Wayward Pines, volevamo essere Twin Peaks

19 Maggio 2015 di Stefano Olivari

Impossibile giudicare una serie soltanto dalla prima puntata, che però è quella decisiva per essere catturati o lasciar perdere. E la prima puntata di Wayward Pines, trasmessa da Fox giovedì scorso, ci spingerà a guardare anche le altre nove. Il protagonista è un agente della CIA, interpretato da Matt Dillon, che mentre cerca due colleghi (uno dei quali è una sua ex) scomparsi nell’Idaho, ha un incidente d’auto e si ritrova in un letto di ospedale di un paesino chiamato, appunto Wayward Pines. Un paese dove tutto, dalle auto ai telefoni ai vestiti, sembra essersi fermato all’anno 2000 nonostante si sia nel 2014: impressione giusta, confermata da Beverly (Juliette Lewis), una barista che è l’unica a dare retta a Dillon-Ethan Burke aiutandolo a fuggire dall’ospedale, dove uno psichiatra vorrebbe farlo operare al cervello. Lui trova uno dei due agenti, morto, e riconosce la sua ex in una donna del posto, poi tenta di scappare in auto, trovandosi però di fronte a un recinto elettrificato una volta uscito dalla foresta. Il tutto in un delirio di flashback, associazioni mentali, personaggi misteriosi, tentativi di mettersi in contatto con la famiglia (apparentemente in un altro spazio-tempo), con la presenza opprimente di una provincia così stereotipata da sembrare finta. Insomma, una spruzzata fortissima di Twin Peaks dichiarata dallo stesso autore (Blake Crouch) del libro da cui è partita l’idea, un regista di alto livello (l’indiano Manoj Shyamalan, Il Sesto Senso) e attori straconosciuti dal pubblico quarantenne (Dillon è purissimo culto delle ragazze anni Ottanta, la Lewis ha avuto il suo periodo d’oro nella prima metà dei Novanta) a cui sono rivolte le serie più ambiziose. Da guardare, in attesa del ritorno (in Italia arrivò nel 1991, su Canale 5) di Twin Peaks annunciato da David Lynch.

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