Generazione Joe Montana

19 Dicembre 2020 di Roberto Gotta

Generazione Joe Montana – Storie di football anni Ottanta, di Roberto Gotta (editore Indiscreto) è in vendita su Amazon, con il servizio Prime, sia in versione Kindle sia in versione cartacea (217 pagine). Da metà gennaio 2021 anche nelle librerie fisiche, indipendenti o di catena. Quella che segue è l’introduzione.

Gli anni Ottanta, per molti, sono stati lepifania. La rivelazione. Su molti fronti, e con sensibilità diverse da persona a persona: questione di gusti, dunque insindacabili, quel che piace a me può suscitare ribrezzo a te e viceversa. Ad esempio, non ho alcun problema a scrivere che a mio avviso il meglio è decisamente e nettamente alle spalle, nei settori che rappresentano le mie passioni. Il meglio del mio amato calcio inglese, dellabbigliamento e dello stile di vita italiano è stato negli anni Settanta, anche se Tg e nostalgici di un terrorismo che ora praticano tramite editoriali, veline, decreti ministeriali e speciali televisivi stanno cercando di farci credere che a quei tempi si avesse paura addirittura ad uscire di casa. Il meglio della musica e del football americano negli anni Ottanta. Il meglio del baseball negli anni Sessanta ma qui vado a ipotesi, perché non cero.

E gli anni Ottanta sono appunto stati quelli in cui in Italia è arrivato in massa il football americano. Sì, pochi fortunati (o bravi, bravi loro) lo avevano scoperto prima, ma il primo Super Bowl andato in onda da noi fu quello del gennaio 1981, tra Philadelphia Eagles e Oakland Raiders: Canale 5, con Mike Bongiorno in studio a introdurre e il commento di Marco Lucchini Gabriolo, poi passato alla RAI. Lo ammetto: non solo non lo vidi, ma non ricordo neppure di averlo mai visto pubblicizzato. Zero assoluto. E dire che erano i tempi, eroici, di scoperta del mondo inatteso delle televisioni private, delle televisioni commerciali, un arcipelago a volte scalcagnato ma genuino, magari anche solo per limpossibilità di essere sofisticato. Già dalla seconda metà degli anni Settanta chi aveva un televisore si era abituato a consumarne le rotelline: non esisteva la sintonizzazione automatica e nessuno ti avvertiva della nascita di nuovi canali, per cui lunica maniera di scoprirli era quella di muoversicda unestremità allaltra della banda, girando lentissimamente la manopolina e sperando di intercettare un segnale e di capire se valesse la pena fissarlo. Un lunedì sera, ad esempio, spuntò un esaltante MilanInter Club, trasmissione sulle due squadre milanesi, su una fin lì inesistente Telemilano 58, che presto sarebbe diventata proprio Canale 5.

Altre scoperte furono effimere ma di forte impatto: dalla veneta ATR arrivavano addirittura partite di calcio brasiliano, commentate in modo colorito da Mario Mattioli, che sarebbe pure lui poi diventato giornalista della RAI. In quella scoordinata situazione diversa addirittura da provincia a provincia, in cui ognuno di noi che abbia più di 45 anni avrà avuto le proprie scoperte, rivelazioni e perdite, la consuetudine del Super Bowl, dal 1981 in poi, divenne un lampo annuale, un buco nel muro dellimmaginario e dellimmaginato dal quale filtrava una luce abbagliante. Perché non era solo America: era lAmerica più vistosa, più fracassona, più esagerata che ci potesse essere. Era lAmerica che più di metà Italia sognava ed amava e che laltra quasi-metà detestava per principio. Anche se, curiosamente, il football americano sciolse in un grigio colorato le contrapposizioni politiche: piaceva, perlomeno nella mia esperienza personale con compagni di squadra e persone del giro, a prescindere dalle idee politiche di chi lo praticava e apprezzava.

