C’era una volta il Bologna

16 Settembre 2009 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari
I nerazzurri di Gramlick (stiamo parlando del Cricketer) si aggiudicarono due edizioni della Challenge-Cup, che fino al 1911 ebbe un discreto successo di pubblico. Poi le tensioni all’interno dell’Impero Austroungarico e le polemiche sugli arbitraggi (incredibile il numero di partite terminate con il ritiro per protesta di una delle due squadre) ne decretarono la fine, con il trofeo da allora rimasto nella bacheca dell’ultimo vincitore: il radicatissimo Wiener Sport Club (ha sede nel quartiere di Dornbach), la cui sezione calcistica è ai giorni nostri nella serie C e nella sua Hall of Fame può vantare Finn Laudrup (il padre di Michael e Brian) ma soprattutto il tedesco Horst Blankenburg che passò da lì prima di andare a vincere tutto con l’Ajax. Bella storia, peccato che fra Grande Guerra e altri problemi non si sentì più il bisogno di una vera attività internazionale per club fino agli anni Venti. Quello britannico rimaneva un mondo a parte, mentre nel continente il professionismo fu introdotto proprio dagli stati del centro Europa: Austria, Ungheria e Cecoslovacchia. Sulla spinta di Hugo Meisl, ex giocatore del Cricketer di Challenge-Cup e factotum della federazione austriaca (presidente, allenatore, segretario, più avanti creatore del Wunderteam), queste tre federazioni si accordarono con quella jugoslava per dare vita alla…Mitropa Cup. Versione inglese, in Italia si parlava di Coppa dell’Europa Centrale. Quella Mitropa era ben lontana, nel 1927, dalla serie B dei rispettivi campionati: vi avrebbero infatti partecipato le migliori due squadre di ogni paese, dal 1934 quattro. Particolare da non trascurare, dal 1929 il posto della Jugoslavia venne preso dall’Italia: prime partecipanti ad una coppa europea furono Juventus e Genoa, entrambe eliminate nei quarti (abbiamo dimenticato di dire che era prevista l’eliminazione diretta fin da subito). Il primo successo nostrano è invece del 1932, con il Bologna senza…finale. Infatti Juve e Slavia Praga nella semifinale di andata diedero vita ad una sfida di violenza notevole: stando all’ottima ’11 Freunde’, rivista tedesca di cultura calcistica (si riesce a leggere conoscendo le 50 parole base del calcio, provare per credere: alla peggio esistono i traduttori), la violenza in campo fu soprattutto degli italiani e quella fuori soprattutto dei cechi. Quattro a zero per lo Slavia e ritorno a Torino: sul due a zero per la Juventus la partita degenerò e dagli spalti piovve di tutto. Anche un sasso che quasi ammazzò il portiere ceco Planicka (proprio il grande Planicka). Solita avvertenza, una volta al mese ci tocca, per i cultori del ‘non l’abbiamo visto in televisione, quindi non esiste’: mancano i riflessi filmati anche della battaglia di Lepanto, così come dell’incoronazione di Carlo Magno. Lo Slavia abbandonò il campo per protesta, ma furono squalificati tutti e così senza giocare la finale il Bologna allenato dall’ungherese Gyula Lelovich (molti anni dopo scopritore di Giacomo Bulgarelli) diventò il primo club italiano a conquistare un trofeo internazionalmente riconosciuto.

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