Io c’ero davvero, Ormezzano può dirlo

13 Luglio 2021 di Stefano Olivari

Leggere Giampaolo Ormezzano è un dovere, per chiunque sia minimamente interessato allo sport. Per questo abbiamo divorato in meno di una notte il suo Io c’ero davvero, non il primo dei suoi libri sul giornalismo ma certo il più personale e partecipato. Non fosse altro che perché arriva dopo il suo ricovero per Covid, avvenuto nel momento peggiore della pandemia. A 86 anni Ormezzano ne è uscito abbastanza bene ed ha raccontato alla Ormezzano la sua esperienza ospedialiera, portando il lettore dentro la sua storia e le sue altre storie. Che per fortuna, scollinate le poche pagine dedicate al Covid, riguardano lo sport.

Un settore che nell’età dell’oro di Ormezzano, fino al 1979 a Tuttosport (anche come direttore) e poi inviato per La Stampa, aveva anche ad altissimo livello dimensioni tali da consentire la conoscenza diretta dei protagonisti a chiunque avesse voglia di lavorare. Situazione con pro e contro, come Ormezzano scrive chiaramente, visto che è difficile scrivere tutta la verità su un amico o su un conoscente, anche quando non hai da temere ritorsioni.

Io c’ero davvero – Reportage da due virus: il Covid e il giornalismo, edito da Minervaè comunque un titolo azzeccatissimo, perché risponde già da solo allo stupore nel leggere di Ormezzano-Zelig in qualsiasi grande evento di quasi mezzo secolo di storia, a stretto contatto con i protagonisti: con Muhammad Ali a Kinshasa, con Bearzot al Mondiale ’82, con Berruti dopo l’oro di Roma, con Enzo Ferrari a Maranello, eccetera. Cose da Gianni Minà, non a caso amico carissimo di Ormezzano, ma senza un taglio politico e senza trasformare chiunque in vittima del sistema.

Il limite dichiarato di questo tipo di giornalismo è che il senso critico trova limiti ben precisi, in certi casi evitando di parlare di personaggi negativi o di vicende controverse. Anche nel libro tutti, grandi e personaggi minori, sono genericamente ‘amici’ e la considerazione ovvia è che nessuno in realtà lo sia stato davvero. Con qualche eccezione, che si intuisce dal calore di un aggettivo o di un riferimento. La più volte raccontata amicizia con Boniperti, davvero profonda e cementata dalle differenze (Juventus contro Torino, destra contro sinistra, oculato benessere contro un tenore di vita che imponeva marchette), mai comunque si è tradotta in notizie.

Senza contare il senso di ciò che si racconta: quando Ormezzano si chiede se valga la pena di scrivere di un certo tema, subito arrivano le due terribili domande. Per chi? Per cosa? Insomma, un libro più sottile ed interessante di una raccolta di ricordi, scritto da un grande che non si è mai vergognato di fare il giornalista sportivo (pur essendo un fuoriclasse in quello che oggi si chiamerebbe crossover) e che apprezziamo anche per questo. In coda alcuni pezzi memorabili, come quello davvero sul campo scritto nel 1960 dall’ospedale di Tortona in cui morì Coppi.

Quale è stato il miglior Ormezzano? Il nostro preferito quello sul ciclismo, per la capacità di empatizzare con i corridori, ma gran parte della sua carriera è stata occupata anche dal calcio. Comunque fra Giochi Olimpici e tanto altro Ormezzano ha conservato una cultura multisportiva che fino a qualche anno fa era la norma, prima che trasformazioni tecnologiche ci trasformassero tutti in maniaci di quelle cose che ci interessano di più. In definitiva non potendo dire tutta la verità Ormezzano si è salvato con la mezza verità raccontata con ironia e lo schema ‘Andare-vedere-raccontare’ che oggi non sarebbe possibile nemmeno per un nuovo Ormezzano.

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