La Coppa Malù

19 Giugno 2009 di Stefano Olivari

1. Facendo come gli avevo insegnato avremmo vinto, però non l’hanno fatto e purtroppo hanno perso. Il pensiero scaricante (le responsabilità) di Lippi, nel solito momento post-partita di culto, è meno peggio di editoriali e prese di posizione del genere ‘non si può perdere con l’Egitto’ ma non è esattamente quello propagandato come conferenziere per manager di bocca buona: il gruppo, il gruppo, il gruppo (come Casini quando urlava ‘La famiglia, la famiglia, la famiglia’). In realtà anche ieri sera la squadra azzurra o giù di lì ha mostrato un ardore ed una tensione da campioni del mondo, senza metterci a pensare alla tripletta che Iaquinta avrebbe fatto comodamente se il dio del calcio fosse stato equidistante.

2. I discorsi sull’età, che sarebbero stati validi anche dopo una vittoria, comunque, non spiegano tutto: il solito Pirlo a scartamento ridotto e anche poco ispirato nelle punizioni (al di là del fatto che il 4-3-3 gli imponga di giocare in una posizione sacrificata a sinistra: infatti nel secondo tempo è andato meglio), Gattuso in declino e comunque ingiudicabile dopo sei mesi di stop, Zambrotta onesto e poco più, meglio di tutti un Cannavaro quasi sempre in sicurezza. Poi l’errore decisivo l’ha fatto il bambino (26 anni) De Rossi, perdendo Homos sul calcio d’angolo e venendo per questo criticato a freddo, senza nominarlo (è il gruppo), da Buffon. Niente di originale, così come le richieste del taumaturgico trequartista, il dieci che a noi del bar piace sempre: Totti che torna, Del Piero indispensabile, vuoi mettere la fantasia di Cassano, ci manca la fantasia di Baggio. In caso di eliminazione potremo campare per una settimana con queste cose.
3. Poi ci sono gli avversari. La definizione di ‘squadra molto organizzata’ non si nega a nessuno, di solito è sufficiente tenere lo zero a zero per 5 minuti ed avere giocatori meno conosciuti di Cristiano Ronaldo, ma a differenza di altre l’Egitto ha una qualità offensiva che con l’Italia si è vista poco ma che consente quasi sempre di non farsi aggredire. Senza fenomeni da creare in stile Flo-naldo 1998. Fra i campioni d’Africa a giocare all’estero sono solo l’ottimo El-Hadary (Sion), l’ordinato Shawky che nel Boro è poco più di una comparsa, oltre al famoso Zidan che da quattro anni si fa valere in Bundesliga. In attacco c’era Aboutrika, ma mancavano un grande talento come Amr Zaki (Wigan) ed un ex grande come Mido (in caduta libera, ma Shehata lo tiene in considerazione). Poi hanno vinto per un’incomprensione difensiva su calcio d’angolo e stiamo a sprecare tempo.
4. La parte di culto della serata televisiva è stata il collegamento Sky di Malù da un ritrovo egiziano di Torino: la sua passione per l’Africa tutta è commovente, ma fra Egitto e Congo ci sono le stesse affinità che esistono fra Bisceglie e Trondheim. Qualcuno prima o poi glielo farà notare, ma gli italiani sono brava gente (gli etiopi omaggiati dei gas mussoliniani avrebbero potuto eccepire: speriamo che qualcuno abbia registrato il bel documentario di Atlantide, trasmesso da La Sette in contemporanea con la partita) e abbozzano. Peggio di Malù è stato Carlo Tavecchio, vicepresidente della Figc in gita premio, che in italiano farraginoso come quello dell’inviato congolese (ma con l’aggravante di essere nato a Ponte Lambro) ha fatto un discorso del tipo ‘quello africano è il calcio del futuro’ concludendo con una pillola di saggezza: ”E’ un continente tutto da scoprire”. La fortuna dei vicepresidenti Figc da qui all’eternità è quella di avere avuto come predecessore Innocenzo Mazzini: peggio di lui nessuno mai.
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