Una volta accesa, la passione ardeva costantemente e si ravvivava ad ogni piccola notizia, ad ogni dettaglio in più. Non esisteva Internet, ovviamente, i quotidiani non pubblicavano nulla e dovevi affidarti allimprobabile tv o radio delle basi NATO, meglio nota come AFRTS: Armed Forces Radio and Television Service. In pochi potevano vedere il canale televisivo, diffuso oltretutto con il sistema video NTSC, qualcuno di più poteva invece ascoltare la radio, nei dintorni delle basi. Per un clamoroso colpo di fortuna, il segnale, sui 106 fm, arrivava dalla caserma Ederle di Vicenza anche a Bologna, ma non ovunque: bisognava essere leggermente sopraelevati, e la mia fortuna fu proprio quella di abitare in una via lievemente collinare. AFRTS mandava in onda le partite di tutti gli sport, a beneficio dei militari di stanza in Italia: la domenica le dirette NFL, coordinate in studio da un tizio la cui voce, spesso incorniciata dal sottofondo di un ticchettio che immaginavo essere quello delle telescriventi che battevano aggiornamenti, mi risuona tuttora nelle orecchie. Anche in questo sta limmensa, ineguagliabile forza della radio: creare ritratti dal nulla, matrici emotive che permangono a distanza di decenni e fanno sobbalzare al solo pensiero, come accade mentre scrivo queste righe e vorrei tanto riascoltare quei suoni incerti, quel ticchettio, quel rumore di fondo che preludeva ad una diretta.

Cera, per chi poteva permetterselo, il quotidiano USA Today, da un certo periodo in poi che non so datare, ma direi a occhio 1983: bisognava però abitare in una grande città e andarlo a cercare in centro o in stazione, era quello del giorno prima ma andava bene lo stesso. Cera qualche copia del New York Times, unimpressionante colata di parole, ma con lo stesso ritardo e un costo non sostenibile da persone normali. Cera misteriosamente la CNN, il canale di notizie che allepoca ingenuamente pensavamo autorevole, in onda dopo la fine dei programmi di Telemontecarlo e fino alla loro ripresa, al mattino, con brevi spazi sportivi da divorare. Cerano infine amici, compagni di squadra, parenti in vacanza negli Stati Uniti a cui affidare improbabili missioni di acquisto: non serviva nemmeno essere pignoli, bastava che riportassero in Italia una qualunque testata sportiva, raccattassero qualsiasi oggetto o pezzo di carta con qualcosa di football.

Nel frattempo la passione non si sfogava solo tramite desideri più o meno inespressi: dal 1980 era partito il primo campionato italiano e fino a oltre metà decennio il numero di squadre crebbe in maniera incontrollata e pericolosa, creando purtroppo le basi per il tracollo successivo, unimplosione che fece male a molti, nel cuore e nello spirito, sbriciolando un incantesimo che aveva visto il football guadagnare spazi inattesi nei media. Nel 1983 il Guerin Sportivo, il settimanale sportivo, all’epoca tra i più importanti e prestigiosi del mondo, aveva iniziato a pubblicare un inserto chiamato Big, con il primo reportage italiano dal Super Bowl, quello tra Washington Redskins e Miami Dolphins, foto a colori e testo dellinviato Stefano Tura, ora corrispondente RAI da Londra. A partire dallo stesso anno erano arrivati in edicola mensili come SuperBowl, diretto da Guido Bagatta, e SuperFootball, di Diego Costa, seguiti addirittura da un settimanale, TuttoFootball, carta e forma tabloid, ambitissimo ogni martedì mattina per le sue cronache e tabellini di tutte le partite del campionato italiano. Ebbe anche un supplemento mensile, Touchdown.

