Anti-olandesi al potere

10 Febbraio 2009 di Alec Cordolcini

di Alec Cordolcini

1. “Come commenta l’elevato numero di rigori a favore della sua squadra in questa stagione?”. “Noi in area ci entriamo spesso”. Piccolo omaggio a Zeman e al suo stupendo Foggia, probabilmente la squadra italiana che si è più avvicinata ai dettami della scuola calcistica olandese. Una scuola che, secondo una recente inchiesta del settimanale Voetbal International, può considerarsi defunta, dal momento che quasi nessuna squadra in Eredivisie oramai le è rimasta fedele. Ma quali sono i tratti distintivi di questa filosofia calcistica? La rivista individua i seguenti: tridente d’attacco con due ali pure (alla Johan van’t Schip o, in tempi più recenti, alla Arjen Robben), un difensore centrale capace di partecipare alla costruzione del gioco e di impostare egli stesso la manovra (Frank de Boer o l’universale Philip Cocu), una coppia di terzini di spinta (il Giovanni van Bronckhorst dei bei tempi), un regista sulla linea mediana, pressing e possesso palla.
2. I più “olandesi” tra i tecnici della Eredivisie risultano così l’inglese Steve McClaren e il norvegese Trond Sollied. Il primo, si legge nel reportage, “giunto probabilmente in Olanda con la convinzione di entrare in un ambiente di spiccata mentalità offensiva” propone un Twente d’attacco con due seconde punte (Elia e Arnautovic) convertite con straordinari risultati in ali grazie al cristallino talento degli interpreti, un numero 10 a tutto campo (Perez) e una linea mediana aggressiva che in fase di non possesso non attende l’avversario cercando per contro di soffocare sul nascere la sua manovra. Ai Tukkers manca però un regista arretrato, quasi un piccolo contrappasso per un club che in passato ha annoverato tra le proprie fila il miglior libero “alla Beckenbauer” mai apparso nei Paesi Bassi, ovvero Epi Drost.
3. Un centrale attivo in fase di costruzione è invece presente nell’Heerenveen di Sollied, anche se Micheal Dingsdag si caratterizza più per le percussioni palla al piede (alla Lucio, per intenderci) piuttosto che per i lanci illuminanti dalle retrovie. Per il resto tridente “spurio” per i Frisoni (sulla destra un’ala vera, Beerens, a sinistra il jolly Pranjic) unito ad un regista (Vayrynen) sulla mediana. L’atteggiamento muta invece in funzione dell’avversario. Aggressivo con le piccole, prudente nei big match, con risultati alterni (bene nella vittoria all’Amsterdam Arena contro l’Ajax, disastroso in Uefa contro il Milan, anche a causa dell’incomprensibile 3-5-2 proposto da mastro Sollied). Possesso palla e pressing maggiore per i cugini del nord del Groningen di Ron Jans, la cui mentalità “olandese” è ibridata con un modulo che prevede due punte, un centrocampo a diamante e terzini padroni della fascia (ottimo Bruno Silva la scorsa stagione, quando finì nel mirino della Fiorentina dopo due splendide performance in Coppa Uefa contro i viola).
4. La squadra che meno di tutte risponde ai classici canoni della scuola olandese è la capolista del campionato, l’Az Alkmaar di Louis van Gaal. Modulo 4-4-1-1 senza ali, mentalità attendista e sorniona, il contropiede quale arma micidiale. Un dato esemplificativo: nell’incontro casalingo con il De Graafschap penultimo in campionato, il possesso palla degli ospiti è stato del 54%. L’Az ha vinto 2-0, un risultato piuttosto sparagnino che il club di Alkmaar quest’anno ha realizzato più volte (dieci gli incontri consecutivi al DSB Stadion in cui il portiere argentino Romero non ha incassato gol). Niente più roboanti 8-2 sul Nac Breda e altrettante pirotecniche cadute sul campo dell’Excelsior di turno; l’Az è diventato cinico e calcolatore, e sta facendo saltare il banco. Alla faccia di chi ritiene Van Gaal un santone tatticamente ormai superato…
5. Chiudiamo con le big, omettendo il Feyenoord già trattato la settimana scorsa. Il 4-3-3 di Marco van Basten all’Ajax è un inno alla sperimentazione, spesso senza criterio. Il tridente è privo di ali; non lo è Suarez, seconda punta mobile, né tantomeno Emanuelson, terzino/interno sinistro riciclato in avanti causa scarsa crescita nelle due precedenti posizioni. Le uniche ali vere Van Basten le tiene in panchina (Leonardo) o le cede in prestito dopo averle messe fuori rosa (Rommedahl, finito al Nec Nijmegen). In più impiega il serbo Sulejmani come numero 10 alle spalle del tridente; ma la giovane rivelazione della scorso campionato si era messa in luce con l’Heerenveen come attaccante esterno in un 4-3-3 o seconda punta in un attacco a due. Del rifinitore Sulejmani non possiede né il tempo né il ritmo, solo la fantasia. E l’Ajax possiede lo stesso equilibrio di un pattinatore sul ghiaccio sottile: alla prima crepa (nel loro caso l’Euroborg di Groningen), crolla tutto.
6. Anti-olandese per eccellenza è il Psv Eindhoven con il suo 4-5-1 iper-attendista (il modulo era stato ironicamente ribattezzato “Stevensie”, fusione tra il cognome dell’ex tecnico Huub Stevens e la parola “defensie”, difesa). Ali confinate nel ruolo di esterni (Amrabat), assenza di play-maker (Afellay cerca di scombinare le carte con la mobilità, Simons ha ereditato da Cocu solamente la fase difensiva), marcatori puri (Marcellis e, non ridete, Brechet), nessun terzino di spinta. In quest’ultimo caso anche perché vengono spesso utilizzati giocatori fuori ruolo. Contro il Volendam nell’ultimo turno di campionato a destra agiva il centrocampista australiano Culina, a sinistra il centrale messicano Salcido. Il risultato è stata una difesa fatta a fette dalla squadra sul fondo della Eredivisie, che però giocava con due ali vere (Sheotahul e Van Dijk), terzini che si sovrapponevano, pressing a metà campo e difesa altissima. Il Volendam, che ha perso 5-3, tentava di giocare all’olandese. Lo scarso risultato finale, nel caso degli oranje così come di altre squadre minori, è legato al modesto livello qualitativo della rosa. Questo però è un altro discorso.
Alec Cordolcini
wovenhand@libero.it(in esclusiva per Indiscreto)
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