Cameron o Miliband?

7 Maggio 2015 di Stefano Olivari

Le elezioni politiche britanniche ci offrono il pretesto per un ‘Di qua o di là’ volutamente provocatorio, visto che da quando siamo nati sentiamo magnificare, nei dibattiti post-elettorali italiani, i sistemi di voto delle cosiddette ‘democrazie mature’ (la nostra fa schifo, per definizione: non è che faranno schifo anche i votanti?) dove ‘la sera stessa delle elezioni si sa già chi governerà’. È consigliato pronunciare queste frasi con tono dolente e grisaglia alla Augias. Scriviamo prima di conoscere l’esito della contesa elettorale, quindi possiamo sbagliarci, ma per come è strutturato il sistema (cioè 650 collegi uninominali a turno unico) è prevedibile un botto dello SNP (lo Scottish National Party, leader Nicola Sturgeon, la primo ministro scozzese che stando al programma potremmo definire una Salvini di sinistra) e un ridimensionamento dell’UKIP di Nigel Farage che l’anno scorso ottenne un risultato clamoroso alle Europee e degli stessi liberali di Nick Clegg che è l’alleato naturale del partito conservatore di David Cameron attualmente al governo, mentre l’UKIP non lo è di nessuno e lo SNP potrebbe in qualche modo puntellare un governo del partito laburista di Ed Miliband se questo dovesse vincere con una maggioranza non assoluta. Ma al di là della formazione di un governo che governi, comunque possibile, adesso che Tory e Labour non sono più quelli di una volta il sistema mostra la sua vera stortura: i partiti di opinione, cioè la politica nel senso più nobile del termine, sono assurdamente penalizzati, a beneficio dei ras locali (o peggio ancora, dei ‘nominati’, perché nella maggior parte dei collegi si è trascinati dal partito) dei due grandi partiti e dei partiti localistici. E allora facciamo finta di essere nella Gran Bretagna di una volta: Cameron o Miliband?

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