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Calcio

Il miracolo del terreno agricolo

Stefano Olivari 29/09/2009

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1. Sui media ci si scanna per i motivi più vari, ma su alcuni temi esiste un pensiero unico a livelli Corea del Nord. L’incriticabilità del capo dello stato e della sua famiglia (anche quando la moglie omaggia Naomi Campbell di un ‘brutta negra’, secondo il racconto di Stefano Gabbana: su quanti giornali, di destra o sinistra, l’avete letta?), le nostre ‘eccellenze’ enogastronomiche (espressione che induce ad adorare cedrata Tassoni e Cipster), ma soprattutto l’indispensabilità degli stadi di proprietà. Quello di Firenze (con annessi e connessi) è alla base della penosa recita dei Della Valle, quelli di Milano sono speculazione pura nelle solite zone post-industriali, per quelli di Roma si sta tornando alla carica dopo una fase di stallo.
2. A Trigoria una Rosella Sensi priva di auricolare ha presentato il progetto per il ‘Franco Sensi’, 55mila spettatori e due anelli, che Alemanno si è spinto a definire ”un diritto”. Peccato che in tutta Europa, tolte poche realtà come la Bundesliga, il pubblico da stadio non sembri in rialzo. Facile l’esempio di Milan-Bari con undicimila paganti di cui diecimila merito del Bari, ma sabato abbiamo visto un Coventry-Boro per pochi intimi (ma non era nel Championship che si era mantenuta la passione?) ed un Wigan-Chelsea con larghissimi vuoti in tribuna: chi è passato per Wigan può escludere che ci fossero tante alternative nel settore che Galliani e i suoi consulenti (magari non Bronzetti) definirebbero ‘entertainment’. E dire che 4 anni fa il Coventry ha abbandonato il suo storico Highfield Road (di proprietà, senza i posti numerati faceva anche più di 50mila spettatori…) per l’impianto in cui gioca ora: che è della municipalità, 32mila e rotti di capienza e mai un esaurito…
3. Tornando all’ipotetico stadio Franco Sensi, due modeste considerazioni. La prima negativa: i tempi ottimistici di costruzione sono 24 mesi dalla data d’inizio dei lavori, quindi prima del campionato 2012-13 (il penultimo teorico di Totti) non potrà ovviamente produrre reddito il famoso impianto che vive sette giorni su sette, con i negozi, eccetera (anche se la vera impresa sarà riqualificare la zona scelta). Potrà per tre anni la Roma navigare a vista, fra le pressioni di Unicredit e botte di insider trading qua e là? La seconda positiva: sarebbe uno stadio per il calcio, senza barriere e con gli spettatori quasi in campo (la parte più vicina al della tribuna sarebbe a 9 metri) e non costretti ad usare il telescopio come all’Olimpico. Timori per l’ordine pubblico? Allora tanto varrebbe rimanere a casa con la Wii, se si parte dal presupposto che qualunque persona senza controllo possa tirare qualcosa in campo.
4. A Roma, così come per gli altri progetti ‘piccolo è bello’ propagandati spesso da chi vent’anni fa inneggiava al gigantismo, l’architrave di tutta l’operazione è la solita. Una squallida speculazione immobiliare, con la connivenza di qualche forza politica (vogliamo dire centro-destra?) e dei giornali finanziati dai costruttori e/o dai proprietari dei terreni. Il trucco è sempre lo stesso: terreni che per il piano regolatore sarebbero agricoli (così sono definiti quelli dell’area scelta), che diventano come per magia edificabili. Un ordine di grandezza? Il semplice terreno passando da agricolo a residenziale può decuplicare il suo valore, euro più euro meno. Costruendoci poi sopra effettivamente la leva andrebbe a livelli inimmaginabili. Anzi, immaginabili.

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