Abbandonare un gatto, Murakami nella vita del padre

28 Gennaio 2021 di Stefano Olivari

Abbandonare un gatto è uno dei libri più personali di Haruki Murakami. Che essendo giapponese si dovrebbe scrivere Murakami Haruki, con il cognome davanti, ma ci suonerebbe un po’ come quando il grande Sandro Piccinini chiamava “SgggrepkaTomas Repka. Abbandonare un gatto, uscito di recente in Italia per Einaudi e da noi letto la scorsa notte dopo Juventus-Spal, non è un romanzo, non è una raccolta di racconti e non è nemmeno un’autobiografia. È la storia del rapporto, o meglio del non rapporto, con il proprio padre, così simile a quella della maggior parte delle persone. Perché anche nei casi migliori, quelli in cui ci vogliamo tutti bene, vediamo ogni cosa nella nostra prospettiva, come se i genitori avessero senso soltanto in relazione a noi: ma cosa sappiamo davvero di nostro padre?

Questa domanda, dopo la morte del genitore pochissimo frequentato in età adulta, aleggia sul breve saggio (un’ottantina di pagine, comprese le belle illustrazioni di Emiliano Ponzi), che indubbiamente sfrutta il brand Murakami anche se non è che i libri si possano valutare un tanto al chilo. Si parte dal ricordo di un episodio assurdo vissuto a 7 anni, l’abbandono volontario di un gatto sulla spiaggia e la successiva gioia nel vederlo tornare a casa, per ricostruire la vita del padre. Cioè quello che davvero non sappiamo mai, se non per sommi capi. Cosa sognava nostro padre? Quali sono stati i punti di svolta della sua vita? La sua esistenza aveva senso prima di noi, che ci crediamo così importanti?

Il padre di Murakami, classe 1917 (lo scrittore è invece del 1949), da studente si ritrovò scaraventato in due guerre e nella vita per così dire normale cercò, con successo, di evitare una carriera da priore buddista (come suo padre) per fare l’insegnante. Il figlio per saperne di più fa ricerche negli archivi militari e in altri posti, provando sollievo o pena a seconda delle situazioni, ma quasi sempre sulla base di congetture, a volte basate sulla semplice appartenenza ad un reggimento. Il dolore non è per la perdita e in fondo nemmeno per ciò che ha scoperto fuori tempo massimo su suo padre, ma perché di suo padre come uomo non si è mai interessato. Un libro scritto con la leggerezza ed il mestiere di Murakami, certo non il suo migliore ma capace di toccare corde profonde soprattutto in chi un padre non ce l’ha più da tanti anni.

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