Interviste
Gestire la musica: intervista ad Andrea Vittori
Paolo Morati 07/04/2021
Dietro al successo (o all’insuccesso) di un cantante (e non solo) c’è anche un team che lavora in modo coordinato per decidere i singoli di lancio di un album, sviluppare i contatti e le attività di promozione, e valutare insieme le scelte che possono indirizzare via via una carriera. Andrea Vittori, di Ma9 Promotion, si occupa da anni dei diversi aspetti dietro le quinte di tanti artisti italiani e stranieri: Francesco Gabbani, Irama, Motta, Zero assoluto, Le Vibrazioni, Francesco Bianconi e altri, solo per rimanere nel presente. Lo abbiamo intervistato per approfondire le variabili in gioco nello scenario musicale, ieri così come oggi, dall’era analogica a quella digitale.
Iniziamo a parlare di te e del tuo rapporto con la musica…
Io sono nato nel 1975 e ho sempre considerato la musica la massima espressione artistica in termini di emozioni prodotte. Fronte italiano mi ritrovavo nei cantautori, ma la mia passione era soprattutto per il mondo British, quindi tutta la scena che andava dal post punk alla new wave e che poi riportavo nelle band in cui ho suonato per tutti gli anni Novanta. Da ascoltatore così come da musicista e poi operatore del settore ho vissuto quindi le sue trasformazioni. Faccio un primo esempio. Se quando ero ragazzo in edicola si trovavano ancora tante riviste musicali che avevano un numero elevato di lettori e producevano dei risultati importanti per chi faceva promozione, oggi la situazione è totalmente cambiata, e la pubblicazione di un’intervista può dare sì soddisfazione ma avere un impatto decisamente inferiore per chi fa il nostro mestiere.
È un po’ quello che sta succedendo anche nelle modalità di fruizione…
Esatto. Un esempio che mi piace fare è quello del disco che acquistavo in negozio ai tempi in cui ancora si pagava in lire. Per arrivare a questa decisione mi informavo, leggevo, e dopo averlo comprato lo ascoltavo almeno una decina di volte prima di decidere se mi piacesse o meno. Oggi è tutto molto più rapido e dopo pochi secondi si può saltare da una traccia all’altra se appena appena quanto si sta ascoltando non soddisfa, per cui è difficile affezionarsi a una canzone, a un album. C’è d’altro canto anche un lato positivo, quello di un possibile ascolto infinito, anche se avendo troppo materiale a disposizione il rischio è di non ascoltare niente con la dovuta attenzione. La situazione negli ultimi anni è però migliorata, ed è tornata la voglia di scoprire nuove cose, spaziando su più generi, e sono nati anche nuovi fenomeni come la trap, al di là dei gusti e del giudizio che ciascuno può dare. Fenomeni che nascono dal basso, che sono riusciti a tradurre in musica un certo tipo di linguaggio in precedenza inespresso. Poi è possibile che tra qualche anno non avrà più lo stesso impatto di oggi, visto che è tutto sempre in movimento, anche se bisogna avere chiaro in mente il fatto che dove il giudizio può essere molto soggettivo, esiste anche ciò che è oggettivo. Ad esempio il saper suonare o meno una chitarra… quello non si può discutere.
Accennavi al fatto di avere iniziato come musicista negli anni Novanta. Come sei passato a lavorare dietro le quinte?
È una decisione che ho preso dopo essermi reso conto, realisticamente, di non poter superare i risultati che avevo già raggiunto, e di arrivare a un vero successo. Tuttavia volevo restare nel settore che amavo, con il desiderio di dimostrare qualcosa. Ho voltato subito pagina e lavorare dietro le quinte mi ha aperto la mente e insegnato ad essere meno snob e radicale, valutando meglio quanto mi circondava. Ho quindi deciso insieme a Maryon Pessina, che lavorava per l’etichetta Nun Entertainment, di aprire una società di comunicazione, la Ma9 Promotion, basata sulle nostre esperienze pregresse e una buona dose di incoscienza. Tra le attività che ho iniziato a svolgere c’è stata quella di plugger radiofonico, ossia quella figura che deve riuscire a far sì che le radio trasmettano i brani dei propri artisti. Più avanti nel tempo ho deciso di ampliare la mia attività come manager, in collaborazione con altri soci.
Citavi il lavoro con le radio, Oggi cosa è cambiato rispetto al concetto di radio libera, con lo speaker che sceglieva i 45 giri da far girare sul piatto?
Rispetto all’epoca delle radio libere oggi parliamo di grandi network dove è difficile che gli speaker scelgano la musica da mandare in onda, salvo rari casi. Oggi bisogna tenere conto di scelte editoriali e di una programmazione stabilita dagli ‘head of music’ delle emittenti che, non lo dimentichiamo, sono anche attività commerciali. E che si influenzano a vicenda, per cui se si accorgono che un brano viene molto trasmesso da un concorrente a loro volta si adegueranno aumentandone i passaggi e via via discorrendo. Passaggi che poi daranno vita alle classifiche dei brani più trasmessi. Oggi però si è aggiunto l’ulteriore tassello dello streaming sul quale anche le radio buttano un occhio per capire che cosa sta andando per la maggiore, anche se il loro impatto sul successo di un brano è nel tempo molto diminuito. In tale contesto, quello del plugger è un lavoro molto complicato, fatto di rapporti personali e di fiducia con chi poi crea le programmazioni.
