Battere la terra

17 Ottobre 2007 di Paolo Pemulis

Si dice in giro che in Italia esista solo la terra. Il cemento (armato, ma non sempre) è impiegato per lo più nella costruzione di edifici. Il sintetico indoor è una superficie per reietti, cui fare ricorso quando la temperatura scende sotto lo zero. L’erba – perdonatemi la battuta – è appannaggio dei pusher albanesi. Nove tornei su dieci sono disputati sulla nobile ‘clay court’, l’Eldorado del tennis italiano. I nomi blasonati da associare a questo ‘luogo epico’ li conoscete tutti: da veri e propri simulacri come Sergio Palmieri, Nicola Pietrangeli e Adriano Panatta, a titolati comuni mortali del calibro di Filo & Poto. La patina color terracotta su scarpe e stringhe, i calzini da cestinare a fine match, piedi ancorati almeno tre metri dietro la linea di fondocampo, palle rotonde e arrotate e …remare, remare e ancora remare: sono i tratti caratteristici del terraiolo classico. La versione moderna si è evoluta: serve meglio, gioca vincenti, si costruisce abilmente il punto ma la base di partenza, le origini, o come diavolo volete chiamarle, sono quelle appena descritte. Ma è proprio vero che noi italiani siamo un popolo di terraioli? Le nuove generazioni di tennisti hanno la terra nel dna o nel biberon? Non c’e’ via di scampo, anche per uno col talento di Matteo Trevisan?
Chi scrive si è posto domande come queste, prima di compiere un’analisi sui più importanti tornei ITF Under-18, finalizzata al confronto del rendimento dei tennisti di diversa nazionalità al variare delle superfici. Premesso che a livello Under 18 è ancora un po’ presto per parlare di specializzazione di un giocatore di tennis, l’analisi ha offerto spunti di riflessione interessanti, che vale la pena di condividere. Abbiamo circoscritto l’ambito di analisi ai quattro tornei dello Slam e ai tornei di Grado A, che l’ITF sostanzialmente parifica ai primi ai fini del calcolo dei ranking point. Il periodo considerato è la stagione 2007, pertanto abbiamo dovuto escludere l’Orange Bowl, l’unico torneo pesante da disputare il prossimo dicembre. Abbiamo replicato il sistema di calcolo ITF, che assegna al vincitore di un Grado A 250 punti, con un bonus di ulteriori 250 punti per i vincitori di un torneo dello Slam, 180 punti al Runner-up, 120 punti ai semifinalisti e così via. In campo maschile, le prime due posizioni di questa mini race generale sono occupate dal bielorusso Uladzimir Ignatik (con 1070 punti) e dal lituano Ricardas Berankis (con 820 punti), che, guarda caso, sono in vetta al ranking Itf. Sin qui, mi direste: hai scoperto l’acqua calda. Considerando solo i tornei giocati sulla terra (Roland Garros, Bonfiglio e Copa Gerdau), Ignatik fa un po’ il Nadal (in miniatura, sia chiaro) della situazione, avendo vinto Roland Garros e Gerdau e fatto semi a Milano: il talentuoso furetto, allenato da Myron Grunber (presso la John Roddick Total Tennis Academy), ha incamerato sulla terra 870 dei 1070 punti complessivi. E, proprio come Rafa, è giunto in finale a Wimbledon. Ma siamo sicuri che Ignatik sia un terraiolo doc? Certo, è mingherlino, statura e gambe da ala destra, non serve missili a 220 km/h, ma è in possesso di una tecnica troppo raffinata per esser sbrigativamente etichettato come terraiolo.
