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Svegliarino

Il comodo Cassano

di Stefano Olivari

Pubblicato il 2008-02-05

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1. L’inutilità dell’Italia-Portogallo di Zurigo è argomento più scontato del coraggio di Donadoni nel lasciare a casa giocatori la cui convocazione gli sarebbe convenuta, togliendogli un po’ di pressione. Con Del Piero e Cassano, infatti, il c.t. meno difeso della storia azzurra avrebbe dato in pasto ai media due belle storie da libro dei temi: il vecchio campione che non molla ed il figliol prodigo. Fra le due esclusioni la più clamorosa, nonostante l’età, ci sembra quella dello juventino. Del Piero fa infatti parte anagraficamente e psicologicamente del blocco campione del mondo, quello dei nati dal 1973 al 1978: Buffon, Zambrotta, Cannavaro, Materazzi, Grosso, Camoranesi, Gattuso, Perrotta, Totti, Toni. Un quadriennio (Buffon e Gattuso sono sì del 1978, ma di gennaio) geneticamente fortunatissimo, che con l’aggiunta del ‘giovane’ Andrea Pirlo, nato nel 1979, ha prodotto gli undici titolari della finale di Berlino. Un gruppo di cui facevano parte Nesta, fattosi male con la Repubblica Ceca, Vieri infortunato a casa e Panucci in vacanza perché detestato speciale da Lippi dai tempi dell’aborto di difesa a tre nell’estate interista ’99. Un gruppo al quale Donadoni si è aggrappato e che con Donadoni è stato molto onesto, rimpiangendo Lippi molto meno di quanto stiano facendo certi dirigenti Figc: per questo lasciare a casa Del Piero, ultimamente vivo, e convocare un Palladino in leggero calo, è stata presa da qualcuno come una inutile esibizione di potere. Almeno così è stato riferito da Radio Hollywood: sono piccoli segnali, ma visto che le grandi competizioni vengono vinte anche sui nervi, sono segnali importanti. E qui Donadoni ha sbagliato, al di là del fatto che Del Piero possa rientrare nel giro con l’avvicinarsi dell’Europeo. Più comprensibile l’esclusione di Cassano, personaggio prima ancora che campione, con l’aggravante di poter essere utilizzato solo in un ruolo con poche responsabilità come quello di seconda punta. Negli ultimi due campionati e mezzo fra Roma, Real Madrid e Sampdoria ha segnato nove gol (quattro nelle ultime quattro partite giocate), uno ogni 185 minuti di impiego: in termini relativi non pochissimo, ma senza mai cambiare davvero atteggiamento. Se Bellucci prende e porta a casa, un campione del mondo magari è portato a rispondergli a tono: per definizione Cassano è un ‘grande talento da proteggere’, carne da editoriale per chi non guarda le partite ma sproloquia sulla ‘fantasia’, ma a 26 anni non lo ha ancora dimostrato. Sta tornando accettabile atleticamente, soprattutto negli spazi brevi, ma per entrare in un gruppo che non ti vuole bisogna essere indiscutibili. Ed i Fascetti in studio dovrebbero sapere che non è l’unico calciatore ad avere avuto un’infanzia difficile. Chiedano informazioni al debuttante Marco Borriello.

2. Se Donadoni metterà in pratica quello che ha in mente, il 9 giugno a Berna al debutto europeo contro l’Olanda la difesa azzurra sarà composta da tre trentacinquenni (Panucci, che in questo giro è stato lasciato a casa per i già ‘troppi’ romanisti, Cannavaro e Materazzi) ed un trentunne usurato come Zambrotta. Al di là del disfattismo non è però vero che dietro a questa generazione non ci sia niente: sono solo scelte, per non parlare di atti di fede. C’è invece davvero poco dietro a Buffon, il cui infortunio ha trasformato in titolare un Amelia ormai normale e fatto richiamare dalla Spagna un De Sanctis che la Nazionale vera l’ha toccata poche volte (due presenze, entrambe con Lippi), ma che Donadoni vede abbastanza bene. Poi a seconda della localizzazione geografica i giornali sostengono le candidature delle riserve, da Toldo a Curci: addirittura si è letto di Belardi…Per non parlare di Cudicini, Abbiati (che non farebbe mai il secondo o il terzo dietro ad Amelia), e via sparando. Un compromesso fra affidabilità e capacità di tirare fuori la parata-gol sarebbe senz’altro Matteo Sereni, mentre come terzo tanto vale puntare fin da subito su Viviano: per un portiere, tanto più non giocante, doppiare con Pechino non sarebbe un problema. Prima di mettere il disco ‘com’erano bravi i portieri di una volta’ teniamo però anche conto di quanto contino i palloni di oggi e la loro distribuzione interna del peso nei tiri centrali (o sono diventati tutti ciechi?), oltre che di chi gioca titolare nelle nazionali con aspirazioni di alzare un trofeo. A livello Buffon c’è solo Iker Casillas…

