Beppe Merlo e la nascita del rovescio a due mani

17 Luglio 2019 di Stefano Olivari

Chi ha inventato il rovescio a due mani? La morte di Beppe Merlo è la morte di uno dei più famosi interpreti di questo colpo, nell’epoca in cui chi lo adottava era considerato quasi un eretico. Peraltro il rovescio bimane di Merlo, uno dei campioni che ha reso popolare il tennis in Italia insieme a Pietrangeli, Gardini e Sirola, era diversissimo da quelli odierni, avendo un’impugnatura quasi a metà manico.

Beppe Merlo ha inventato quindi il rovescio a due mani? La risposta è no, perché solo per citare giocatori in grado di fare strada negli Slam (come del resto Merlo, due volte semifinalista al Roland Garros), vengono in mente Vivian McGrath, australiano che nel 1937 vinse lo Slam di casa ma che era molto forte anche sulla terra battuta e il connazionale John Bromwich che invece vinse Wimbledon nel 1939 e nel 1946.

Di sicuro al contrario di quelli dei due australiani (non li abbiamo visti ovviamente giocare, ma ci sono le foto) quelli di Merlo erano colpi personalissimi e inimitabili, da autodidatta anche se autodidatta certo non era. Il rovescio a due mani sarebbe stato usato da altri campioni, come Pancho Segura che sarebbe diventato un grandissimo allenatore (uomo chiave nelle carriere di Jimmy Connors, Stan Smith e Tracy Austin), ma soltanto da metà anni Settanta con Borg, Connors e la Evert diventò un fenomeno di massa, non più una genialata o un trucco da femminuccia (una volta ci si esprimeva così) con poca forza, bensì qualcosa da insegnare come fondamentale nelle scuole federali.
 
Noi che le abbiamo frequentate dal 1976 al 1983, con pochissimo costrutto, abbiamo avuto il 100% dei maestri (uno diverso ogni semestre, quindi 14 in totale) che partiva con questa idea e del resto anche gente leggermente più forte di noi, come Edberg, Sampras e Federer, ha staccato la mano solo a metà adolescenza.

L’importanza di Beppe Merlo è stata secondo noi di altro tipo, se non vogliamo fare storytelling su video che per qualità sembrano quelli di Ridolini. Nell’immaginario sportivo degli anni soprattutto Cinquanta ma anche Sessanta lui pur con i suoi colpi personalissimi rappresentava per stile e comportamenti il tennis ‘di una volta’ (anche una volta esisteva quindi il tennis di una volta) mentre uno come Fausto Gardini, tecnicamente inferiore a lui, era l’emblema dell’agonismo e di una presunta modernità professionistica (anche se poi si ritirò una prima volta a 25 anni, per un lavoro ‘serio’, per pentirsi e tornare a 30). I due diedero vita ad un’epica finale degli Internazionali d’Italia che consigliamo di leggere nello splendido racconto di Ubaldo Scanagatta.

In realtà il più professionista era Merlo, che avrebbe giocato e anche piuttosto bene fino a 48 anni. Visto che a quell’età, con un tennis già atletico, partecipò agli Assoluti indoor che quell’anno erano a Cantù. Vincendo addirittura un set contro il ventenne Gian Luigi Signorini, prima di crollare. Ci hanno detto che il gioco di Merlo ricordava tantissimo quello di un campione che abbiamo tanto visto e apprezzato, Gene Mayer, prendiamo e registriamo. Con la nostra testa ricordiamo invece che all’inizio del 1976 Merlo era in lizza insieme a Pietrangeli per succedere come capitano di Coppa Davis all’eterno rivale Gardini. Fu scelto Pietrangeli, con l’unica vittoria italiana che arrivò proprio in quel magico 1976. Adesso Beppe Merlo non c’è più, così come la Coppa Davis.

Share this article