La generazione dei troppo bravi

7 Febbraio 2012 di Stefano Olivari

La scorsa settimana l’amministratore delegato di una grande azienda di betting ci ha spiegato che gli scommettitori italiani stanno diventando troppo bravi per rendere profittevole il mercato sportivo. Negli ultimi mesi in Italia il pay-out, cioè la porzione delle giocate che ritorna nelle tasche dei giocatori, riferito alle scommesse sportive ha superato per molti operatori il 90%. Cosa è successo?
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La generazione dei troppo bravi

10 Gennaio 2012 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari
La scorsa settimana l’amministratore delegato di una grande azienda ci ha ha sorpreso affermando che gli scommettitori italiani stanno diventando troppo bravi per rendere profittevole il mercato sportivo. Si trattava di un colloquio privato, per questo omettiamo il nome del bookmaker, ma soprattutto basato su cifre precise e non su sensazioni.
In sostanza negli ultimi mesi in Italia il pay-out, cioè la porzione delle giocate che ritorna nelle tasche dei giocatori, riferito alle scommesse sportive ha superato per molti operatori il 90%. Una percentuale incredibile, se raffrontata con quelle del recente passato ma anche con l’80% che tenendo conto di tasse e costi generali sarebbe più o meno il limite di una gestione profittevole. Cosa è quindi successo? Escludendo che tutti gli scommettitori abbiano un filo diretto con i calciatori (la scommessa sportiva in Italia significa quasi totalmente calcio) che taroccano le partite, l’analisi delle giocate degli iscritti al sito ha evidenziato l’aumento esponenziale di chi ragiona da… ragioniere. Il cosiddetto smart money, che è la norma nei mercati per così dire all’ingrosso (di solito non si gioca un milione a partita basandosi solo sul tifo), è diventato dominante anche su quello al dettaglio. E la massa perdente di chi gioca a prescindere pro o contro determinate squadre, per non parlare di quella perdentissima che si aggrappa ai moltiplicatori delle martingale, riesce ormai a regalare al banco solo un magro attivo. Interessante è anche la soglia oltre cui un bookmaker considera troppo bravo il suo cliente: duemila euro al mese di attivo medio, che fanno scattare l’allarme rosso. Non per le frodi ma per la troppa prontezza nell’andare a colpire le quote sbagliate con i banali ragionamenti che abbiamo spesso esposto in questa rubrica. Il paradosso è che in questo quadro non si arricchiscono né gli scommettitori, ai quali il conto può anche essere chiuso in maniera arbitraria, né i bookmaker. Che non a caso cercano di canalizzare i loro clienti verso altri giochi.

Twitter @StefanoOlivari

(pubblicato sul Giornale di martedì 10 gennaio 2012)

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