Musica

Giorgio Moroder, la colonna sonora della vita

Stefano Olivari 19/05/2019

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Giorgio Moroder è il più sottovalutato autore della musica italiana, ma anche gli omaggi fuori tempo massimo hanno un loro valore. Usare il termine ‘omaggi’ è comunque riduttivo, per il concerto a cui la redazione di Indiscreto è stata l’altra sera al Teatro Ciak di Milano. Entusiasmo, gioia, rispetto, in certi momenti anche delirio.

Il tutto da parte di un pubblico vivissimo e reattivo, in buona parte composto da giovani e addirittura giovanissimi, che probabilmente hanno scoperto il musicista gardenese grazie alla collaborazione con i Daft Punk. Celebration of the 80’s è in ogni caso la prima tournée nella vita del settantanovenne Moroder, non si poteva mancare.

E nel concerto in questo posto un po’ fuori mano, che si può raggiungere solo con motivazioni notevoli, Moroder ha tirato fuori alcune delle hit che hanno segnato la sua carriera di autore e produttore. Lo ha fatto da deejay (negli ultimi anni quasi la sua vera attività, strappandolo ogni tanto a Beverly Hills: due anni fa si è esibito anche allo Juventus Stadium…) e da maestro di cerimonie, lasciando il palco ai cantanti (tre donne e un uomo), e al resto della band. Il tutto con luci bellissime e azzeccate, mix del gusto di vari decenni, con prevalenza dei Settanta.

Love to Love You Baby, la canzone che Donna Summer portò ad un successo mondiale e che di fatto diede l’inizio all’era della disco music. Bad Girls, altro grande successo di una Donna Summer che nel concerto è stata spesso evocata (verso la fine anche con il video di lei che canta Last Dance) e che ha un numero di hit con Moroder con cui si potrebbe andare avanti per giorni: a Milano fra le altre riproposte anche On The Radio, I Feel Love e Hot Stuff.

Moroder nella nostra testa è però soprattutto cinema: Flashdance (eseguita infatti What a feeling, all’epoca cantata da Irene Cara), Top Gun (Take my breath away, dei Berlin), American Gigolò (il concerto è stato concluso da una trascinante versione di Call me dei Blondie), Metropolis… Impossibile tenere tutto dentro la ventina di canzoni di un concerto, ma riteniamo sbagliato non aver riproposto in Italia To be number one, il vero inno del Mondiale del ’90 (anche nella versione Bennato-Nannini) e forse anche della nostra vita.

Moroder ha lavorato con tutti e conosciuto bene tutti, dai Rolling Stones a David Bowie (bello l’omaggio con Cat People) e negli Stati Uniti è un mito, ma nell’immaginario degli italiani non è il vincitore di tre Oscar, il co-inventore di un genere musicale (la disco, appunto) e l’interprete di anti altri, ma una specie di Tony Renis o di Pino Donaggio, per citare altri artisti che hanno ottenuto un successo internazionale vero (ma loro con due canzoni, non con duecento come Moroder). Nessun complotto, Moroder dopo gli inizi da cantante (andò anche a un Cantagiro, con Looky Looky) è sempre stato dietro le quinte, rispettatissimo da chi lavora nella musica e nel cinema.

Celebration of the 80’s, titolo fuorviante (Moroder è stato anche 70’s, poi con le varie collaborazioni è arrivato quasi ai giorni nostri ) è la sua meritata passerella, che lo ha portato già in mezza Europa emozionando in maniera trasversale. Per noi Moroder, citando un altro suo enorme successo, scritto per Limahl, è quindi una Never ending story. E solo per quanto ha fatto nel cinema (Fuga di mezzanotte e Scarface, altri due titoli che vengono in mente anche senza Wikipedia) è la colonna sonora della vita di milioni di persone che nemmeno sospettano della sua esistenza.

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