Tempi ruggenti in cui alla grandissima competenza di alcuni si univa limprovvisazione di (fortunatamente pochi) altri, riscontrabile se solo si aveva un filo di conoscenza in più della media. Ma erano peccati veniali, inezie, da riderci su sul momento e insignificanti sul lungo periodo: fu unepoca travolgente, di amori, ostilità, competizioni, passioni, sacrifici, premiati alla fine dal sapore di quella scoperta che oggi, nell’epoca di RedZone, non esiste più. Il periodo dellattesa, della fruizione differita, e non immediata, che proprio per questo dava soddisfazioni immensamente superiori a quelle di adesso, su tutti i fronti. Non è necessariamente la lamentela di un vecchio, non è che allapparire delle auto gli amanti delle carrozze avessero ragione a piangerne la dismissione, ma cera davvero un piacere particolare, unico, irripetibile nellavere nuove informazioni un poalla volta, nel veder arrivare un pacchetto con un annuario o una maglietta, nel sedersi di fronte al televisore, la domenica mattina, e vedere una partita NFL di sei giorni prima senza saperne il risultato. E se anche lo sapevi – magari grazie alla radio o a TuttoFootball – andava bene lo stesso. Perché andava così, perché ci voleva tempo per far arrivare il nastro, convertirlo al sistema italiano e commentare la partita, con le miserrime informazioni disponibili.

È facile criticare, è sempre stato facile: ma negli anni Ottanta se non eri là, non eri allo stadio, facevi fatica anche ad avere il roster delle due squadre, nessuno ti informava su eventuali infortunati dellultimora e dovevi fare una telefonata intercontinentale ad un amico, se lavevi, per avere dettagli in più. Certo, commentare una partita il mercoledì o giovedì voleva dire magari aver ottenuto nel frattempo i particolari di eventi clamorosi, ma oggi al confronto è una pacchia fare una telecronaca, per cui non va sottovalutato il lavoro pionieristico di quei tempi. La partita, poi, era pre-scelta: poteva capitartene una orripilante ma ti accontentavi lo stesso, anzi bevevi e mangiavi tutto quello che vedevi, ascoltavi cercando di cogliere i suoni, memorizzavi numeri di maglia e aneddoti, sfogando lattesa di una intera settimana. E a noi andarono benissimo anche le gare, nella stagione 1987, con giocatori di secondo piano in campo, a causa del secondo sciopero del decennio: nel 1982 il campionato si era fermato dal 21 settembre al 16 novembre ed erano saltate sette giornate, mentre nel 1987 lo stop durò solo una domenica, e in altre tre scesero in campo squadre che i proprietari riempirono con giocatori non iscritti al sindacato NFLPA. Una storia nella storia, con personaggi arrivati dal nulla e in gran parte nel nulla tornati alla fine dellagitazione, anche se atleti di grande nome come Joe Montana, il compagno di squadra Roger Craig, il quarterback di New England Doug Flutie avevano presto rotto il fronte degli scioperanti ed erano tornati ad allenarsi.

Al contrario delle altre partite, il Super Bowl era commentato dal posto ma nei primi anni andava in onda il lunedì, spesso in prima serata: al tempo non cera ancora il permesso per la diretta ma la registrazione via satellite consentiva di avere subito a disposizione il materiale, senza attendere metà settimana. E nonostante tutto, nonostante lepoca di siccità assoluta, tanti di noi avevano il terrore che per qualche motivo improbabile, per non dire impossibile, il risultato ci venisse svelato prima del lunedì sera: un amico perfido, un compagno di squadra avventato, la studiata decisione di un canale tv di rovinare allo spettatore la visione sul canale concorrente. Il mio metodo di avvicinamento era semplice, e lo ricordo nitidamente per il Super Bowl del 1984 tra Redskins e Raiders: ascoltare su AFRTS Radio il prepartita poi spegnere la Satellit 2000 della Grundig, poderosa radio acquistata anni prima da mio padre, non appena i commentatori dicevano qualcosa tipo «Super Bowl XVIII is under way», insomma è iniziato. Poi andavo a dormire ma non dormivo, perché nel buio della stanza sorvolavo loceano e atterravo a Tampa per ascoltare, con limmaginazione, suoni e colori.