La seconda piazza sulla terra rossa è occupata dal fiorentino Matteo Trevisan, con 370 punti (vincitore del Bonfiglio e semifinalista a Parigi). Segue il mancino francese Piro, forse il più terraiolo di tutti, con 300 punti. Anche con riguardo a Teo, ci si potrebbe chiedere: il semifinalista del recente Us Open – sconfitto da Berankis per una manciata di punti – è da considerarsi uno specialista del rosso? Gradiremmo interpellare voi lettori su questo punto, per conoscere la vostra opinione su Teo, il presunto terraiolo. Le superfici diverse dalla terra sono una colonia di Berankis (740 punti), che stacca di 240 punti l’australiano Klein e l’afro-americano Donald Young, che si sono limitati a vincere rispettivamente Open d’Austrialia e Wimbledon. E’ curioso, in realtà spiega tante cose, osservare come Teo Trevisan, senza aver un torneo pesante sul duro o sull’erba, si sia guadagnato la quarta posizione anche fuori dal suo habitat naturale a suon di piazzamenti: ottavi a Melbourne, Quarti a Wimby e, come detto, Semi a New York. Un gradino sotto Teo è il pugliese Thomas Fabbiano (foto), che con le due Semi raggiunte a Melbourne e New York si mette in luce come il meno terraiolo tra i talenti italiani.
In campo femminile, lo sapete tutti, il tricolore junior batte la fiacca. La Dentoni (terraiola anche lei?) si è chiamata fuori anzitempo e, coadiuvata da Laura Golarsa, sta saggiando le difficoltà dei futures. Zanchetta e Di Batte, le più anziane della nidiata, hanno francamente deluso, mentre le più giovani non sono ancora pronte per giocare ad alti livelli. Un discorso a parte, in realtà, andrebbe fatto per Andrea-Roxana Vaideanu, che – con un rovescio bimane per certi aspetti paragonabile a quello di Jelena Jankovic – è fuori dalle prime cinquanta al mondo, ma non sembra questo il contesto più adeguato. Possiamo solo evidenziare che Roxana – se non è fuggita nottetempo – si allena al Parioli con Erika Zanchetta. Tante speranze sono riposte in Nastassja Burnett, che ha appena 15 anni. Noi ci accontenteremmo di una con il rovescio della Vaideanu, l’abnegazione della cervese Gioia Barbieri e il fisico di …(le tenniste italiane non hanno questi gran fisici, ma non ditelo in giro), ma la cosa ahimè è irreale.
Tornando sui numeri, le regine della stagione, vale a dire “Ula” (Urszula) Radwanska (790 punti) e Anastasia Pavlyuchenkova (780 punti), in particolare la prima, devono tutto a cemento e Wimbledon. Radwanska Jr, con il brillante risultato ottenuto nel torneo Wta di Bangkok, ha compiuto il breakthrough nel circuito pro. Sulla terra ha trionfato Alize Cornet. Anche per la vincitrice del Roland Garros vale lo stesso discorso fatto per Ula: quest’anno ha giocato diversi tornei pro ed i risultati sono maturati anche sul cemento (vedi il 3° turno allo US Open 2007, con uno strepitoso primo set giocato contro Jelena Jankovic). Sono meno note, ma sul rosso hanno dimostrato di saperci fare, la francese Cincy Chala, vincitrice della Copa Gerdau, e la serba Bojana Jovanovski, finalista al Bonfiglio. Le due sono entrambe del ’91 e in questa stagione si sono affrontate due volte, sempre sulla terra: in Brasile, in Semi, ha vinto la Chala, mentre al Bonfiglio, nei Quarti, si è imposta la Jovanovski. Sul duro la rivelazione dell’anno è Kristina Kucova. Una stagione davvero convincente quella della slovacca (580 punti tra US Open, Australian Open e Wimby), culminata con il successo a Flushing-Meadows. Tra le specialiste del cemento vanno annoverate anche la statunitense Madison Brengle (Runner-up a Melbourne, oltre che a Wimby) e l’austriaca Nikola Hofmanova, fresca reduce dalla finale di Osaka. Buoni i risultati anche per Ksenia Milevskaya (Semi a Melbourne, Parigi e New York) e Anastasia Pivovarova (vincitrice del Bonfiglio).
Concludiamo con un sommesso incitamento rivolto a scuole tennis, coach e organizzatori di tornei in Italia: è il momento di osare, di provare a uscire dal ghetto dorato, tradizionalista e sclerotizzato della terra. Ai coach in particolare: puntate sugli schemi e sul gioco d’attacco. In poche parole: evitate di far insozzare i calzini ai vostri allievi. Le mamme dei ragazzi ve ne saranno grate.

Paolo Pemulis
pemurama@yahoo.it

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