Alla ricerca di Theo Epstein

7 Novembre 2016 di Oscar Eleni

Oscar Eleni dalla terra dei profumi nell’India del sandalo che tutto coprono, sfinito dall’ipocrisia di allenatori che hanno paura di perdere il panino più della faccia, turbato, ma non sorpreso, dal tartufismo dirigenziale dove tutto si perdona. Meglio leggere da Mysore le demenziali accuse di chi scambia la critica per un ramarro, abituato alla servitù dei “cronisti” che servono il padrone, mai la controparte, tanto per non stancarsi a replicare. Ci voleva, però, una domenica delle palle tirate in faccia, delle difese col piumino, per sentire finalmente che esiste una musica ribelle alla Finardi anche nel basket. Il male del narciso dell’imbattuta (in Italia, chiaro) Armani denunciato dopo il ballo con le streghe di Bamberg ha fatto dire a Gelsomino Repesa che non è più tempo per il perdono: chi pensa alle statistiche personali da presentare quando cercherà nuovi contratti, chi non si piega per difendere, aiutare, starà in tribuna cercando con gli occhi il messaggero, agente, parente, amore, che annuncia di aver trovato un nuovo ingaggio. Si può fare? Si potrebbe fare. Dipende dalla società, ma anche da quelli che andranno in campo. Le prove non mancano. Pensiamo alle sfide di Milano fino alla trasferta sul campo della Cremona di Pancotto. Repesa dice quello che, stranamente, non ha detto persino Gamba dopo la partita di Bamberg. Al nostro caro Spartacus era piaciuto quell’Emporio. Ne aveva parlato bene, lui che sa dire le verità senza nascondersi come altri, come certi nani del sistema che parlano a gettone. Certo fino al più 17 niente da dire. Ma dopo? Va be’, si è rifatto commentando le palle mosce di Torino, i 97 punti subiti da uno squadrone superattrezzato che, almeno da noi, ne fa sempre uno in più degli avversari. È così.

Ma non soltanto Repesa si è stancato di fingere dicendo che tutto va bene. Nella stessa domenica illuminata da Matteo Ceron, ventiquattrenne nato nell’osservatorio di Mirano che ha ridato un senso alle sofferenze di Bucchi e della Pesaro innamorata battendo la Reyer che lo ha cresciuto prima di svenderlo fra Recanati e Napoli, in questa giornata dove Avellino resta nel cielo delle grandi, anche non giocando al meglio, c’è stata, finalmente, la ribellione degli allenatori. Ha ragione De Raffaele se pensa che questa Reyer Venezia è troppo capricciosa, non pensa e non gioca insieme. Anche lì, lo sanno in tanti, c’è chi sparla perché i giocatori non sono orfani: agente, genitore, amorazzo, nessuno tace. Doveva accorgersene molto prima il Kurtinaitis che questa Cantù ha dentro troppa gente con la valigia pronta: non mi vuoi, vado da un’ altra parte, Cina, Terra del Fuoco, basta che paghino. Proprio nel Cantuchi dove erano abituati a coccolarseli, i ragazzi cresciuti in via Malchi dal prefetto Morbelli, dalle sacre leggi della famiglia Allievi: una carezza per tutti, ma se avevano lavorato bene, altrimenti preghiere in ginocchio sul riso. Certo che si rispettava il valore del denaro, tanti omaggi allo sponsor, ma certe regole facevano di quella chiesa uno stato potente anche in Europa. Il mercenario, come diceva il Padrino, va dove lo pagano, non ha tanti sentimenti. Cantù doveva pensarci prima.

