A qualcuno non piace caldo

17 Luglio 2010 di Simone Basso

di Simone Basso
Benvenuti nel caos primordiale del Tour, alla settimana clou che deciderà la Festa di Luglio. La tappa della Madeleine, come volevasi (non) dimostrare, ha riaggiornato il paradigma delle Alpi decisive e l’eroismo collettivo di un plotone spalmato sulle stradi bollenti della Savoia. Il solleone, una beffa nel bel mezzo di uno scenario bucolico, provvede a una selezione impietosa: quelli in fondo, gli intoccabili mai inquadrati in mondovisione, senza borracce e assistenza hanno ringraziato il buon cuore degli spettatori. Acqua più o meno fresca, un sorso di Coca Cola (che nel deserto dell’acido lattico diventa champagne..) e una spintarella per tutti.
Strepitosa l’odissea di un campione come David Millar, che è riuscito a rientrare nel tempo massimo per pochi secondi: centottanta chilometri di fuga all’indietro, solissimo, e l’arrivo a quasi 43 minuti di distacco, stremato. Ogni singolo sfregaselle ha un’epica personalizzata, un microcosmo di fatiche omeriche e solidarietà di casta. I corridori cadono e provano sempre a rialzarsi, anche se avrebbero il diritto di aspettare l’ambulanza: è stato così anche per Simon Gerrans che, al terzo capitombolo del Tour 2010, rimontando in sella ha sentito un dolore lancinante al braccio sinistro. “It hurts!” “C’mon man, let’s go..” Centottantadue madonne dopo, al traguardo, è stato portato a fare una lastra: la frattura ai raggi x, un tronco di carne e ossa, sembrava opera del Robert Gligorov più stupefacente. L’altro aussie (ben più celebrato) vittima di quel ruzzolone è stato Cadel Evans: la rottura, essendo composta, non ha sconsigliato all’iridato la prosecuzione della corsa. Essendo di madre lingua shakespeariana, e vedendolo in mezzo al gruppo come niente fosse, ci è venuta in mente una frase che descrisse un discreto (..) cestista da French Lick, adattabile anche all’australiano di Stabio: “You are watching what greatness is all about”.
Trentasei gradi nelle camere, nella stamberga a due stelle che ospitava la Radioshack a Saint Jean de Maurienne, cinquantacinque sul bitume al sole del rettilineo finale a Gap.
Questo Tour fa concorrenza al 2003 a al 1976 come l’edizione dal caldo più feroce; se la stagione del crudele duello Ulle-Lance l’abbiamo ricordata recentemente, l’altra meriterebbe un capitolo proustiano a sè. Nel momento storico in cui si spense l’incendio merckxiano, la Grande Boucle divenne una recita quasi tutta fiamminga: il cannibale lo fece un Maertens maestoso (otto tappe vinte!) e il piccolo Van Impe, guidato dal grande Cyrille Guimard, colse al volo l’opportunità della sua vita sportiva. Decisiva fu la frazione che portò al Pla d’Adet, picco pirenaico impietoso per pendenze e calura: salendo il Peyresourde, Lucien staccò il rivale Zoetemelk e il giallo provvisorio di Delisle; raggiunse in discesa il fuggitivo Luis Ocana e sul falsopiano, prima dell’ascesa verso Saint Lary Soulan, si assicurò la maillot jaune definitiva. Il glorioso iberico compose un curioso Trofeo Baracchi con il belga, che si involò poi verso il trionfo solitario già dalle prime rampe.
Deja vu di queste edizioni dal clima africano è il disegno in comune: il tipico Tour contronatura, con il ricciolo percorso in senso orario e i Pirenei come giudice inappellabile.
Le immagini, cambiate le maglie e le appendici tecniche dei mezzi meccanici, sono esattamente le stesse: rifornimenti idrici improvvisati, la pelle bruciata dal sole, un meriggiare ustionato e assurdo.
La canicola, una gara durissima e l’incompetenza dei giornalisti al seguito: stupiti, poveri fessi, della selezione darwiniana in coda al gruppetto dei migliori. Qualcuno spieghi loro che qualche anno fa gli scatti reiterati (e le performance epocali) erano il risultato di un ematocrito sospinto verso la marmellata di globuli, grazie. Intanto festeggeremo il Centenario pirenaico, oggi come ieri montagne infide, aspre, inospitali; teatro pinteriano di trionfi assoluti e tragedie infinite.
Assisteremo al duello della coppia più ganza dello spaghetti western, ovvero Schleckino (finalmente privo della coperta di Linus, il fratello Frank) contro il torero Contador. Bizzarro che l’incrocio avvenga anche al di fuori della contesa agonistica; l’estate è infatti il periodo del ciclomercato e le mosse sono già chiare: l’hombre di Madrid è il pezzo pregiato e la base d’asta è stata fissata sui quattro milioni di euro all’anno. La prima offerta seria, per strapparlo ai dobloni kazaki dell’Astana, è stata di Bjarne Rijs (il diesse attuale di Andy!); trattasi della risposta immediata alla creazione di un squadrone nuovo, con natali lussemburghesi e pecunia di origine italiana (l’immobiliarista Flavio Becca), che vedrà i fratelli Schleck come capitani. Questo mucchio selvaggio di retroscena, compresi i mal di pancia del leader maximo Vinokourov, potrebbero influenzare in maniera decisiva la battaglia sulla strada: i Saxoboys, a dispetto della diaspora annunciata, sembrano più gruppo rispetto ai Contakidz degli ultimi dì…
L’Alberto comunque ha almeno tre tappe per ribaltare la situazione; domenica, con il Port de Paihlères (cattivo come l’orco delle favole) prima di Ax 3 Domaines, ci divertiremo molto.
Il Tourmalet di giovedì e il cronobacco nella Gironde, sabato, magari saranno neutralizzati dalla Pamiers-Bagneres de Luchon di lunedì: la discesa del Bales, ripida e pericolosa, invita a pensieri lovecraftiani su Chtulu e oltre. Magari la gola di quella valle ha la stessa voce rauca e profonda (modificata dalla chemio) di Laurent Fignon, che malgrado un tumore continua il suo lavoro da telecronista: va avanti e indietro dall’ospedale, fregandosene della stanchezza, con la consapevolezza che vivere e respirare il Tour lo faccia star meglio. Come i suoi colleghi giovani, che cascano e si rimettono in sella dopo pochi secondi, ha un’altra cognizione del dolore e della vita. Allez Laurent.
Simone Basso
(in esclusiva per Indiscreto)

Share this article