I tre anni di Ben Sahar, di Alec Cordolcini

7 Gennaio 2009 di Alec Cordolcini

1.L’immagine che abbiamo sul desktop raffigurante la bandiera di Israele ci suggerisce altri pensieri e altri argomenti, ma Radio Olanda è una rubrica che parla di calcio e quello continuerà a fare. Israele è la nazionalità di Ben Sahar, astro nascente del calcio di Tel Aviv e dintorni che disputerà la seconda parte della stagione 2008-2009 in prestito dal Chelsea al De Graafschap. Un approdo che suscita curiosità mista a perplessità, perché la scelta di un grande club di parcheggiare un proprio talento emergente tra i contadini e i formaggi di Doetinchem, in una squadra in piena zona retrocessione, appare un’operazione quantomeno bizzarra. Ben Sahar scende di livello per fare esperienza, ma ciò avviene cambiando campionato e accasandosi in una realtà piuttosto povera dal punto di vista tecnico-tattico, ai limiti del semi-professionismo (così disse anche Denis Godeas quando gli fu chiesto di ricordare la sua fugace esperienza – zero presenze – con i Superboeren).
2. Ma chi è Ben Sahar? Nato a Holon, città sulla striscia costiera a sud di Tel Aviv, nell’agosto del 1989, è stato prelevato all’età di 16 anni dal Chelsea, che ha pagato all’Hapoel Tel Aviv 320mila sterline. La cittadinanza polacca acquisita grazie alle origini della madre gli ha evitato il problema del permesso di lavoro in terra britannica, e il 6 gennaio 2007 nell’incontro di FA Cup contro il Macclesfield Town il giocatore ha fatto il suo esordio in maglia Blues. Poi sono cominciati i prestiti: Queens Park Rangers, Sheffield Wednesday (dove ha segnato gli unici gol in incontri ufficiali della sua esperienza inglese) e, nell’estate 2008, Portsmouth. Esperienze formative importanti ma piuttosto avare di soddisfazioni, soprattutto quella nei Pompeys. Meglio in nazionale, dove nel febbraio 2007 Ben Sahar, ribattezzato con scarsa fantasia dalla stampa britannica il “Rooney israeliano”, diventava il più giovane giocatore di sempre a esordire con la prima squadra di Israele (record ora detenuto dal classe 91 della cantera del Barcellona Gai Assulin). Un mese dopo segnava una doppietta all’Estonia, mentre lo scorso settembre ha portato a tre il suo bottino di gol in nazionale timbrando contro la Svizzera.
3. La fama di Ben Sahar non si limita però ai campi da gioco, avendo suo malgrado rischiato qualche tempo fa di vedere promulgata in Israele una legge recante ufficiosamente il proprio nome. In qualità di cittadino israeliano infatti Ben Sahar era soggetto all’obbligo, al compimento del 18esimo anno di età, di prestare servizio per tre anni presso il Tzahal, in altre parole l’esercito di Israele. Con tanti saluti alla sua carriera nel Chelsea. In patria diversi legali si attivarono per far pervenire alla Knesset, il parlamento israeliano, una proposta di legge (chiamata appunto “Legge Ben Sahar”) che, se promulgata, avrebbe permesso al giocatore di evitare il servizio militare svolto in Israele sostituendolo con tre anni di servizio civile in Inghilterra. Non ebbero fortuna, ma il lieto ci fu comunque, dal momento che Knesset e Tzahal raggiunsero un accordo il quale prevedeva che Ben Sahar avrebbe prestato servizio presso una base militare dell’esercito israeliano ogniqualvolta fosse rientrato in patria.
4. Con un simile curriculum vitae, è chiaro che Ben Sahar c’entra poco con il De Graafschap, squadra yo-yo sempre a cavallo tra Eredivisie ed Eerste Divisie che ha nell’agonismo una delle pochissime armi a disposizione per competere nel massimo campionato olandese. L’impatto ambientale, per un giocatore tecnicamente superiore di una buona spanna alla stragrande maggioranza dei suoi nuovi compagni di squadra, potrebbe costituire un grosso problema. Quello psicologico anche. Al De Graafschap non lasciò tracce Klaas-Jan Huntelaar, arrivato in prestito dal Psv Eindhoven ma poco utilizzato da una squadra costretta a lottare con il coltello tra i denti per salvarsi e quindi alla ricerca di esperienza e modi rudi, non di un ragazzino da svezzare. A Doetinchem lo scorso anno fece male Diego Biseswar, oggi tra i migliori al Feyenoord, sbarcato con la tipica supponenza giovanile di chi è consapevole di essere più bravo degli altri e che ritiene quindi superfluo ascoltare i consigli di allenatori e compagni. Nel De Graafschap di oggi sta faticando a trovar spazio Luuk de Jong (fratello dell’ajacide Siem), attaccante classe x che si era messo in mostra nel precampionato segnando reti a raffica. Ma giocando sempre con l’acqua alla gola il tecnico Van Stee preferisce sempre l’esperienza di Den Ouden e Oost, nonostante quest’ultimo azzecchi non più di quattro partite all’anno.
5. L’ultimo esempio poi di giocatore proveniente dal vivaio di un grande club di Premier League e sbarcato nella provincia olandese (Chris Eagles from Manchester United, nel 2006 una pessima mezza stagione a Nijmegen con il Nec) non autorizza sogni di gloria. Difficile quindi capire a chi giovi questo trasferimento, salvo qualcuno voglia farci credere che non ci fossero club di Championship (ma anche di fascia bassa di Premier League) interessati a questa promessa d’Israele. Forse questioni economiche, le stesse che hanno fatto saltare il passaggio di Ben Sahar all’Utrecht. Ma il budget del De Graafschap non basterebbe a pagare lo stipendio annuale di Obi Mikel. Al novanta per cento insomma sarà un fallimento. Ma il calcio ci piace proprio per quel dieci per cento rimanente.
Alec Cordolcini
wovenhand@libero.it
(in esclusiva per Indiscreto)
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