Con dolore dobbiamo registrare anche lo sfogo di Buscaglia che a Caserta ha visto per la prima volta la faccia di una Trento borghese, diversa da quella rifondata per l’ennesima volta e lo 0 su 3 di Flaccadori dice che i giocatori devono stare sempre nella cesta. Certo che ci piace un italiano alla ribalta, ma nei tempi e nei modi, quando è pronto, maturo. No, non è colpa della citronella di Delhi, se dimentico che per far crescere bisogna anche dare l’opportunità di provare. Ora non diteci che Buscaglia ha tarpato le ali al suo italiano di maggior talento, uno che alla sua età ha il diritto di fare soste digestive, di ammalarsi, di perdere energia per troppa attività, ma che va accompagnato al lavoro anche quando vede doppio. Ecco, andiamo tutti più cauti, non facciamo scivoloni tipo quelli delle nazionali più forti di sempre, dei giocatori più forti d’Italia, non lasciamoci incantare dai promo di chi ha motivi per far credere che i colpevoli siano sempre altri. Guai se scoprissero che per guadagnare di più si dimentica di educare un po’ meglio, tecnicamente ed umanamente. Vero che questo basket cantato da menestrelli senza memoria esalta gli individui pur essendo un gioco di squadra: questa sottomissione alla logica dell’accoppiamento favorevole, grazie ai blocchi, ha tolto ogni armonia al gioco. La palla gira quando tutti sono in posa per la foto, spesso in maniera esagerata per sentire elogiare spaziature e altre balle del genere, così ovvie se alleni o ti alleni. Manovre che avrebbero bisogno di un orecchio educato e invece sono tutti presunti solisti che stonano se devono stare nel coro.

Era ora che gli allenatori si ribellassero, tanto se c’è un conto da pagare alla proprietà toccherà a loro. Repesa urla: avete altre offerte, accomodatevi. La società replica subito: da qui non si muove nessuno. Ci mancherebbe, anche perché in Italia chi avrebbe i soldi per pagare anche il quattordicesimo di casa Armani? All’estero ci avrebbero pensato prima, se avessero ritenuto indispensabile un giocatore di quelli che ora chiedono a Repesa lo spazio per avere più tiri, per avere di più, insomma, dando meno dove la sofferenza non trova quasi mai applausi anche se a Milano hanno amato più Vittorio Gallinari di tanti bomber.

In questo autodafè che potrebbe aiutare qualcuno ad uscire dalle trappole sentimentali, prima che arrivino in piazza grande i zampariniani del sistema, ci siamo inebriati con l’aroma che arrivava dalla Chicago in festa per la vittoria nel baseball dei Cubs. C’era una maledizione, dicevano tutti quelli che sbagliavano a costruire la squadra. Durava da 108 anni. Stranamente è finita quando in città è arrivato Theo Epstein che già aveva “sfatato”, manager ventottenne, la maledizione del bambino a Boston. Come costruisce le squadre Epstein, non un allenatore ma un grandissimo dirigente, sembra il segreto dell’acqua calda e nel nostro basket ci avevano già pensato Bogoncelli, Allievi, Porelli, Buzzavo, tanto per citare i migliori. Epstein usa la teoria più semplice: “Mi interessa la persona, non soltanto il giocatore, perché è importante sapere come gestirà le avversità”. Nel tempo c’è chi ha sprecato tanto, denaro, risorse, convinto di poter fare come quel genio che ha inventato un super violino con tela di ragno.

Ora vedremo come reagiranno giocatori e società. Scopriremo fino a che punto si può arrivare nel braccio di ferro con i coccolati delle società. Certo due allenamenti al giorno, magari tre, come fece quell’allenatore di football, era Denzel Washington sullo schermo, che doveva mettere insieme liceali bianchi e neri in terra di razzismo sfrenato e becero: staremo in campo anche di notte fino a quando non imparerete a rispettarvi. Badate bene, il rispetto lo capisci quando crei una situazione favorevole per il tuo compagno, nella difesa, nell’attacco, se lo aiuti e cerchi di capirlo, non se vai a bere e dire minchiate nel dopo corsa.

Avanti con i buoi delle pagelle sapendo che c’è perdono per tutti se, ad esempio, certe federazioni che sono andate a fondo, hanno riconfermato i presidenti federali del disastro, tipo canoa o atletica. Vero che le colpe sono di tutti, ma questa assoluzione scaricando sul destino ogni cosa è il solito alibi. Ora vedremo come cambierà il loro modo di lavorare. Se hanno detto il vero lo capiremo, magari dopo Tokio 2020 già in rosso per il sollievo sbagliato, esagerato, di chi ha dovuto ammettere che è meglio restare fermi per non rischiare di essere valutati, in povertà, con onestà.

10 A Marques GREEN e all’Irpinia che lo rigenera ogni volta. Per Avellino l’uomo della provvidenza, dell’unico grande trofeo vinto col Boniciolli che rischia i piombi bolognesi in Fortitudo dove Mancinelli doveva aiutarlo, uno che aiuta, che sa aiutare e Sacripanti lo capisce.

