Sotto le cuffie niente

23 Febbraio 2015 di Oscar Eleni

Oscar Eleni oltre la depressione della coppa Italia in terra sconsacrata dai giornali che chiudono troppo presto. Seguendo la strada Andolfo abbiamo cercato pace fra le cave blu del Cile o una casa dei sogni in Lapponia. Niente. Per troppo tempo abbiamo avuto la faccia dei battuti al premio Oscar, veleno interiore direbbe Eastwood applaudendo Birdman, cioè umanità e non cecchini. Insomma quello che vorremmo fare noi respirando il nuovo basket. Tentativi. Fallimenti. Non ci piacciono davvero questi nuovi eroi che passano nel parterre con le cuffie di complemento. Per non parlare con il mondo che li foraggia e sostiene? Per fingere concentrazione che poi sul campo svanisce tutta in quegli allungamenti prepartita che gratificano i preparatori atletici, fondamentali nella settimana, stranamente importanti per guidare bamboccioni che non ricordano come si rotea una caviglia, si scaldano muscoli e si oliano articolazioni. Visto come molti se la tirano in faccia noi staremmo più sul riscaldamento con la palla. Il grande professor Vittori lo spiegò, tanto tempo fa, a quelli del calcio che lo volevano come preparatore atletico: ”Si lavora con la palla, sempre, altrimenti è tutto sprecato”.

Lasciamo perdere questa nostalgia. Insomma una giornata intera nel palazzo semideserto di Desio ci aveva davvero messo al tappeto quasi più dei ritornelli sul mancato rapporto qualità-prezzo delle società con il giocatore italiano. Si va avanti per slogan ad effetto, un po’ come la moda di andare in mutande sul palco: lo hanno fatto ai Cesar francesi e nella notte degli Oscar. Tutti dicono finte verità quando ancora non sappiamo rispondere ai Marzoli, capo della GIBA, che giurano non esserci ostacoli economici per valorizzare l’italiano rispetto ai molti stranieri di seconda, terza fascia che ingaggiamo. Per la verità non sappiamo neppure rispondere alla nostra portinaia quando ci chiede perché Mancinelli, ex capitano della nazionale, gioca in serie B. Il quesito non si porrebbe, secondo Marzoli. Il Mancio non costa tanto e allora è solo questione di scelta. Siamo sicuri che gli stranieri di Trento, ad esempio, cominciando da Mitchell, siano più cari dei nostri “assi” scesi in seconda categoria? Chi sa, chi conosce certi stipendi non concorda se davvero la metà degli stranieri d’Italia costa intorno ai 100 mila euro, spesso molto meno. Quanto danno a Torino per il Mancinelli esiliato? Pubblichiamoli questi stipendi, oltre ai minutaggi in campionato.

Comunque sia, torniamo in argomento sul venerdì della grande depressione, delusione per tutti meno che per questa Lega che sta per cambiare ancora presidente e ne vorrebbe uno non legato alle società, nella speranza che il Righi, ex cestista che fa andare così bene la pallavolo (Ha idee, sa muoversi, non è un narciso, non ha bisogno di balle spaziali sulla finta visibilità nella confusione di ben 15 ore del sabato nel villaggio dedicate al basket sui vari canali), venga davvero interpellato, abbia la pazienza di ascoltare questo mondo a spicchi dove non mancano i Viperetta e gli pseudo Lotito. Quattro partite per intossicarsi del tutto. Roba minima, percentuali da “ pressione” disarticolata su testoline che vorrebbero sempre giocare davanti ad amici, coccolati dai loro agenti, tanto il canestro sputa e se sbagli un tiro, nel basket dovrebbe essere così, non è proprio sfortuna, si chiama errore al tiro, i fanatici delle statistiche sanno bene cosa vale un tiro quando va dentro e conta davvero, ma dovrebbero pur capire che se hai dimenticato equilbrio, armonia del gesto, se la testa è piena di api e serpenti, allora il ferro sputa e non è sfortuna. Vaglielo a spiegare ai figli degli dei minori che ora comandano il cerchio magico del basket rosolio, dove la critica accarezza e aiuta poco a crescere. Tutti.

