Ipocriti in ginocchio

26 Settembre 2017 di Tani Rexho

Ogni volta che Trump apre la bocca pensiamo che abbia toccato il fondo. Invece la volta dopo il livello del fondo scende ulteriormente. La sparata contro i giocatori della NFL ci sembra poi addirittura da impeachment, perché tocca il primo emendamento, quella libertà di espressione che per gli americani è sacra. Per fortuna l’America e’ “The land of the free and the home of the brave”. Mica siamo in Cialtronia, insomma. La NFL tutta, giocatori, manager e proprietari di squadre hanno preso una dura posizione contro il presidente degli Stati Uniti, come ci mostrano le immagini dai campi prontamente mostrate da CNN, ESPN e da tutte le tivù del mondo (sfortunatamente qui da noi a Toronto non possiamo vedere il telegiornale nordcoreano, ma siamo sicuri che anche lì è stata la notizia del giorno, tra un lancio sopra il Giappone e l’altro).

Però se andiamo leggermente più indietro rispetto agli highlights del giorno prima ci viene in mente che Robert Kraft (il proprietario dei Patriots) and Co. solidali all’improvviso con i loro giocatori neri e soprattutto con Colin Kaepernick hanno raggiunto un livello di ipocrisia pari a quello di Kaepernick stesso e di molti giocatori che si sono inginocchiati in massa durante l’esecuzione dell’inno nazionale. I proprietari, dicevamo. Colin Kaepernick non è né Aaaron Rodgers e né Tom Brady, ma è certamente meglio di almeno la metà dei quarterback NFL. Eppure Kaepernick oggi è senza squadra. Per un motivo semplice: nessun dirigente/proprietario vuole nemmeno sentire il suo nome. Lo detestano per quello che fece l’anno scorso (il kneeling l’ha più o meno inventato lui) e in generale per il suo credo politico. Insomma, dentro di loro dirigenti e proprietary NFL la pensano esattamente come Trump: se così non fosse, almeno uno di loro avrebbe ingaggiato Kaepernick sfidando i propri tifosi in larga maggioranza (dal 75 all’80%) bianchi e che nella media, secondo il luogo comune, non hanno votato né per Hillary Clinton né per Obama.

Con il suo gesto l’anno scorso Kaepernick voleva denunciare la violenza della polizia contro i neri in America. La violenza. Un nozione della quale molti giocatori NFL hanno esperienza di prima mano visto che la percentuale degli arresti per crimini violenti (omicidi, assalti, violenza domestica, stupro, eccetera) tra i giocatori NFL è incredibilmente più alta di quella della popolazione maschile nella stessa fascia di età. Ecco, pensiamo umilmente che una società migliori non per decreto presidenziale. Una società è la somma delle famiglie che la compongono. Razzismo e violenza uno li incontra per la prima volta dentro la propria famiglia. Siamo sicuri che i giocatori NFL e Kaepernick stesso abbiano preso le distanze condannando pubblicamente e dentro gli spogliatoi la violenza dei loro colleghi? L’avrebbero forse fatto anche in Italia, in Albania, addirittura a Cialtronia. Nella NFL invece non è successo.

E cosa dire di Kaepernick stesso? In primis, è una vergogna che sia senza squadra. Doppiamente una vergogna, se si pensa al motivo per cui è disoccupato. Però. C’è un però ed è semplice. Kaepernick è ipocrita come gli altri, se non di più. Gridare al mondo con il suo gesto che è ora veramente di cambiare, e non usare la piu potente arma pacifica che uno ha, il voto per influenzare il cambiamento, è un atto incoherente, ad essere gentili. Kaepernick nemmeno si degnò di presentarsi alle urne il giorno che Trump, dopo le sue numerose dichiarazioni razziste durante la campagna elettorale, fu eletto POTUS. Perché quello che questi campioni del politicamente corretto dimenticano è che Trump è stato democraticamente eletto, con un sistema discutibile ma che è lo stesso che ha portato al potere i ‘santi’ Obama e Clinton. In altre parole, ingiustizia sociale e razzismo esistevano anche nel 2016.

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