9 Al POLONARA che rimette il costume del famoso POLONAIR al vecchio Palabigi che molte volte lo ha mandato a sbattere contro i riflettori del soffitto più angusto della serie A. Ora non si fermi più, certo non sempre si trovano i lombi molli dei giocatori di Ottobre Rosso tenebra, ma lui non ci pensi.

8 Per Sandro DELL’AGNELLO ci devono essere santi protettori dispettosi: costruisce con la paglia nella Caserta che ancora non sa chi pagherà tutti i conti e intanto è stata fermata su un presunto mercato. Ora ci sono prove che ha dentro qualcosa di speciale. Forse sono questi gli allenatori da prendere in considerazione quando si vuole costruire qualcosa. Volete sapere come il Tigre prenderà questa nota favorevole? Ringhiando. Ecco perché non trova certi posti.

7 A CERON e BUCCHI perché il primo ha santificato la legge dei vendicatori nello sport, mentre il secondo ha dimostrato che se sai lavorare, se conosci la povertà, se non disprezzi il poco che passa il convento, una buona cena, una buona partita la puoi fare sempre. Tornando a Ceron, a domanda televisiva su percentuali da brivido, 1 su 11 prima di infilzare la Reyer, ha spiegato come è guarito: ”Lunedì ho tirato tantissimo, poi un ora prima e una dopo resto sul campo a tirare”. Voi dite che non basta? Che dovrebbero farlo tutti quelli che litigano persino coi tiri liberi e questi americani, ma anche tanti italiani, che li battono in cento modi diversi, sbagliando, ci confermano che siamo soltanto delle vittime di un certo mercato. Vaglielo a spiegare.

6 Al CAMPIONATO di A2 dove succedono tante belle cose e ci sono molti italiani alla ribalta. È il campionato degli italiani. Roseto in testa al girone Est per la gloria del colonnello Anastasi, Siena per se stessa e Legnano per chi sa sognare come Tortona, nel girone Ovest. Si aspettano notizie, ma soprattutto la festa è sempre bella. Peccato non televederla, ma forse è meglio. Il giocatore ascolta e si perde nel nome di rose mai cresciute.

5 A BRESCIA, VARESE e PISTOIA cadute sul traguardo e anche oltre il supplementare. Dura la strada per chi deve pensare a salvarsi se nella mischia si perde il treno per un errore, una debolezza, un peccato di presunzione. Serve stare compatti, poi la fortuna.

4 Alle SOCIETÀ che non stanno con i tecnici quando dicono finalmente la verità. Dovevano accorgersi subito con che tipo di uomini avevano a che fare. Dire che per competere bisogna accettare ogni compromesso, ogni ricatto, è una debolezza perché, come dice Conte, come hanno detto altri prima di lui, i perdenti cercano alibi, i vincenti le soluzioni.

3 Alla REYER nella domenica dove le ha prese sia con gli uomini sia con le donne, ma è la squadra di De Raffaele che l’anno scorso ha mandato fuori gioco Recalcati che ora dovrebbe essere ai piombi. Troppi alti e bassi, troppa acqua alta, senza protezioni.

2 A quelli del VITORIA, avversaria di Milano sul neutro di Desio il 15 in coppa, perché continuano a fare buone cose anche senza Bargnani. Per qualcuno non è neppure un caso e non sarebbe il caso di approfondire, direbbe Phil Jackson.

1 All’OTTOBRE ROSSO di Cantù che sta mandando in fumo il progetto per lanciare a grande livello una grande piazza. Quando prendi giocatori con mentalità da viaggiatori viaggianti senza patria e gloria allora rischi e salti per aria. Non lo vuole nessuno, anche se per avere lo squadrone aspettiamo che ci sia il Palazzone promesso e mai dato dai tempi d’oro degli Allievi.

0 Alla LEGA che deve rendere subito noti i nomi dei dirigenti capaci di chiedere la rivoluzione dei 7 stranieri e 5 italiani. Ne hanno il diritto, ma allora escano allo scoperto e dicano quello che molti ipocritamente non vogliono sentire: siamo professionisti, abbiamo bisogno del meglio per farcelo pagare dignitosamente dalle televisioni. Per competere in Europa, persino quella della FIBA. Ai vivai ci pensino altri: federazione, società minori. Vero. Però le minori vanno finanziate perché allenatori pagati poco non possono stare tanto in palestra. Questo cane che si morde la coda sembra avere anche qualche pulce oltre alla volontà di farsi notare perché non ha mai il coraggio di essere quello che vorrebbe. Una Lega.

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