A metà anni Ottanta per il Super Bowl ci fu, brevemente, una soluzione curiosa, ovvero un servizio telefonico offerto da Italcable, società di telecomunicazioni che gestiva i collegamenti internazionali. Telefonando a un determinato numero si poteva ascoltare la diretta della partita, ma ci sarebbe voluto probabilmente un corposo prestito bancario per sovvenzionare le quasi quattro ore di durata, per non parlare della scomodità di tenere una cornetta all’orecchio per tutto quel tempo. Altre maniere di vedere partite? Ad un certo punto spuntò, con pubblicità su USA Today e un robusto passaparola, una società svizzera, la Pontel, che su prenotazione poteva far arrivare in pochi giorni una videocassetta con qualsiasi partita di qualsiasi sport americano. Non credo di riuscire a rendere lidea di quanto elettrizzante ed impossibile fosse un servizio simile: elettrizzante per le prospettive, impossibile per i presumibili costi. E la Pontel (pontel.com) riesce ancora a stupirci: non per i DVD che vende, ma per il fatto di essere ancora in vita.

Erano anni di imprese, nozioni, errori di interpretazione, difficoltà a capire che la squadra campione nel football universitario veniva decretata per… votazione delle agenzie di stampa e battute semi-intelligenti causate dallimpossibilità di approfondire: scoprivi che un giocatore veniva da Colgate e ti chiedevi perché un college si chiamasse come un dentifricio, sentivi dire wild receiveral posto di wide receiverperché qualcuno non comprendeva letimologia corretta e istintivamente vedeva un giocatore di football come selvaggioe non come largo, nel senso ovviamente di posizione sul campo. Allo stesso modo, da noi la fama dei giocatori NFL e di college variava drasticamente in base ad elementi del tutto aleatori. Capitava ad esempio un amico, o un compagno di squadra, con la fissa di Jack Lambert, perché aveva visto la celebre foto del linebacker di Pittsburgh con lo sguardo torvo, la bocca semiaperta e i canini a spiccare sul resto della dentatura, o di quel che ne rimaneva. O chi adorava Lester Hayes, il cornerback dei Raiders, o ancora Howie Long, nose guard dei Raiders stessi, particolarmente amati un poper la fama maledetta un poperché in quegli anni vinsero due Super Bowl ed è facile attaccarsi ai vincenti, vedi San Francisco 49ers di quegli stessi anni Ottanta, Dallas poco dopo e New England nel nuovo secolo.

Non diventava popolare un giocatore di basso livello ma poteva capitare che nomi non esaltanti acquisissero risalto per i motivi più vari: ad esempio Jimmy Cefalo, ricevitore di Miami, ennesimo caso di italoamericano con un cognome mai sentito prima da noi, autore di un lunghissimo touchdown in uno dei primi Super Bowl trasmessi. E a tutto questo si aggiungeva il mistero legato a imprese favolose – perché tutte le imprese erano favolose, se venivano dallAmerica – di cui arrivavano stralci opportunamente addomesticati. Lunicità di Bo Jackson, capace di essere un fenomeno nel football e nel baseball. Laggressività selvaggia di Brian Bosworth, il linebacker della Oklahoma University che divenne un mito anche da noi quando ancora, appunto, era al college. Bo&The Boz saranno tra l’altro protagonisti del libro del 2021 assieme ad altri fenomeni degli anni Ottanta come John Elway, i Raiders stessi, i New York Giants, Mike Ditka e i Chicago Bears, perché è impossibile condensare in un solo volume tutto quanto accaduto in quegli anni. Ma chi aveva mai davvero visto giocare The Boz? Praticamente nessuno, da noi. Eppure la frenesia era tale che in allenamento, in Italia, cera chi si presentava con la fascia intorno ai capelli e magari osava pure il taglio paramohicano di quel ragazzone del Texas piombato nellOklahoma. Tutto artificiale e superficiale ma in realtà meravigliosamente candido e ingenuo. Ed era bello sognare la ferocia di quei giocatori sfruttando quellimmaginazione che oggi non serve più, dato che prima ancora della partita puoi veder arrivare negli spogliatoi, grazie ad Instagram, la sfilata di tamarri con borse Gucci, beauty case di Yves Saint Laurent e orologi da 500 grammi.