Lo hanno fatto persino con la deludente Venezia che Recalcati si è trovata con gambe molli e testa altrove. Una sopresa enorme, anche se Brindisi è stata brava ad intuirne il calo di tensione. Quattro passi nel Pala Desio che, almeno, rispetto al Forum di Assago, rispetta di più chi ha problemi di prostata. Nelle file nobili c’era parecchia gente, anche se poi chi ha assegnato i posti deve essere passato prima nella scuola delle mosse sbagliate se ha messo dietro ai raccomandati del momento un presidente federale, due ex presidenti, persino Armani. Lo hanno voluto loro? Forse, ma se hai tatto sai che una prima fila “interessante” serve a tutti. Comunque sia, lasciando perdere la lezione spagnola, sempre pieno a Gran Canaria, il Re a premiare, qui neppure il ministro legato in qualche modo allo sport, quello che non sa spiegare perché la nostra scuola debba privilegiare l’obesità, per i giocatori trofei veri e non roba di latta, facendo finta di non credere che in Francia c’era il tutto esaurito, come in Germania e Polonia. Come faranno senza l’esposimetro che abbronza i legaioli italiani? Forma, troppa, inutile. Sostanza, poca. Per la prima basta credersi bravi, per la seconda serve conoscenza, passione. Non è merce.

Tutto questo mentre saliva il malessere intuendo che il fuoco amico stava lacerando internamente Milano se sul tiro di Brooks per battere Avellino nei quarti di finale, più o meno quello di Jerrells l’anno scorso per salvare scudetto e testoline inforforate, sulle zampate di Langford nell’ultima stagione, non tutti apparivano felici, davvero contenti. Ce ne siamo accorti nella finale, ma già l’avvisaglia era stata la strana partita contro Brindisi dove ci si è accorti che anche la presidenza del Marino di Lega non deve essere così solida se la massa mediocre dei direttori di gara visti a Desio, in televisione dall’Italia intera, due pesi, due misure, mai uniformità sugli stessi gesti difensivi, tagliafuori, posizione e stabilità del blocco, ha infierito fino a far esplodere il povero BucchiCamminando verso pizzerie a metro e al taglio, con televisori accesi, ma non per tutti i clienti come hanno stabilito a Muggiò, eravamo pronti a deporre le armi. Basta combattere. Meglio stare alla larga, senza litigare per una trasmissione, senza vedere palloni gonfiati che non riconoscono la qualità del lavoro di quelli tipo il Colombo-team che fa le cose con passione, classe, anche se poi devono guardare dentro ad ogni nocciolina. Insomma notte infame.

Dovevamo andare a Monza, il giorno dopo, da Alice nel suo ristorante delle meraviglie scovato dal Vacirca cacciatore di buoni profumi, per la giornata in stile Virginio Bernardi ed amici. Un ritorno alle origini di questo amore che ora non conosce più neppure molti dei nomi che lo hanno alimentato. Da Bernardi c’era qualcosa che andava oltre il piacere di stare insieme. Molte tavolate, per la verità, neppure si annusavano: tu peones, tu Cita, noi bossa nova catodica. Insomma tutto è rifiorito anche se Desio restava negli incubi. Ci volevano quelli di Sassari, ma anche la bella gente di Reggio Emilia, a far dimenticare i vuoti, il becerume dei soliti cori senza un senso delle frange che fingono una passione alterata per mondi che neppure conoscono. Certo portare masse da Trento o Brindisi era molto difficile. La stessa Milano per avere una parte del “gran pubblico” ritrovato al Forum con la distribuzione ben organizzata dell’incentivo, ha dovuto aspettare l’ultima giornata. Non parliamo di Avellino che pure ha sfiorato il capolavoro.

