Grande Slam e stai Serena

13 Luglio 2015 di Stefano Olivari

Serena Williams ha in mano il Grande Slam, 27 anni dopo il pazzesco 1988 della Graf (che aggiunse anche l’oro olimpico di Seul) e se lo strameriterebbe dopo diciassette stagioni da vera numero uno del tennis femminile. Perché per il computer gli anni sono stati cinque, sommando le settimane dei vari periodi, ma è sempre stato chiaro a tutte che le ‘altre’, dove collochiamo anche Venus, hanno vinto tornei importanti soltanto quando Serena ha regalato alla concorrenza qualcuno dei suoi periodi di assenza per motivi fisici o, diciamo, culturali. Quanto al ranking, Serena gli ha sempre dato la giusta importanza, tanto è vero che nei suoi 17 anni (datiamo l’inizio dell’era Serena con gli US Open del 1999) di supremazia sono state ben 14 le numero uno WTA, fra le quali anche la Safina e la Wozniacki. Il fatto di impazzire per Justine Henin e di cambiare a volte canale quando c’è Serena (e a maggior ragione quando ci sono sue replicanti meno brave) non deve far dimenticare una realtà che nel circuito femminile conoscono e soffrono tutte. A partire dalla Sharapova, che non la batte dal suo Wimbledon 2004 vinto da minorenne. Sembra assurdo dirlo di una che ha vinto 21 tornei dello Slam, ma la prima domanda che ci viene in mente è come mai la Williams non ne abbia vinti il doppio. Va detto che uno dei suoi segreti per durare è sempre stato quello, per preciso volere del padre Richard, di non pensare al tennis fuori dalle ore di allenamento. Da lì al credersi una stilista, una scrittrice, un’attrice, una stella della mondanità californiana, una volta affrancatasi dalla tutela del padre il passo è stato breve. Avrà anche qualche Slam in meno, ma non è arrivata fusa ai 25 anni e nemmeno ai 33. In questo momento può battersi da sola, come quasi stava avvenendo con la Watson, o soffrire contro una sparacchiona con poca coscienza. Per dire, è più facile che perda dalla Vandeweghe, numero 32, che dalla Sharapova o dalla Halep che sono adesso seconda e terza. 

È almeno dalla finale di Wimbledon 2008 persa con Nadal che sembra di assistere al passo di addio di Roger Federer, anche se l’evidenza dice che le cose non sono andate e non stanno andando così. Per questo la finale persa contro un Djokovic ai suoi massimi ha avuto l’unico torto di essere arrivata dopo la semifinale quasi perfetta giocata con Murray, ma non ha mentito per quanto riguarda l’attuale differenza fisica fra i due fuoriclasse. Non una differenza enorme, quando si sarà ritirato la fase difensiva di Federer sarà considerata fra le migliori di sempre (e senz’altro la migliore fra i giocatori d’attacco), ma comunque sufficiente a far girare a proprio favore le situazioni in bilico dei game in bilico. Un trionfo meritato per Djokovic, che per tutto il torneo sembrava trattenuto e che contro Kevin Anderson ha davvero rischiato di uscire, ma che grazie al tabellone è salito di livello soltanto alla fine, contrariamente a quanto era avvenuto al Roland Garros. Di sicuro ha vinto alla sua maniera, costretto dal suo avversario ad essere il miglior Djokovic, anche se magari giornalisticamente fa comodo parlare di sfida Becker-Edberg (pari da giocatori, mentre fuori non c’è partita: il tedesco sembra all’angolo di Djokovic solo per motivi pubblicitari). A non cambiare mai, come ha ben scritto l’amico di Indiscreto Marco Lombardo, che le emozioni delle ultime due settimane le ha vissute sul posto, è il tifo di tutti… i non tifosi per Federer, che infastidisce non poco i suoi avversari, da Murray allo stesso Djokovic.

Cosa farebbe oggi Martina Hingis in singolare? Intendiamo proprio la Hingis di oggi, non quella che dominò il tennis sul finire degli anni Novanta prima che l’avvento delle Williams e di diverse generazioni di picchiatrici la rendesse fuori dal tempo (con gli asterischi degli infortuni, della positività alla cocaina, dei problemi infiniti con la madre-allenatrice) più di quanto già non fosse, con il suo gioco necessariamente di tocco, data l’assenza di muscolatura maschile. Dopo la vittoria nel doppio a Wimbledon, a 18 anni dal trionfo in singolare contro Jana Novotna e a 21 da quando vinse (a nemmeno 14 anni…) il torneo juniores, trascinando una Mirza discontinua a ribaltare una finale già persa, rinforzata dal trionfo nel misto che però non consideriamo uno sport, la domanda non è strampalata vista la differenza fra Serena e le altre giocatrici di alto livello. Di sicuro l’idea sarà venuta anche a lei, che due anni fa giocava sugli stessi campi il torneo delle vecchie glorie (è già stata inserita nella Hall of fame di Newport…) e che adesso potrebbe voler recuperare il tempo perduto. La distanza fra le campionesse e le ‘altre’ è tale che i grandi ritorni spesso hanno dato esiti clamorosi (Kim Clijsters agli US Open su tutti), ma nel caso di Martina la cilindrata fisica che già la penalizzava da giovane non la favorirà di sicuro da vecchia. Rispetto a 20 anni fa non si è appesantita, due stagioni di doppio a livello sempre più alto (anche con la Pennetta) e di singolari di esibizione le hanno fatto bene, per molti versi sembra la figlia di stessa. Contro le meno intelligenti delle atletone potrebbe sulla singola partita dire qualcosa, in generale un posto nelle prime venti può ipotizzarlo. Se ci crede, al di là dei facili applausi che raccoglie in doppio (Hingis-Federer oro a Rio 2016 nemmeno si quota), potrebbe riavere una parte di ciò che lei stessa si è tolta.

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