Fuorigioco, la terza vita di Beppe Signori

9 Marzo 2022 di Stefano Olivari

L’autobiografia di Beppe Signori, appena finita di leggere, è un po’ diversa dalle classiche storie dei calciatori. Fuorigioco – Perde solo chi si arrende, uscita per Sperling & Kupfer, contiene ovviamente il racconto della carriera del grande attaccante della Nazionale, della Lazio, del Foggia e del Bologna, ma soprattutto quello dei suoi ultimi dieci anni di vita, passati a difendersi dalle accuse per il calcioscommesse del 2011, quello dell’inchiesta di Cremona. Da cui dopo appunto un decennio Signori è uscito pulito sia penalmente sia sportivamente, visto che l’anno scorso Gravina lo ha graziato. Ieri abbiamo telefonato a Signori per parlare del libro e della sua carriera.

La sua autobiografia alterna il racconto dell’incubo giudiziario degli ultimi dieci anni a quello della sua carriera. Alla fine della lettura, si ha la sensazione che i momenti brutti della vita le siano rimasti dentro più di quelli belli: è così?

Io sono sempre stato un tipo positivo, ma anche se tutto si è chiuso con una vittoria giudiziaria questi dieci anni non me li leverò mai da dentro. Stavo per iniziare ad allenare e adesso ho 54 anni: una parte della mia vita è scomparsa, senza contare quello che racconto nel libro e cioè che anche se in ogni tribunale è stata dimostrata la tua innocenza alla fine la gente pensa che qualcosa di vero ci doveva essere, quel Signori qualcosa deve averlo fatto. Del resto anche io prima la pensavo così, quando leggevo di un processo.

Ogni calcioscommesse ha bisogno di un grosso nome per finire sulle copertine: è stato così anche nel caso di Signori?

Dico soltanto che nel 2011 non ero tesserato per nessuna società. Di più: la mia immagine di ex calciatore non è legata ad alcun grande club, di quelli che mediaticamente fanno la differenza. Però al tempo stesso ero un volto noto. Insomma, Signori si poteva sacrificare. 

Lei nel libro scrive tranquillamente di avere scommesso sulle partite, quando era legale farlo, ma di non avere mai condizionato un risultato. Come è nata la sua passione per le scommesse?

Nello spogliatoio, fra compagni, con le sfide più diverse, come riuscire a fare gol da dietro la porta. Poi quando le scommesse sportive si sono diffuse sono passato a quelle. La spinta è quando uno crede di capire il calcio e le dinamiche delle partite. Io credo di averlo visto, un po’ di calcio, in tutte le categorie, e di capirne. Ma ho sempre scommesso da ex, mai con me in campo, e anche questo al processo è venuto fuori. 

Diceva delle categorie. Lei è uno dei pochi calciatori ad essere arrivato in serie A passando da tutte: Interregionale, C2, C1, B, e lo ricorda con orgoglio. Come sarebbe cambiata la sua carriera se nelle giovanili dell’Inter, quando aveva 15 anni, avessero scelto lei invece di Pizzi?

Ognuno di noi ha un destino, penso che alla fine mi sia andata bene. Comunque Fausto è arrivato in Serie A, non fu certo una scelta sbagliata. E poi valutare i ragazzi è sempre difficile.

È vero, come dicono molti allenatori, che l’attaccante è il ruolo che meno risente del salto di categoria?

Non sono d’accordo, ci sono tanti attaccanti che cambiando categoria scompaiono. Ci sono anche casi strani come il mio, che ho segnato di più nelle categorie maggiori. Forse vuol dire che ero uno da Serie A…

Nell’immaginario collettivo Zeman e Sacchi, pur con moduli tattici differenti, sono spesso associati. Come mai lei ha un’opinione così diversa su di loro?

Non è questione di 4-3-3 o di 4-4-2, ma di atteggiamento. Zeman si difende attaccando, Sacchi attacca difendendo: non è un gioco di parole, ma la differenza fra un 4-3 ed un 1-0. Poi è chiaro che in campo ci vanno i giocatori, i trofei alzati dipendono soprattutto da loro. 

A proposito di Sacchi, il suo rifiuto di giocare da centrocampista esterno la finale mondiale del ’94 è stata la scelta peggiore della sua carriera?

Questo è sicuro, con la testa di oggi non la farei mai, anzi giocherei anche al posto di Pagliuca se Sacchi me lo chiedesse. Va detto che Baggio stava davvero male, nei tre giorni prima della finale con il Brasile non si era mai allenato e tutti eravamo convinti che non avrebbe giocato. Insomma, ero convinto che ci sarebbe stato in attacco un posto in più. 

Perché in tanti ancora ricordano il Foggia di Zeman? Quale era la sua magia, a parte Zeman?

Ragazzi sconosciuti, che riuscivano a divertire tutti. Una squadra simpatica anche ai tifosi delle altre squadre, cosa rarissima. 

Lei è stato una stella assoluta del calcio italiano degli anni Novanta, con diecimila persone scese in piazza per impedire il suo trasferimento dalla Lazio al Parma. Come era il livello di quel calcio, paragonato a quello di oggi?

Non sono un nostalgico perché ogni epoca ha avuto i suoi campioni. Una differenza che trovo evidente è negli allenamenti: trent’anni fa la preparazione era uguale per tutti, io dovevo correre come Boksic pur avendo un fisico diverso, mentre oggi l’allenamento è più mirato, si lavora meglio sulle caratteristiche del singolo. Ma non si può dire che fosse meglio prima o oggi: certo negli anni Novanta le squadre italiane più ricche erano davvero ricche, in rapporto al resto del mondo, e quindi i migliori non li vendevano quasi mai.

Chi sono stati i più forti calciatori incontrati sul campo, da compagni o da avversari?

Dire Roberto Baggio è scontato, ma per citare quelli che davvero mi hanno fatto impressione, visti da vicino e non in televisione o dalla tribuna, devo partire da lui. Poi Ronaldo, Batistuta, Zidane e Van Basten.

Il VAR avvantaggia troppo gli attaccanti? Quanti gol segnerebbe Signori nel calcio di oggi?

Intanto ne avrei una decina in più, per quegli autogol che ai miei tempi rimanevano autogol. Certo il VAR cambia il modo di difendere e per gli attaccanti è meglio.

Che cosa vuole fare Beppe Signori oggi? 

Sogno di allenare, perché ho il patentino UEFA Pro e potrei farlo ovunque. Ma preferirei i bambini, in ogni caso i giovani.

 

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