Felice e Conterno

28 Agosto 2010 di Simone Basso

di Simone Basso
Fine Agosto con la terza grande corsa a tappe del calendario, quella più giovane e meno santificata. Si parte con la sorpresa, la sperimentazione pura, di una cronosquadre cittadina in notturna. E’ il destino stravagante della Vuelta, il dover ricorrere alle novità a tutti i costi per non essere stritolata dal Moloch Tour e dal Colosso Giro; in questo caso le strade della splendida Siviglia, la città della Giralda e del genio pittorico di Velàzquez, saranno invase da sfregaselle in tutina aerodinamica fino alla mezzanotte: un prologo interessante a una competizione che riproporrà l’ultimo tavolo da poker per i tappisti doc. Tracciato a dir poco insidioso, caratterizzato da salite aspre, brevi o di media lunghezza, adattissimo al flamenco classico di quelle terre; ecco quindi un bignami per illustrare il menu…
L’incipit vero e proprio sarà il 31, alla quarta frazione, sul muro di mille metri che porta a Valdepenas de Jaèn, con un tratto al 26 per cento (…); poi il corto ma tremendo Alto de Xorret del Catì, all’ottava, tra una tappa di media montagna e l’altra. La seconda settimana avrà l’unica salita pirenaica, Andorra, e nel weekend dall’11 al 15 Settembre le quattro giornate cruciali, intervallate dall’ultimo riposo: la Pena Cabarga, altro mostriciattolo, l’ascesa classica verso Lagos de Covadonga (il Pordoi iberico), il tappone asturiano che arriva a Cotobello e la cronometro insidiosa (46 chilometri) di Penafiel. Ultimo appello per i più ambiziosi, il penultimo dì (Sabato 18), la Bola del Mundo ovvero la salita che definirà la classifica generale: ci sentiamo di nominare tre favoriti tre per la corsa; Denis Menchov, alla ricerca della tripletta, Frank Schleck (scortato dal fratellino Andy) e il nostro Vincenzo Nibali. Gli outsider? L’armada spagnola (Stakanov Sastre, l’amletico Antòn, il pericoloso Mosquera, Purito Rodriguez) e una serie di incognite come Roman Kreuziger (che potrebbe essere un problema per lo Squalo dello Stretto..), Tom Danielson e il rookie Tejay Van Garderen.
Vuelta settembrina con il primato rosso fiammante, per noi una bella iniziativa che si distacca dalla tradizione (recente) della maglia oro:
il colore delle insegne del campeon è sempre stato, proprio come la collocazione stagionale, nomade. Nacque arancione nell’Aprile del 1935, poi fu camiseta blanca dal Giugno 1941; ridiventò orange nel 1942 e nel Maggio ’45 si tinse di un rosso che, l’anno seguente, si trasformò in una striscia sullo sfondo bianco latte. Dopo un Giro di Spagna agostano (1950), nel 1955 adottarono il giallo e la partenza nuovamente a metà Aprile: ci furono tante edizioni “straniere”, in pieno franchismo, caratterizzate da strade polverose e un’arretratezza organizzativa quasi folkloristica. La concorrenza leale con il Giro la trasformò in un’alternativa possibile alle difficoltà della corsa rosa, ma solo con il declino della creatura di Torriani (sul finire dei Settanta), la Vuelta (ri) guadagnò una statura internazionale.
Ironia della sorte, l’ultimo caso isolato di camicia roja fu nel 1977; l’anno dominato dal cannibalesco Freddy Maertens
, che prese la leadership a Dehesa de Campoamor e la conservò per i diciannove giorni rimanenti: il malloppo, oltre al trionfo finale, furono anche la classifica a punti, quella dei traguardi volanti e tredici (!) tappe… Poi fu un crescendo orchestrale alla Manuel de Falla, con un livello tecnico e agonistico sempre più alto: il 1983, l’ultima perla Renault del Tasso Hinault, scortato da uno squadrone di giovani fenomeni (Fignon e Lemond..); il 1984 del piccolo Eric Caritoux che riuscì a resistere alla corrida dei padroni di casa e la beffa ai danni di Robert Millar dell’anno seguente, fregato da una santa alleanza che portò in amarillo l’eroe di casa Delgado. Il bis di Perico, 1989, fu una battaglia tra l’ex strillone di Segovia e Fabio Parra, capotribù dei colombiani; la più grande Vuelta a nostra memoria con quella del 1993, caratterizzata dal derby elvetico Rominger-Zulle: un