Le pattine di via Tadino

18 Ottobre 2012 di Stefano Olivari

Dario Crapanzano è un genio, lo diciamo senza sapere chi sia al di là delle poche note sull’aletta destra del suo libro ‘Il giallo di via Tadino’ (Fratelli Frilli Editori): milanese, laureato in giurisprudenza, un’ottima carriera nel mondo della pubblicità, di sicuro non uno che abbia mai vissuto di letteratura (nemmeno Moravia ci riusciva, del resto). Un autore che abbiamo scoperto grazie al puro passaparola, nell’esclusivo spogliatoio numero tre della DDS di Settimo Milanese, con i compagni (di calcetto) Paolo e Andrea che ci hanno attirato con questa loro recensione: “Sembra scritto con le pattine. Ed è scritto così male che la cosa sembra voluta”. Nell’era delle recensioni tarocche (su Amazon e non solo) ci siamo quindi fidati di gente con una faccia. Le pattine, lo spieghiamo per gli Under 90, sono (erano?) pezzi di stoffa o di tessuto, spesso anche ben cucite e impunturate, che nelle case dei nonni o dei prozii delle famiglie medio e piccolo-borghesi venivano messi sotto i piedi dei visitatori “Per non rovinare il pavimento”. Nessuna sega mentale da giapponese de’ noartri: era proprio cura maniacale per case sempre semibuie e con soprammobili cattura-polvere (ben prima dei panni Swiffer), che avrebbero incupito chiunque ma non chi almeno da spettatore aveva vissuto una guerra mondiale. Personalmente abbiamo fatto in tempo non solo a veder giocare Helmut Haller (poco, l’anno del suo secondo scudetto juventino) ma anche a convivere con l’ossessione per la cera sui pavimenti. Ma torniamo a Crapanzano e al suo libro con le pattine, cioé evocante un’altra Italia. Non solo perché è ambientato nella Milano del 1950 (se no ogni romanzo ambientato nel passato sarebbe con le pattine, definizione che non assoceremmo però a Ken Follett o a Robert Harris), ma perché è scritto con uno stile così volutamente retrò da essere sublime. La trama è piuttosto esile, anche se non più di quelle di Camilleri-Montalbano: una donna che si è apparentemente suicidata in una casa di ringhiera di via Tadino, con solo qualche stranezza che induce il commissario Mario Arrigoni ad indagare evitando di chiudere subito il caso. Crapanzano riesce ad ammorbare non certo con la storia e nemmeno con l’ambientazione, ma con uno stile narrativo che prendendo spunto dal Codice Civile potremmo definire da ‘buon padre di famiglia’. Nel racconto dei piccoli episodi della giornata e nel volare sempre basso, Arrigoni e il mondo che lo circonda sembrano davvero quelli di nostra nonna. Solo che non stiamo leggendo Carolina Invernizio, ma un giallo scritto nel 2011. La genialità di questo autore non risiede quindi nello scrivere ‘vecchio’, ma nello scrivere direttamente dal passato. Evitando così i rischi di nostalgia e soprattutto di moralismo: nessuno negli Cinquanta avrebbe mai mitizzato l’Italia degli anni Cinquanta.

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