il Gymnasium di via Santa Margherita. Discoteche: l’Eu, il Quark, il Carisma, il Finimondo di Motta di Livenza. Negozi: D’Avena, Rogers, Siletto. Poco preparato su Vicenza. Come scuole il liceo classico Quadri e lo scientifico Lioy, come ritrovo il Burghy di corso Palladio.

Cominciai a dare segni di impazienza quando, usando come pretesto una serata di karaoke in un locale romagnolo organizzata dal PD locale, mi parlò dei paninari di Rimini. Sala giochi Central, scuola Einstein, palestre Romeo Neri e Garden, ritrovo in piazza Tre Martiri, i bagni giusti erano il 14 e il 18 (nozione così assurda che mi è rimasta impressa). La disco era il Paradiso, ma anche il Cellophane non era male. Enrico aveva trovato anche storie paninare ambientate a San Benedetto del Tronto, la città marchigiana fece parte della serata con il Discobar Banzai e aneddoti che ho rimosso. Arrivati a Torino smisi di prendere appunti mentali, vuoto quasi totale su Firenze (almeno venti nomi di negozi, tutti dimenticati, più l’esaltazione di una paninoteca vicina al Ponte Vecchio), mentre non so perché riacquistai un po’ di attenzione su Viareggio. Dove le scuole giuste erano lo scientifico Mazzanti e il classico Cavani, ma non andava trascurato il linguistico Bargellini. Ritrovo in piazza Mazzini, sul lungomare. Bagni: Principe di Piemonte e Nettuno. Guardai nel vuoto mentre mi ammorbava con Palermo e Catania, dei ritrovi di Trento capii solo la parola Trento, dedicò belle ma dimenticabili parole a Trieste, si entusiasmò per Bolzano: ritrovo in piazza Walther davanti a McDonald’s, scuole il classico Carducci e lo scientifico Torricelli. Forse mi disse qualcosa anche su Parma, prima di complimentarsi.

“Non ho mai trovato nessuno così interessato all’argomento, anche se sul progetto del club ti sento scettico”.

“Ma no, è che queste operazioni nostalgia sono sempre difficili. Comunque la tua idea la vedo più adatta a un canale tematico, al limite a un giornale, che a un partito. E a dirla tutta è un progetto che guadagnerebbe qualche voto in più se fosse collocato a destra. Non offenderti, ma non ho mai conosciuto un paninaro di sinistra”.

Non lo convinsi. Con le elezioni politiche del febbraio 2013 Enrico è entrato alla Camera e in pubblico non ha mai tirato fuori l’idea del club generazionale.

Tornai a casa stordito. Un elenco senza senso, ricordi che valevano moltissimo per alcuni e zero per altri. A parte le scuole, quasi tutti negozi e locali falliti. E mi ero guardato bene dal nominare la parola Milano, per paura che potesse interrogarmi. Anche perché avrei dovuto dirgli che i paninari dal punto di vista ideologico sono stati soprattutto un fenomeno milanese, mentre il resto d’Italia li aveva shakerati con il resto dello spirito anni Ottanta. No, una storia dei paninari non si può scrivere. Ma, nel caso, sarebbe senz’altro più interessante di un club generazionale gestito in modo che i suoi voti vadano ai rappresentanti di quella che su Repubblica definirebbero La parte migliore del Paese. Bisogna cogliere il senso ed Enrico non lo aveva colto. Per lui i paninari erano una delle mille destre silenziose che aspettano solo di trovare qualcuno che le rappresenti o, peggio ancora, che spieghi loro che in fondo non sono di destra. Nessuno è davvero di destra, secondo persone entusiaste come Enrico.

(estratto del terzo capitolo del libro ‘L’importanza dei paninari’, Indiscreto 2013)

L’IMPORTANZA DEI PANINARI – Milano, anni Ottanta, di Stefano Olivari. In vendita a 12 euro su Amazon e in libreria. A 5,99 euro nella versione eBook per Amazon Kindle e tutti gli altri eReader, a partire dal Kobo di Mondadori. Disponibile anche per iPad, iPod Touch e iPhone.

RECENSIONI – Del libro hanno scritto Tommaso Labranca su Libero del 13 giugno, Paolo Bartezzaghi su La Gazzetta dello Sport del 22 giugno, il Giornale del 13 luglio e Antonio Bozzo sul Corriere della Sera del 29 settembre 2013. L’opera è stata recensita anche dal critico letterario Pietro Cheli nella sua rubrica Il Criticone. Articoli su L’importanza dei paninari sono apparsi anche sulla rivista culturale Ossobook, sul sito Ottanta e dintorni e su molti blog, fra cui quello di Franco Rossi. Uno speciale di mezz’ora è stato dedicato al libro dalla radio australiana SBS.

EDITORE – Indiscreto è una casa editrice indipendente, fondata nel 2000, che produce libri e contenuti per siti web. Amministrazione e redazione: Indiscreto Editore – Sala Stampa Nazionale – Via Cordusio 4 – 20123 Milano. Indirizzo e-mail: indiscretoeditore@yahoo.it

DISTRIBUTORE – Tutti i libri di Indiscreto sono distribuiti da Distribook srl, via M.F. Quintiliano 20, Milano. Telefono: 02.58012329, indirizzo e-mail distribook@gmail.com. A Distribook possono fare riferimento tutte le librerie di Lombardia e Canton Ticino, oltre a quelle di catena di tutta Italia. Gli altri punti vendita interessati possono contattare direttamente l’editore.

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