duello senza esclusioni di colpi vinto dal più esperto Tony nel nubifragio del tappone di Oviedo, quando l’allora ventiquattrenne Alex cadde in discesa inseguendo il connazionale in fuga. La creatura Unipublic, accettando la proposta dell’Uci, si spostò a Settembre dal 1995: così facendo è diventata ancora più frequentata dai ras del plotone, ma che pedalano con il pensiero costantemente rivolto alla rassegna iridata. Negli ultimi anni, al netto delle solite vicende d****g, il grande Giro iberico è vissuto sulla schizofrenia di questa scelta: non è un caso che i grandi di Spagna, Miguelon Indurain e Alberto Contador, l’abbiano corsa poco e spesso malvolentieri. Gli italiani nell’albo d’oro, aspettando la Vuelta buona, sono solamente quattro: le due imprese di mezzo, il Gimondi 1968 e il Battaglin 1981, rispettarono la legge darwiniana del più forte; la prima e l’ultima invece furono simili nelle dinamiche.
Nel 1990 Marco Giovannetti entrò nella fuga giusta e firmò un piccolo capolavoro; nel 1956 Angelo Conterno corse con astuzia e regolarità portandosi a casa lo scalpo più ambito.
Quella affermazione, la vernice di un tricolore nelle lande di Picasso, nasconde però una storia drammatica, tipica di uno sport spietato, feroce, come il ciclismo. Si correva per squadre nazionali e, dopo il bottino di Penna Bianca nella seconda tappa, ovvero tappa e maglia, gli azzurri decisero di spartirsi le fortune (cioè i denari…) con i belgi. Il patto, per difendere l’amarillo di Conterno, consentì ai dragoni fiamminghi un bel supporto per le vittorie parziali del leggendario Rik Van Steenbergen (sei). Però, la notte prima della passerella trionfale, l’Angelo accusò i primi sintomi di una broncopolmonite; la mattina della Vitoria-Bilbao si presentò vestito come a un ciclocross invernale, a dispetto di una canicola insopportabile. L’idea di ritirarsi, dopo diciassette giorni di sacrifici, non sfiorò nemmeno la sua mente e quella di un gruppo il cui nucleo centrale fu costituito dall’ultima grande generazione di pro piemontesi (oltre alla maglia gialla, Defilippis, Astrua e Favero). Ma sull’unica asperità di giornata, il Sollube, il procedere da automa del leader insospettì i rivali; Conterno, con la febbre a quaranta, iniziò a perdere sangue dalla bocca, causa la lesione di un polmone, e Lorono (il secondo nella generale) attaccò con Bahamontes e Impanis. Tra gli sputi del pubblico ostile gli italiani, con l’aiuto di squadre straniere, trainarono Penna Bianca verso un ricongiungimento che ebbe del miracoloso: su quella strada bianca forarono tutti i compagni del capoclassifica, tranne lui, Padovan e Buratti. Gli ultimi venti chilometri in gruppo furono un calvario assurdo, con il Conterno che non ci vedeva più. “Dov’è Lorono?”.  “Angelo, è davanti alla tua ruota!”. Il Golgota terminò al traguardo, anche se a 800 metri dall’arrivo il torinese rischiò di centrare uno spartitraffico che occupava il centro della carreggiata… I trenta secondi di penalizzazione per spinte, il podio con il mazzo di fiori, il brindisi per la vittoria non riguardarono l’eroico Penna Bianca; che fu immediatamente trasportato in ospedale. Su quell’episodio incredibile, anni dopo, il protagonista della vicenda ebbe a dire: “Avessi saputo di una cosa del genere non lo avrei mai fatto. E’ vero che tutto questo crea gloria, sono ricordi che entrano nei libri di storia del ciclismo… Ma la vita, la salute di una persona, è più importante.”
Questo articolo è dedicato alla memoria dei tre piemontesi che corsero quella Vuelta e non ci sono più, due dei quali (il Cit e Astrua) c

i hanno lasciato pochissimo tempo fa. E al ricordo struggente di Tommaso Cavorso, un quattordicenne che nemmeno conoscevamo. Il ragazzo tesserato per l’Aquila di Ponte a Ema (la società che lanciò Gino Bartali) è morto l’altroieri mentre rincorreva i suoi sogni a cavallo di una bicicletta da corsa, travolto come troppi altri da un’automobile guidata da un irresponsabile.
Simone Basso
(in esclusiva per Indiscreto)

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