Questo libro, dunque, non è solo il racconto di alcuni dei personaggi e dei momenti che hanno caratterizzato il football, ma soprattutto di quelli che da noi hanno avuto uneco rilevante, in un decennio di trasformazione, di incremento dei mezzi di comunicazione che erano però ancora distanti dallimpossessarsi della nostra vita, come invece accade adesso: e li racconto per come erano, per come allepoca era impossibile conoscerli data la mancanza di informazioni. Ci sarà spazio grande, un poin questo libro un ponel prossimo, anche per la University of Miami, che ha rappresentato un altro fenomeno importante di quegli anni, una moda affascinante, sguaiata, un pentolone di tensioni razziali, cattiveria, eccessi, disciplina vera e disciplina artificiale. Avere la giacca in sintetico, brillante, di The U prodotta dalla Starter, in quel periodo, voleva dire essere allavanguardia: a dire il vero, si era allavanguardia se si aveva la giacca Starter di qualunque squadra, anche per il costo notevole, in un periodo in cui il dollaro ingaggiava una battaglia quotidiana, quasi sempre stravittoriosa, con la nostra lira. La mia fortuna fu sapere che, timido e impacciato comero, con un giubbotto del genere sarei stato ridicolo, e dunque non dovetti mai soffrire per il mancato acquisto.

The U in questo libro, quindi, ma curiosamente anche molta Pennsylvania: da lì vengono Joe Montana e Dan Marino, due miti di quegli anni. Forse i personaggi più popolari e influenti, capaci di dividere in due, ma in maniera non netta perché cerano altre squadre ed altri giocatori, gli appassionati italiani. Il loro confronto diretto/indiretto, nel Super Bowl XIX, avvenne proprio a metà decennio e ne rappresentò forse il culmine popolare e mediatico, anche se dodici mesi dopo il SB lo giocarono e dominarono i meravigliosi Chicago Bears, a mio avviso la squadra più rilevante degli ultimi 55 anni. E i Redskins, e la lega USFL, nata nel 1983 con lobiettivo di riempire in primavera il vuoto lasciato dalla stagione NFL: non solo negli USA, perché per noi appassionati italiani era trionfale lidea di poter vedere football anche da marzo a luglio, sempre la domenica mattina, magari al risveglio da una partita giocata o vista dal vivo. Non ci rendevamo conto in pieno del fatto che per la prima volta eravamo quasi pari agli americani: la USFL infatti era sconosciuta a loro tanto quanto a noi. Il loro vantaggio fu solo quello di riscoprire nella nuova lega nomi già celebri al college ma in Italia, per i soliti motivi aleatori, non popolari come avrebbero meritato: Jim Kelly (nato in Pennsylvania e andato alluniversità a Miami, tanto per dire), Mike Rozier, Chuck Fusina, Kelvin Bryant

Ecco, in (non) poche parole, quello che troverete in questo primo libro sugli anni Ottanta e il loro football. Dedicarlo a qualcuno che non si conosce è atto di orrida piaggeria, e tendenzialmente non mi piace. Mi viene però davvero da dedicarlo a chi in quegli anni cera, a chi in quegli anni non ha solo apprezzato il football ma ha contribuito a diffonderlo, a creare squadre, a fare insomma in modo che alcuni decenni dopo nascesse un libro come questo. Alle centinaia di giocatori che sono poi diventati allenatori, dirigenti, appassionati, magari trasmettendo la passione ai figli che ora potranno ricostruire qualcosa anche grazie a queste pagine, per forza di cose insufficienti. Grazie a tutti.

Generazione Joe Montana – Storie di football anni Ottanta, di Roberto Gotta (editore Indiscreto) è in vendita su Amazon, con il servizio Prime, sia in versione Kindle sia in versione cartacea (217 pagine). Da metà gennaio 2021 anche nelle librerie fisiche, indipendenti o di catena. 

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