Hai detto che il peso delle radio è molto diminuito. Quanto i canali digitali oggi contano nella popolarità di un artista?
Parecchio, e ci sono artisti che soffrono molto dei nuovi canali e mi riferisco soprattutto a quelli storici, nati ancora in epoca analogica o quasi. In Italia a predominare nell’ascolto in streaming è il pubblico molto giovane per cui gli artisti più classici e importanti, ancora legati al CD fisico o con un pubblico più adulto, fanno più fatica a farsi seguire, mentre funzionano ancora molto bene nella dimensione live. È una fase di passaggio, laddove da sempre a spostare i numeri del settore sono i giovani. Qualcosa di evidente nelle classifiche odierne composte per una parte dalla vendite dei supporti fisici e una parte dagli ascolti in streaming.
Che giudizio dai di questa modalità presente da qualche anno, con tutti i vari correttivi introdotti in corsa?
Rispondo dicendo che è un tema che andrebbe approfondito ragionando sul fatto che sulle piattaforme di streaming esistono degli ascolti attivi, ossia volontari, e degli ascolti passivi, indotti dalle playlist. E questo genera delle interferenze nelle composizioni delle classifiche. È come se per calcolarle si tenesse conto anche degli ascolti radiofonici in una particolare fascia di successo di una emittente. Inoltre, bisognerebbe chiedersi perché non vengono allora conteggiate anche le visualizzazioni dei video. Di fatto, ascolto attivo e ascolto passivo non sono la stessa cosa e non è possibile paragonare l’acquisto di un brano con il suo ascolto, ancor più se non frutto di una scelta. Può sembrare una battaglia a favore della preistoria, concordo che bisogna adattarsi al nuovo che avanza, tuttavia una riflessione attenta su questo tema va fatta.
Dovessi fare dei nomi che ti sarebbe piaciuto seguire come manager?
Ce ne sono tantissimi, ma partirei senz’altro dai Beatles, che ritengo siano stato il fenomeno più importante del secolo scorso. Quello che hanno fatto in pochi anni è irripetibile a livello di composizione, di produzione ma anche di concerti. Potrei citare anche David Bowie. Devo però dire che mi sono anche già preso delle belle soddisfazioni, ad esempio seguendo l’ultimo tour italiano dei Cure. Vorrei poi citare anche il lavoro fatto con Francesco Guccini, molto importante dal punto di vista formativo.
Qual è oggi il ruolo di Sanremo e che importanza ha secondo te per l’attività di un musicista? Te lo chiedo perché ogni anno ci sono polemiche e discussioni, ma mi sembra che con l’ultima edizione il riscontro almeno dal punto di vista delle canzoni sia stato buono.
Ha ancora un’enorme importanza per veicolare nuove canzoni, restando l’evento televisivo musicale più importante in Italia. Certo bisogna andarci con la canzone giusta e prevedere un lavoro preparatorio molto tosto per poter fare bene, altrimenti può anche rivelarsi un boomerang.
Parliamo degli artisti che segui, cominciando da un nome che effettivamente grazie a Sanremo è diventato estremamente popolare: Francesco Gabbani… come è nata la collaborazione con lui?
È una storia pazzesca e quasi unica. Ci siamo conosciuti nel 2012 quando era ancora il leader dei Trikobalto. Allora mi venne proposta la promozione della band. Poi per qualche tempo ci siamo persi di vista finché nel 2016 la BMG non mi chiese di seguire la promozione della sua partecipazione a Sanremo. Era l’anno di Amen. Da allora siamo andati avanti e poi, dopo l’estate 2018, ho preso anche in mano il suo management assieme ad altri soci.
Gabbani è un personaggio atipico. Ha fatto tanta gavetta. Credi che sia un’eccezione o si può sperare che questo possa accadere anche per altri artisti non più ragazzi che non hanno ancora avuto una vera occasione per prendere il treno giusto?
Intanto dobbiamo contestualizzare il momento storico in cui lui ha esordito. Un momento in cui si lavorava molto sui talent show, che oggi in realtà non hanno più quella forza prorompente del passato a differenza dello streaming, di cui abbiamo già parlato, che al contrario fino a qualche anno fa non aveva il peso odierno. Quando poi è esploso a Sanremo, Francesco non era di fatto più un ragazzino ed è riuscito a dimostrare le sue qualità e doti, la sua grande preparazione musicale così come le capacità di dominare un palco complesso come quello dell’Ariston. Al risultato ha poi contribuito anche il lavoro di tante persone e la scelta delle canzoni giuste.
Amen, Occidentali’s Karma e Viceversa. Tre facce della stessa medaglia? Puoi condividere qualche aneddoto delle tre esperienze che poi hanno lanciato definitivamente Gabbani?
