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Bagaglio a mano

Coppa Italia esaurita

Paolo Sacchi 14/12/2012

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L’annunciatissimo tutto esaurito di Juventus-Cagliari di Tim Cup in coincidenza con il ritorno in panchina di Antonio Conte non c’è stato. Almeno nei fatti, perché mentre Giovinco segnava, a esultare allo Juventus Stadium s’intravedeva una folla di poco superiore a quella di un’assemblea condominiale. Questo per dire che, aldilà del brillante senso dell’umorismo di chi ha definito l’impianto ‘tecnicamente tutto esaurito’ mettendo nel conto anche le migliaia di abbonati bianconeri che tutto hanno pensato di fare quella fredda serata di dicembre tranne che andare (gratis) allo stadio, la partita di Torino ha avuto sicuramente un merito: fotografare lo stato dell’arte della competizione. L’immagine più triste e per molti versi grottesca del calcio italiano di oggi.

Mai avremmo pensato che la seconda competizione nazionale dello sport di gran lunga più seguito d’Italia si sarebbe trasformata in un trofeo così vuoto di contenuti e venisse disputata in contesti di pubblico non dissimili a quelli del torneo dei bar della via sotto casa. E dire che la coppa è una competizione che in tutti i Paesi europei, se non il fiore all’occhiello, rappresenta un’opportunità di spettacolo, denaro, fama tale da raggiungere un livello di attenzione analogo quello del massimo campionato locale. Non da queste parti, dove si veleggia tra lo svilimento generale del prodotto e indifferenza assoluta di chi lo disputa. Quando mai vi è capitato di assistere a gare di una competizione – di qualsiasi sport, a qualsiasi livello – in cui alcune se non la maggior parte delle contendenti sembrano, mettiamola così, ‘poco motivate’ a vincerlo, a qualificarsi? Cose già dette e ripetute ma dopo le gare di questa stagione è difficile non porsi una questione: se così tanti club danno ‘priorità’ al campionato schierando le riserve delle riserve (con i mister ad attendere – immaginiamo con quale ansia – le famose “risposte da chi ha giocato meno in campionato”), ovvero non disdegnando eliminazioni precoci, che senso ha continuare a far disputare la manifestazione, oltretutto a orari e giorni pazzeschi, di fronte a nessuno? Meglio un sorteggio, a carte, o alla Playstation. Almeno si risparmierebbero tempo e costi della luce elettrica, alberghi e pullman. Circa il palinsesto di Rai Sport nessun problema: è probabile che una replica di Eurogol 1977 faccia almeno il doppio degli ascolti.

E dire che l’avevano definita ‘La coppa all’inglese’. In realtà la Tim Cup è un trofeo italiano che più italiano che non si può. Perché è fondato su un antico vizio della penisola, reso immortale da una frase del celebre marchese interpretato da Alberto Sordi nel film di Monicelli che è inutile ricordare. Nel Paese che fu anche quello delle Signorie e oggi è quello delle auto blu, sembra inscalfibile l’abitudine da parte di qualcuno di sentirsi o di voler essere ‘più uguale degli altri’. Il fatto è che ovunque nel mondo la coppa nazionale è sinonimo di uguaglianza, della possibilità per qualsiasi
club di vincere la competizione sfidando alla pari i ‘fratelli maggiori’ delle serie superiori. Non mancano gli esempi: solo quattro anni fa nella FA Cup inglese tre delle quattro semifinaliste militavano nel Championship; nella scorsa edizione della finale di Coupe de France sono usciti sconfitti con grande onore i dilettanti del Quevilly. Questo è il bello di una competizione che per antonomasia offre a chiunque la possibilità di partire alla pari e arrivare fino in fondo. Per dirla tutta: ovunque i sorteggi degli accoppiamenti sono effettuati senza ‘teste di serie’ o vantaggi particolari, se non come in Svizzera e Germania le formazioni più deboli godono del fattore campo a favore nella fase iniziale. Le squadre dei massimi campionati entrano in gioco già dai primi turni senza benefici o privilegi negli accoppiamenti. Ovvero, ai 32esimi di finale è possibile – è già accaduto – che il Chelsea trovi il Manchester United sul suo cammino, oppure di vedere Aguero e i compagni del City doversi andare a conquistare la qualificazione a casa di un club dilettantistico.

In Italia no, ci mancherebbe. Proprio com’è improbabile accedere ad alcune professioni per il popolino, per i piccoli club nostrani la finale della Coppa Italia è un miraggio. Con un regolamento unico nel suo genere, le grandi squadre beneficiano di un lasciapassare che le porta direttamente agli ottavi di finale, senza neppur permettere la soddisfazione alle piccole di averle sfidate. In più, con il privilegio pure di giocare sempre in casa nei turni successivi. Noblesse oblige. Si dice spesso che il calcio sia uno specchio del Paese. Pensando alla Coppa Italia, speriamo proprio di no.

Paolo Sacchi, da Torino

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