Il tasto di Maurizio Mosca

6 Aprile 2010 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari
Solo le persone serie sanno ridere di se stesse oltre che dell’assurdità della vita. E nonostante la sua immagine pubblica, che poi sarebbe quella televisiva, Maurizio Mosca era una persona serissima.
Senza entrare in dettagli (sconosciuti ai più, anche a livello di sentito dire) del suo privato, che lo farebbero comunque apparire come un gigante in mezzo a professionisti del buonismo e delle buone azioni in favore di telecamera, per quelle decine di volte che lo abbiamo incrociato in studi di emittenti non proprio di rilevanza mondiale (lui non buttava via niente, mentre quello è sempre stato il nostro livello di inviti) possiamo raccontare alcune cose fuori dalla retorica del grande maestro che se ne è andato. Anche perchè Mosca dei sedicenti maestri era il primo a ridere.
a) Maurizio Mosca alzava il telefono e chiamava chiunque potesse dargli notizie di prima mano riguardanti l’argomento della trasmissione: la più strampalata delle superbombe di mercato nasceva come minimo dalla confidenza (magari volutamente infondata) di un una persona coinvolta nell’operazione: in un mondo dove si usa ‘riprendere’ (cioè copiare) quanto scritto da un collega non è una cosa da poco. La rubrica telefonica di Mosca, vista con i nostri occhi, era spaventosa per volume, qualità dei nomi e disordine.
b) Maurizio Mosca era puntualissimo, anzi di più. Strapagato da alcune emittenti, riservava la stessa serietà anche a quelle che non gli potevano offrire nulla né come soldi nè come visibilità. Pochi compagni di trasmissione sono riusciti ad arrivare prima di lui in uno studio. La puntualità non è una mania o una perversione, ma una forma di rispetto.
c) Maurizio Mosca era educato, scusate l’aggettivo un po’ antico. Non si permetteva mai una battuta con chi non avesse la posizione per poterla ricambiare.
d) Maurizio Mosca era cosciente di occuparsi di una materia che deve portare gioia nelle tristi vite di noi tutti. Per un giornalista sportivo è difficile accettare il ruolo dell’intrattenitore, solo i più intelligenti ce la fanno. Esprimeva solo una piccola percentuale del suo potenziale e delle sue conoscenze, secondo persone autorevoli si è buttato via. Se l’ha fatto, l’ha fatto coscientemente.
e) Maurizio Mosca aveva il senso della televisione e del ritmo come nessuno, dal niente sapeva animare una discussione basandosi proprio sul niente. Schiacciando un tasto, inventando in mezzo ai ribaditori dell’ovvio.
f) Maurizio Mosca aveva fatto il giornalista sul serio, quando il giornalismo esisteva ed aveva una funzione critica che oggi si è persa perchè pochi conoscono le materie di cui parlano meglio dei lettori. Ed era emerso (soprattutto occupandosi di boxe) nella Gazzetta dello Sport degli anni Sessanta e Settanta, che per motivi di età noi abbiamo preso per la coda ma apprezzato infinitamente. Poi si è adeguato ai tempi, diventando meno interessante (almeno per noi) ma molto più popolare. Di sicuro il degrado del giornalismo sportivo in Italia non va ascritto a chi lo ha reso popolare, ma a chi ha riempito le redazioni di parenti d’arte (di poca arte, quasi sempre), amanti, figli del proprio dentista, neolaureati dalla mentalità impiegatizia e persone erditate da fallimenti di giornali di cucito e wellness.
Non è abbastanza per farne un santino o un maestro di giornalismo da statua equestre (tipo quelle dedicate a uomini di potere alla Cannavò), ma è abbastanza per dire che è stato un piacere ascoltarlo. Il più improbabile dei pendolini, la più folle delle classifiche di Supergol (rivista memorabile, il moschismo messo su carta), la più trash delle puntate dell’Appello del Martedì, la più surreale delle risposte alle telefonate, il più spiazzante scenario di mercato: erano tutte cose fatte per noi, non per la parrocchietta di quelli che si leggono a vicenda.
stefano@indiscreto.it

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