È noto che Amen fu eliminata per un errore nella raccolta dei voti. Fu quindi ripescata per poi vincere. Si è trattata della classica ‘sliding door’ che ci ha permesso di presentare Occidentali’s Karma l’anno dopo. Una canzone miracolo, che vinse contro ogni pronostico battendo quella di Fiorella Mannoia, crescendo di serata in serata. Era anche favoritissima all’Eurovision Song Contest dello stesso anno dove, pur comportandosi bene, secondo me finì per essere penalizzata dal taglio per restare nel limite dei tre minuti concessi. La terza partecipazione, nel 2020 con Viceversa, poteva infine sembrare un azzardo, perché dopo il successo di due anni prima si aveva tutto da perdere e niente da guadagnare. Eppure abbiamo deciso di mostrare un’altra faccia di Francesco che non tutti conoscevano, un rischio condiviso da tutti. Già dal primo ascolto avevo tuttavia capito la grandezza del brano capace di coniugare una melodia importante e un testo per nulla scontato.
Ricordo però che i giudizi della critica dopo i consueti pre ascolti non erano stati unanimi…
Vero e in effetti mi era venuto il dubbio di avere sbagliato qualcosa. Ma per poco. Francesco oltre a essere un gradissimo autore è anche un eccellente performer, per cui ero certo che questo avrebbe contribuito a fa arrivare la canzone al pubblico. Cosa già confermata dopo la prima esibizione e via via fino alla finale. Senza nulla togliere a Diodato che vinse con Fai rumore, il tris gli è sfuggito per i voti della sala stampa visto che Viceversa era prima sia per il televoto che per la giuria demoscopica.
Faccio un piccolo passo indietro. L’estate prima ‘È un’altra cosa’ non era andata bene come ci si poteva aspettare. È da lì che poi avete pensato di portare il nuovo album a Sanremo?
Certamente quel brano non ha registrato i numeri che si attendevano dopo l’exploit dell’estate di due anni prima con Tra le granite e le granate, ma d’altro canto bisogna tenere sempre ben presente che se si ragiona in termini di classifica allora si sbaglia già in partenza. È stato un momento di passaggio, con comunque dei risultati, e poco dopo sono diventato anche suo manager e abbiamo ridefinito alcuni passi strategici.
Tra gli artisti che segui c’è anche Irama. Ti confesso che non sapevo cosa aspettarmi dalla sua canzone di Sanremo, La genesi del tuo colore. Non avendola ancora sentita ma avendo letto dell’uso del vocoder mi ero messo in un atteggiamento abbastanza negativo, ritenendo che se ne faccia un abuso nelle produzioni odierne. Poi ho dovuto ricredermi e mi sembra un’ottima canzone pop, moderna. Tra l’altro ha raccolto anche buoni commenti tra chi segue Sanremo dall’estero. Come è andata tenendo anche conto dei problemi legati al Covid che lo hanno costretto a partecipare con il video delle prove?
Intanto ti confermo che è stata un’esperienza per certi versi drammatica. Al di là ovviamente delle preoccupazioni per la salute di tutte le persone coinvolte, fronte lavorativo ci sembrava di dover buttare via tutto il lavoro fatto nei mesi precedenti per arrivare al meglio al Festival. Fortunatamente Irama ne è poi uscito bene e il brano è comunque arrivato al pubblico. Sono contento che sia piaciuto anche all’estero perché ha senz’altro un taglio internazionale, grazie anche al lavoro svolto con Dardust e Giulio Nenna, ed è probabilmente questo uno dei motivi per cui ha raccolto giudizi molto positivi tra chi pensava fosse molto adatta anche alla partecipazione all’Eurovision. Non nascondo che l’obiettivo a tendere sia proprio quello di uscire anche dai confini italiani mirando ad altri mercati, in primis quello latino americano. Sul vocoder ritengo che dipenda tutto dall’uso che se ne fa. Nel nostro caso si è trattata di una scelta artistica che si sposa con quel particolare momento della canzone.
Torniamo indietro di qualche mese all’inizio della pandemia. Immagino che questo abbia cambiato i programmi anche dei tuoi artisti. Puoi condividere qualche esperienza?
Sicuramente ci troviamo ancora in un momento molto difficile e dobbiamo augurarci di uscire presto da questa situazione in quanto il nostro settore è in grande difficoltà, con i concerti che sono purtroppo totalmente fermi. Trovare un equilibrio in questa situazione non è facile, anche se l’estate scorsa siamo comunque riusciti a far suonare Gabbani in tutta sicurezza in luoghi all’aperto raccogliendo un ottimo riscontro. Di fatto, compiendo le scelte corrette sul distanziamento rischi non se ne corrono. Ora abbiamo annunciato i concerti all’Arena di Verona a luglio e speriamo che sia finalmente la volta buona per poterli fare.
Ultima domanda: Vinile, CD o MP3?
Essendo un ‘vecchio’ scelgo il vinile… per il suo fascino e il suono particolare che produce. Poi dipende dalle situazioni anche perché l’MP3 (e la musica liquida in generale) permette un ascolto ovunque si stia andando. Insomma, ogni mezzo ha il suo perché.