Da Bernardi per ascoltare un assessore allo sport di Desio rammaricato soltanto per la mancanza di comprensione da parte di chi non può accusare l’amministrazione di un impianto costoso, ma superato, se poi quei geniacci di RCS hanno scelto la Brianza per le finali di coppa Italia. Vita ritrovata nel nome dell’assistente di Ferrari a Legnano che ha rinunciato al viaggio verso Chieti per stare nella “fiesta” piena di sapori antichi, come quando, ai tempi dei tornei estivi, la notte non aveva mai fine se Giordani riusciva a tenere insieme gli allenatori, i dirigenti, i giornalisti e si andava sull’onda De Sisti, su quella Lamberti, sul mare dei sospiri da Trieste in giù. Per la verità il nostalgico del mondo Auso Siemens, partite di serie B al mattino, una goduria, dopo aver spiegato ai “suoi ragazzi” poi battuti a Chieti come si saluta la folla, era impegnato nel martedì delle vendette per interisti scontrosi: cena tedesca con magliette (fatte dalla juventino Gurioli, re degli affabulatori):”Vai Klopp, facci sognare”. Rigorosamente richiesto l’abbigliamento teutonico, meglio Birkenstock. Insomma vita diversa, sorrisi ritrovati come quando passando in via Dezza dal campo Borella scopri che ci sono più ragazzi a giocare nel campetto per il basket che in quello del calcetto. Sarà merito della visibilità conquistata col proliferare delle proposte e delle avventure televisive in affitto? Rigenerazione per tentare di capire, senza provare invidia per mondi davvero più evoluti oltre il dazio.

Considerazione sulla finale vinta da Sassari. Meritatamente. Pensavamo che le due squadre più sculacciate in Europa avrebbero portato la loro amarezza sul campo. Non è stato così. Sassari ha imparato a vivere in maniera diversa. Non tutto deve essere basket per cicale. Serve anche qualche formichina. La miscela giusta per incatenare la Regggio Emilia incompleta, non in salute e comunque leggera. Milano, invece, si è infilata in questa avventura con il piglio delle volpi che in Alaska si combattono la femmina, in questo caso l’applauso, la stretta di mano. C’è una grande carenza di affetto nelle nostre squadre di vertice. Be’, è difficile arrampicarsi nell’ironia se tutti parlano lingue diverse, anche fra americani, spesso fra italiani, lo vedi dalla richiesta dei giocatori verso le tribune. Cosa vorranno mai? Cari ragazzi se fate bene, se la vostra difesa sarà sofferenza, impegno, passione, allora la gente starà dalla vostra parte, se in attacco ci sarà armonia e giusta distribuzione del gioco allora la gente si divertirà.

Nella Milano di oggi tutto sembra davvero come in una sfilata di moda: arte sublime per chi ha creato il capo da indossare, ma poi gli interpreti nascondono ben altro, insomma invidie da Diavolo veste chissà cosa. Per capire certe cose basta osservare. Milano ha perso perché non ha mai funzionato come squadra. Erano tutti battaglioni d’assalto che andavano a recuperare il terreno perduto da chi giocava col broncio, da chi trova molte scuse e molte scappatoie per non pagare mai il debito di riconoscenza con chi insegna, cioè un allenatore tipo il Banchi che ci sembra davvero a fine corsa, anche se dovesse vincere lo scudetto perché, come l’anno scorso ha mancato tre obiettivi su quattro. Titoli, insomma. E se vale la storiella della ricchezza per stabilire i valori europei, che dire dell’Italia? Esiste forse una società con più mezzi dell’Emporio? Non diteci Sassari anche perché i soliti furbacchioni che odiano le isole felici facevano girare voci di cambiamenti in peggio anche per i mensili.