3. Gli spettacolari quarti di finale di Coppa d’Africa hanno riscattato qualche partita inguardabile dei gironi e portato in semifinale le quattro squadre su cui tutti avevano in fondo scommesso. In Ghana-Camerun magari conterà il giorno in meno di riposo ed il supplementare in più giocato dai Leoni, mentre nell’altra semifinale al di là del personale tifo anti-Egitto (speriamo che il sangue della incolpevole mucca sacrificata possa ritorcersi contro Hosny e compagni) una Costa d’Avorio media dovrebbe farcela. Finora la squadra allenata da Gerard Gili, in attesa del ritorno di Stielike dopo la tragedia del figlio, è quella che ha giocato meglio al di là del punteggio pieno (anche il Ghana le ha vinte tutte): paradossalmente la sua partita più complicata è stata quella stravinta nei quarti cinque a zero con la semi-rivelazione Guinea. Va detto che la squadra di Nouzaret ha fatto sopffrire tantissimo anche il Ghana nel girone: non è un caso che i padroni di casa abbiano risolto con Muntari al 90′ e gli Elefanti, in vantaggio con la connivenza del portiere della Guinea, abbiano dilagato solo nel finale con purissimo contropiede. Al di là dell’antipatia, L’Egitto campione in carica ha avuto un girone più difficile ed ha vinto la partitona con il Camerun. Buona la qualità media, sprazzi di controcalcio solo nell’ammorbidita Tunisia-Angola, ma inesistente l’interesse degli addetti ai lavori italiani: non certo per razzismo, forse nemmeno per la certezza di perdere per un mese e mezzo ogni due anni i nazionali, probabilmente perché la tendenza adesso è quella dell’africano fatto in casa. Figlio di immigrati o ingaggiato da ragazzino, per abituarlo fin da subito ad un calcio di mestiere: soprattutto nei ruoli in cui il mestiere è necessario. Un’occhiata alle rose Primavera e soprattutto Allievi e Giovanissimi delle società professionistiche vale più delle nostre considerazioni: la consigliamo anche a quelli che, come noi, pensano di salvarsi con gli italiani ‘di formazione’. Emblematico il caso di Hani Said, centrale difensivo che sta facendo benissimo in questo Egitto, arrivato in Italia giovane ma già con una sua identità. Non dalla strada ma dall’Al Ahly, cioé il club più famoso d’Africa, passò al Bari appena diciottenne con un ruolo indefinito: all’epoca più centrocampista che difensore. Quattro anni e rotti di promesse non mantenute, con una trascurabile parentesi al Bellinzona ed una buona stagione 2000-2001 in serie A (l’ultima in patria di Cassano: in quella squadra allenata da Fascetti, che incredibilmente retrocesse, c’era anche Simone Perrotta…), poi dopo la squalifica di sei mesi per doping (test proprio in Coppa d’Africa, nel 2002) il passaggio a Messina, Fiorentina e Pistoiese. Sempre più ai margini, fino alla rinascita nel Mons ed il ritorno in patria, nell’Ismaily. Curiosamente per le regole Uefa sarebbe un ‘italiano’ da poter mettere nei 25 (occorrono 3 anni di permanenza, compresi fra i 15 ed i 21). Ma con tutto il rispetto ed il politicamente corretto del mondo, se una delle rivelazioni della Coppa d’Africa è lui…

