Camminare insieme

4 Settembre 2009 di Oscar Eleni

di Oscar Eleni
Oscar Eleni in memoria di Gianluigi Porelli che, stanco del viaggio sopra i campi assetati, ha cavalcato i suoi sogni e se ne è andato a spasso promettendoci un tavolo privilegiato quando sarà il momento di rimettersi insieme. Doveva accadere, eravamo preparati, ma noi pochi, noi pochi felici di aver vissuto tanti momenti speciali con questo gigante, sentiamo adesso che qualcosa ci è stato rubato quando non eravamo ancora pronti. Ci aveva urlato al telefono che la battaglia finale andava combattuta senza tener conto della paura. Lui non ha mai saputo cosa fosse la paura. I sogni, sì, quelli li colorava con la sua passione, doveva essere tutto in tinta, tutto come al Madison: dalle tende, al legno duro per le battaglie. La gente doveva entrare nel suo palazzo, il palazzo della gente, non certo dell’avvocatone che lo voleva bello, lontano dai fondali dell’euro facile, per vedere soltanto le quattro effe ingigantite, per amare la Virtus, per vivere con Lei le ore dello spettacolo dimenticando tutto il resto. Ci aveva lavorato tanto a quel progetto, ma alla fine era uscito in trionfo e la gente glielo ha fatto sapere, gli ha scritto, gli ha mandato un librone pieno di firme che erano baci e abbracci e lui quel librone lo custodiva come una vera reliquia. Non voleva raccontare la sua vita, ci ha mandato via troppe volte per tornare alla carica quando scherzando gli facevamo notare che senza prove scritte la gente poi avrebbe dimenticato l’eterno duro, il maestro che aveva costruito qualcosa di speciale, irripetibile.
Certo tutti sanno adesso la storia della vera Virtus, ma pochi conoscono quello che lui si è inventato per ridare vita alla grande radice, al vitigno bruciato dal tempo e da una quasi retrocessione. Un capolavoro che nessuno potrà mai avvicinare, anche chi ha vinto più di lui, anche chi pensa di aver fatto cose più importanti. Se la raccontano i generali, ma se si fermano a pensare si renderanno conto che questo
“Albero gigantesco
svetta come tra le nuvole
nel campo secco”.
Ci ha lasciato ricordando ancora suo nonno che nella campagna mantovana gli ripeteva sempre di non accettare mai di annegare in una pozza, perché era molto meglio annegare in mezzo al mare. Lui li ha esplorati tutti questi mari. La vita è sogno. Aveva un quadro per ricordare che doveva andare sempre avanti con questo desiderio di volare sopra le nuvole anche quando doveva repingere i dolcissimi consigli di Paola, la meravigliosa, straordinaria regina del suo mondo quieto e turbolento alla stessa maniera. Il suo credo era la battaglia guardandosi sempre in faccia. Aveva una filosofia della vita e della sofferenza. Gli piaceva trasgredire, oh se lo ha fatto, gli piaceva macchiarsi quanto voleva, di urlare che la macchia è libertà a chi lo rimproverava se, per caso, a tavola, si ungeva la cravatta, la camicia.
Con lui abbiamo vissuto davvero. La prima volta ci tenne per ore fuori da un aeroporto , quello di Zagabria, per valutare quello che avevamo visto nel viaggio “di studio” sulla vita degli altri. Partita di addio per Rato Tvrdic a Spalato. Una cosa grande, una cosa meravigliosa, un modo per imparare da quella gente, da quella scuola che ancora adesso ci manda messaggi importanti, che ancora oggi avvicina l’avvocatone a Creso Cosic il campione che forse ha amato di più quando c’era da volare oltre il confine della banalità, della vita così come la vedono i grigi cavalieri della piccola apocalisse sportiva che sono sempre alal ricerca del consenso senza meritarlo.
Un colore solo, con poche sfumature per il suo Palazzo. Il bianco e il nero sulle maglie da non confondere mai, rifiutando chi voleva violentare la storia della Vu nera pagando moltissimo per cambiare. Conosceva il valore dei soldi, ma non li ha mai barattati quando era ora della zingarata per andare nel mondo dei sogni.
Ci ha insegnato a rispettare le regole della vita, della convivenza, dello sport perché ha pensato sempre al bene comune, mai al particolare. Soltanto lui poteva rinunciare ad un filotto di scudetti per non annoiare la gente, soltanto lui poteva prestare a Milano gli uomini per vederla risorgere, soltanto lui poteva credere in una Lega dove tutti si davano da fare per il bene comune, non per cercare un vantaggio che lasciasse gli altri sulla spiaggia piena di petrolio. Chiedete a chi ha vissuto con lui l’età dell’oro. Li troverete tutti abbracciati nel ricordo di Gigi l’argonauta. Era impeto e assalto. Sapeva amare, non riusciva ad odiare fino in fondo, non conosceva il tradimento, sapeva cosa era lo stile, non aveva paura di battersi anche quando una gomma scoppiata lo aveva fatto volare oltre la prima barriera corallina della vita costringendolo a rientrare a nuoto, combattendo la depressione, dimenticando che ci volevano troppe medicine per stare sempre bene.
Lo decideva lui quando voleva stare bene e quando era il momento per dormire. Generoso e con l’orgoglio di aver costruito davvero la grande casa Virtus, di averle dato una base che potesse durare nel tempo. Si è stancato, si è battuto per inventare con i suoi amici Portela e Lespiteau la grande Europa del basket. Voleva sempre entrare a palazzo Accursio sul cavallo delle grandi battaglie, ma era felice se il sindaco, se la giunta si ricordavano della Virtus, sì, anche se si ricordavano di lui, ma non era questo quello che cercava perché altrimenti avremmo avuto il libro che ci avrebbe permesso di passare gli anni della crisi, di imparare ancora tanto. Ci penseremo quando ci si ritroverà, caro avvocato. Per adesso lasciamoci così, prendendo a calci l’ultima bottiglia vuota, andando in giro per il mondo senza dover ubbidire a nessuno. Certo che non è stato un santo, ma, cara gente, siamo orgogliosi di aver camminato con lui nelle terre difficili, di averlo avuto come maestro. Ci ha insegnato a vivere anche quando fingeva di essersi stancato di dare consigli a chi sembrava nato sordo. Il dolore è forte, ma per Gianluigi Porelli non si piange, si brinda, ci si abbraccia e si ricorda insieme.
Gli abbiamo voluto proprio bene, a lui e a Cesare Rubini che non saprà mai di aver perso questo adorabile nemico, questo cavaliere che cavalca il vento leggero per raggiungere un solo tempio passando fra montagne maestose dove lascerà qualcosa perché nella sua vita ha più dato che ricevuto. Ci si rivede caro Torquemada. Non manca molto e il tavolo deve essere bello come quello del Diana dove ogni giorno porteranno un fiore, ma ci sono tanti tavoli dove fermarsi a ragionare, cantando alla vita che non ci lascia vivere per sempre con quelli che abbiamo scelto come compagni di viaggio.
Oscar Eleni

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