Non ci piaceva la Sassari cicala dei primi mesi. Questa è solida, sta mettendo al centro qualcosa che vale con Kadji e poi ha un altro bel saltatore da proporre, faceva già un tifo genuino nella famiglia sassarese in fondo alla panchina. Ora Sacchetti giurerà di non aver cambiato sistema di lavoro, ma non ci inganna. Sulla difesa, si era visto nell’unica partita vinta in Euirolega, qualcosa è stato fatto. Certo per un salto di qualità servirà anche l’umiltà dei giocatori che entrano dopo il quintetto base, vale per tutti, per tanti: devono servire come nel sistema Peterson. Se fai quello che conviene alla squadra bene, altrimenti rimetto il titolare. Anche se boccheggia? Anche se è stanco, l’orgoglio aiuta sempre e poi basta con queste girandole. Se stai soffocando l’avversario perché dargli respiro mettendo dentro chi pensa di essere al centro del sistema, quindi della congiura, se deve entrare dopo chi pensa meno forte di lui? Molti capiscono, Brian Sacchetti è un esempio classico, come del resto Devecchi, difficile spiegarlo ai tipini come Sosa.

Verdetti logici? Quasi tutti. Sorpresa negativa Venezia, positivissima Avellino anche se battuta. Ci è piaciuto lo spirito di Trento, meno del solito quello della Reggio Emilia che non ha garanzie difensive, su Brindisi ci siamo ricreduti quando Bucchi ha avuto risposte serie, ma poi si è ritrovato qualche amante della gloriosa solitudine anche quando serviva distribuire e non esagerare. Ricorderemo questa stangata per Milano anche perché nelle finali ad otto una sola volta erano stati subiti oltre 100 punti. Semifinale del 2004, un 27 febbraio, san Leandro martire, per Scavolini Pesaro-Skipper Fortitudo Bologna 101-92.

Pagelle fra baccalà e risotti.

10 A Romeo SACCHETTI per aver fatto felice il suo amico Vacirca che lo ama, per essersi meritato l’abbraccio del figlio Brian che da lui ha imparato l’ironia, forse anche una parte dell’arte, per aver portato il gruppo Dinamo a credere davvero nel progetto di Sardara e di Sassari, per aver trovato la gioia ancora una volta in casa, o quasi, della Milano che s’imbroda coi record da uva protetta con volpi spelacchiate, senza dover dipendere dai Diener. Certo anche adesso ha un bel centrocampo, ma non starebbe in piedi senza le travi vere che sono dentro la mischia, cioè Sanders, Brooks e persino il Lawal ballerino. Un voto in meno se l’associazione allenatori citerà il suo minuto di sospensione a metà gara della finale con 8 centesimi sul cronometro: vero che Sassari ha segnato, ma tutte le altre volte che se la tiravano in faccia? Quindi, lasciate perdere.

9 A Daniel HACKETT per aver dimostrato cosa vuol dire battersi quando intorno c’è aria pesante. Diciamo che lui, come il Moss dall’energia non ancora ritrovata, Melli e, se glielo permettono, Cerella, sono i pretoriani rimasti a Banchi che per risolvere il problema avrebbe bisogno di chiarezza, dentro e fuori. Chi non è con lui lo deve dire prima che anche il campionato diventi tossico. Prima del viaggio di giovedì a Novgorod.

8 A Federico MANGIACOTTI, general manager dello sponsor BEKO per campionato e coppa, per aver fatto buon viso al cattivo gioco di chi vorrebbe fargli credere che questo basket è in marcia verso terre più fertili. Gentile nel sorridere a tutti e a tenersi dentro il malumore per evidenti incontri con dilettanti allo sbaraglio.

7 A David LOGAN “polacco” di Chicago, giramondo partito da Indinapolis, perché non ci ha mentito quando all’inizio della stagione definì la Dinamo Sassari appena scoperta come una squadra “eccitante, ambiziosa ed atletica”. È stato così, purtroppo per Milano, e l’uomo della partita ha insegnato una strada che sarà nata con il tiro da lontano, ma poi è diventata una cosa seria quando c’era da pilotare fra rocce e malumori.