4. In passato Franco Sensi aveva sacrificato parte del patrimonio e dell’azienda di famiglia (la Italpetroli) per tamponare le falle nel bilancio della Roma, sia pure con l’aiuto di acrobazie finanziarie per tutti (plusvalenze) e per pochi (credito geronziano), oltre che passando per magheggi di provincia come quelli delle finanziarie marchigiane con amministratori a rotazione. In un mondo di cialtroni e di soldi virtuali chi per seguire la sua passione ha messo nel sistema soldi e passioni veri, come appunto Sensi, va comunque rispettato. Adesso però la storia di famiglia (il padre Silvio costruì il
campo di Testaccio, mentre Franco già nel 1958 divenne vicepresidente della Roma, prima uscire e rientrare negli anni Novanta dalla porta principale) sembra arrivata al capolinea, perchè ad essere in difficoltà è l’azienda vera e propria: fra gli asset monetizzabili la Roma sembra essere il principale e questo significa che c’è davvero da preoccuparsi. E quindi? Quindi sta per ripartire la giostra delle voci e delle indiscrezioni: dalle solite cordate da circolo Canottieri ai fondi americani, passando per russi alla Ramenko che ormai nel fantacalciomercato sono figure insostituibili. Essendoci questa volta la necessità anche personale di vendere, forse però i possibili acquirenti risultano automaticamente più credibili di quelli degli anni scorsi. Ma nel mondo politico-bancario romano dicono che Sensi avrebbe un ultimo sogno, per risollevare l’azienda e non lasciare la società a corvi vecchi e nuovi: creare nei fatti il primo grande club italiano basato sull’azionariato popolare. Con poche regole: titoli e voti solo alle persone fisiche, aggirando i trucchi dei rastrellatori con una sorta di ‘certificato di tifo’ (non la Galliani card, peraltro progetto interessante, ma un titolo d’acquisto di abbonamenti del recente passato), cariche sociali elettive. Forse solo a Roma, con un un tifo numeroso in termini assoluti ma anche distribuito in un’area geografica limitata che quindi faccia scattare meccanismi paraleghisti, un progetto del genere potrebbe funzionare: se davvero Sensi riuscirà a mettere in pratica questa idea lascerà una grande eredità allo sport italiano. Certo, i cinquantamila soci devono sapere che ogni anno ci sarà da ricapitalizzare…

5. Con un anno di ritardo, perché giustamente un ciclo doveva avere il suo coronamento con il Mondiale per club, Carlo Ancelotti lascerà il Milan. Secondo il Corsport il primo dei suoi antipatizzanti, Adriano Galliani, ha lasciato filtrare un ‘prenderemo Lippi’ in contesti semiprivati. Se non è vera è verosimile, perchè il c.t campione del mondo a Berlusconi è sempre piaciuto: tanto è vero che se non fosse stato per le note vicende al Milan sarebbe arrivato anche il suo direttore generale di fiducia. Oggi opinionista un po’ imbolsito, incalzato in alcuni casi da giornalisti che chiedevano raccomandazioni per l’assunzione dei figli, ma che in quel tipo di progetto (Milan più italiano e più ancorato al territorio, in grado di camminare da solo senza metterci soldi ogni anno) ci sarebbe stato benissimo. Che vinca o no la Champions (a maggior ragione nel primo caso) un ciclo è concluso, al di là di un contratto fino al 2010 che gli garantisce giusto un paracadute nel caso non maturi la panchina azzurra: il ritiro già annunciato di Maldini è più di un segnale, visto che uno della sua classe giocando sulla mattonella avrebbe potuto resistere in dieci grandi partite all’anno ancora per un paio di stagioni. Con un Berlusconi presente e catalizzatore d’attenzioni si sarebbe potuto anche lanciare Costacurta, prima ancora di Tassotti, con un Berlusconi quasi certo presidente del Consiglio occorre uno indiscutibile come Lippi. Zambrotta potrebbe essere un indizio ulteriore, ma va detto che Galliani e Braida (per non dire Bronzetti) lo vorrebbero a prescindere dal nome dell’allenatore. Meglio se Lippi, comunque. Uno sul quale poter scaricare eventuali fallimenti in sede di ricostruzione. Alla fine la principale funzione dell’allenatore rimane questa…

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