Inter-Suning, il supercolpo di Thohir e l’ultima sconfitta di Moratti

6 Giugno 2016 di Stefano Olivari

Seguendo in diretta su Inter Channel la presentazione dell’operazione Suning-Inter abbiamo provato una grandissima indifferenza, parente stretta della pace dei sensi. Se è vero che il bello del calcio finisce quando tutti i calciatori diventano più giovani di te (e a noi è successo quando Baggio si è ritirato, nel 2004), è altrettanto vero che la proprietà straniera di una squadra di calcio rende questa squadra un prodotto come tanti altri, magari buonissimo ma senza quel background (ci concediamo il termine, in mezzo a tanti Chief Revenue Officer e dintorni) necessario per comprendere perché vadano guardate con devozione assoluta partite orribili di uno sport spesso noioso e dagli esiti casuali. La Roma di Dino Viola e di Sensi lasciava indifferenti i non romani come questa di Pallotta? No, altrimenti non si parlerebbe ossessivamente di un panchinaro di quarant’anni. Se la Juventus fosse di Murdoch, operazione di cui ogni tanto parlano gli impiegati della City al momento del limocello, sarebbe così detestata dai non juventini? No, il miglior carburante per tifosi pro o contro è Andrea Agnelli, non certo Dybala e tanto meno Allegri. C’è bisogno di spiegare cosa sarebbe il Milan non diciamo senza Berlusconi, ma senza un proprietario che fin da bambino abbia interiorizzato e rielaborato tutta una storia e un insieme di ricordi, battute, simpatie, antipatie, non detti?

Con questo non vogliamo dire che la fine definitiva dell’era Moratti sia una tragedia, anzi pensiamo proprio il contrario, mentre tragedia è che nessun imprenditore o cordata italiani, per non dire milanesi, abbiano trovato le energie, prima ancora dei soldi, per acquistare l’Inter. Che adesso al 68,55 è di questo gruppo cinese, grande ma non grandissimo, e per la quota restante, destinata ad essere presto anch’essa venduta, di Thohir e di piccolissimi azionisti. Tutto compreso l’indonesiano alla fine potrebbe realizzare una plusvalenza di quasi 100 milioni di euro, dopo tre stagioni sportive mediocri e una ristrutturazione aziendale che avrebbe fatto anche l’ultimo dei ragionieri. Non occorreva un master ad Harvard per liberarsi degli amici degli amici degli amici e sfoltire una rosa piena di mezze figure con stipendi da mezzo Ibrahimovic… Insomma, l’ultimo insuccesso di Moratti è stato proprio Thohir: utilizzato per prendersi tre anni di tempo, con patti parasociali molto vincolanti, in attesa di decidere il da farsi, il nuovo socio gli ha anche dato la possibilità di riprendersi tutto lo scorso gennaio, ma il petroliere ha preso altro tempo aspettando l’arrivo di rinforzi (dal Kuwait che gli è caro e da una Cina di osservanza tronchettiana) ed alla fine ha venduto la sua quota residua. Non ammettendolo nemmeno con se stesso, fino davvero alla fine. Passi per le balle sui piani futuri rifilate allo sconcertato Mancini o ai giornalisti, noi compresi (alla storia del socio di minoranza-garante abbiamo anche onestamente creduto…), dai suoi intimi, che potevano far parte di una strategia (sabato scorso sul Giornale sua moglie Milly, intervistata da Marco Lombardo, addirittura ha sostenuto che il marito sarebbe adesso disponibile a fare da punto di riferimento per i cinesi in futuro…), ma il punto è che non c’era alcuna strategia. Soltanto negazione della realtà, materia da psicoanalisi più che da calciomercato.

Zhang Jindong sarà di sicuro più concreto di lui, magari farà tornare l’Inter ai livelli internazionali a cui Moratti l’aveva portata (va sempre ricordato) pochi anni fa, ma il punto è che tre anni fa coinvolgendo Thohir l’Inter era già diventata un’altra cosa e che soltanto la proverbiale indecisione (si sarà già pentito della vendita delle azioni residue?) di Moratti ha tirato in lungo una situazione assurda fin dalle premesse: se l’Inter aveva soltanto bisogno di un grande manager, non poteva essere assunto già vent’anni fa? Sarebbe costato meno di Colonnese o di Mazzarri. La maggioranza del pubblico però gradisce o non capisce, visto che la media spettatori è la più alta della serie A e qualche bollito di nome preso a luglio potrebbe anche alzarla. Ma che l’Inter, come la Roma e presto (forse) il Milan sia diventata un prodotto come tanti è un segnale di declino mostruoso.

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