6 Al BALDI ROSSI di Trento perché, fra tutti gli azzurrabili in osservazione a Desio, ci ha dato l’impressione di poter servire davvero al Pianigiani che lo guardava con più attenzione di altri. Esistono ragazzi di qualità. Basta che restino nella cesta e lavorino ogni giorno per fare un passo avanti ,e non perdano tempo a specchiarsi. Ora smettiamo di rimpiangere gli “autoesiliati”, c’è gente su cui contare anche qui.

5 Al CAMBIO LAVATIVO che va dentro non per aiutare la sua squadra, i suoi compagni, ma per dimostrare che l’allenatore si era sbagliato tenendolo come rincalzo, arma tattica. Dirigenti attenti dovrebbero chiamare spesso questi insoddisfatti infelici che seminano zizzania in spogliatoio. Lo capisci subito se giocano per loro stessi o per la squadra. Nomi? Li faremo a fine stagione. Per adesso dall’osservatorio tutta invidia di Arcetri un avviso alle presunte stelle: siete in lista.

4 Alla RAI che è stata bravissima con le dirette e persino con la grafica, che non doveva avere bisogno d’incentivi esterni per tenere quasi in orario le semifinali di sabato, il mistero celato fino alla fine dalla Lega dei visibili invisibili, che non doveva essere micragnosa di mezzi per arrivare al cuore delle sfide con bordocampisti sul pezzo, senza scimmiottare SKY e lo spogliatoio svelato a chi, conoscendone la vita interna, sa benissimo di trovarsi davanti a poveri mimi infelici. Ci voleva poco per essere almeno sulla linea spagnola.

3 Agli ARBITRI delle finali che non ci hanno davvero convinto. Troppa mente, poca mobilità, troppi compromessi, troppa platealità gestuale. Attenti alle braccia quando mimate il fallo e poi non godete così tanto scoprendo il millimetro di riga calpestato dal tiratore negli angoli. Sono fischi che nessuno può contestarvi, liberazioni di ego che non convincono. Non ci sono stati aiuti a questo o quello, diciamo che in generale, salvo eccezioni, i bravi sono noti, ma una pesantezza di rapporto che peggiorerà quando il campionatoi sceglierà le finaliste.

2 Al SILENZIO quasi generale per la presenza di tre presidenti importanti della nostra Federbasket quando è stato il momento, era il sabato sera delle semifinali, di accompagnare l’ultraottantenne MORBELLI nella casa della gloria italiana (casa ancora da trovare, purtroppo, i soldi servono per avere canali televisivi, altro che chiese per la memoria), dove è stato ammesso l’anno scorso. A noi la presidenza plurimedagliata di MAIFREDI, quella avventurosa e problematica di MENEGHIN, quella di grande respiro del Petrucci prima e dopo la presidenza del CONI, hanno detto qualcosa. A quelli di oggi, si vede, non hanno detto nulla.

1 Alla REYER che ha mancato davvero un appuntamento importante. Si può perdere, soprattutto se trovi gente più brava come è capitato con Brindisi, ma certe facce, certe mollezze hanno dato l’impressione che qualcosa è stato perduto nel viaggio e allora avanti con le illazioni e certo il Brugnaro che catechizza i giocatori a metà partita, in mezzo al campo, non fa una grande impressione.

0 Al GALLIANI che non riesce a trovare momenti di vera goduria e letizia sportiva. Il suo Milan che torna a vincere, anche se contro le ultime della classe, prima la spiantata Parma, poi Cesena, diventa un mondo lontano nascosto nella pioggia mentre la sua passione extracalcistica, l’EMPORIO amato da quando si chiamava SIMMENTHAL, si sfascia per l’ennesima volta in un appuntamento come la coppa Italia. Lui, sempre presente al Forum già masticava amaro per l’eurolega, ma in Italia era convinto che non ci sarebbero stati avversari. Diciamo che è quasi vero, ma potrebbe essere una bufala un po’ come quella di chi raccontava che questo Milan affidato ad Inzaghi era almeno da terzo posto.

Oscar Eleni, in esclusiva per Indiscreto

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