Katy Perry e il senso del dovere

4 Aprile 2012 di Stefano Olivari

Chi non segue almeno per interposto ragazzo il mondo dei videogiochi non si può rendere conto di quale fenomeno sia The Sims, che dalla sua prima uscita (febbraio 2000) ha venduto oltre 150 milioni di pezzi. Tradotto in 20 lingue e disponibile in 60 diversi paesi, il gioco della Electronic Arts ideato da Will Wright (padre anche dello splendido Sim City, da consigliare agli aspiranti politici) è adesso arrivato alla sua terza versione e può essere considerato la serie di maggior successo nella storia dei videogiochi. A beneficio di chi è rimasto a Pong diciamo che in pratica si tratta di personaggi virtuali (i Sim, appunto), con loro tratti fisici e caratteriali, che vivono un vita completa come quelle di tutti noi, dalla nascita alla morte. Con gli stessi problemi (casa, lavoro, amicizie, eccetera) e la stessa tristezza di fondo. Onestamente il successo planetario del gioco ci risulta incomprensibile, visto che non esiste uno scopo (come nella vita vera, del resto), se non quello di andare avanti nella propria esistenza senza un vero perché. Fa un po’ spavento vedere bambini alle prese con problemi di carriera…

Pur non amandolo particolarmente, conosciamo suoi fanatici e intuiamo il motivo per cui vieni preso dentro al meccanismo: si tratta di una vera e propria seconda vita (nessuna parentela con la pompatissima e finita Second Life), dove proprio come nella prima l’incubo è rappresentato dalle relazioni. Decisive sia sul lavoro (il Sim può in teoria essere licenziato, l’articolo 18 è stato superato da un pezzo) che nel privato. Molto importanti sono oggetti e vestiti, per questo l’associazione (pay, ovviamente, gratis lavorano solo i giornalisti) a personaggi di tendenza ha un senso: l’ultimo della lista è Katy Perry, che in The Sims 3 Katy Perry Dolci sorprese (in vendita da giugno… ma chi inventa questi nomi? Qual è la società che ha condotto l’indagine di mercato?) proporrà una versione della sua Last Friday Night in Simlish, la neo-lingua di The Sim che secondo gli inventori del gioco è un misto di tagalog (si parla in parte delle Filippine), ucraino e navajo: una chiara presa in giro, insomma, magari qualcuno ci ha fatto anche sopra dei ragionamenti a suon di citazioni. E quindi? Non capiamo ma ci adeguiamo. Di positivo c’è che nel gioco, che porta a una responsabilizzazione e ad una ossessione per i doveri degna del Tamagotchi, si può morire.
Twitter @StefanoOlivari

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