Vita a Venezia

5 Ottobre 2009 di Stefano Olivari

E’ bastato che l’Olimpiade 2016 non venisse assegnata a Chicago perché Obama si trasformasse immediatamente in un piazzista sfigato, messo nel sacco da quel peone piangente (e a questo punto fottente) di Lula: anche il Brasile avrà pagato escort come Ucraina e Polonia, e al contrario di quanto aveva fatto la limpida Figc per Euro 2012? Stiamo facendo semplificazione giornalistica della peggior specie. La stessa semplificazione che fa sembrare concreta una candidatura olimpica italiana per il 2020 che per ora esiste solo nelle dichiarazioni campanilistiche in stile Celtic League. A livello di impianti di alto livello Venezia ha niente, al contrario di Roma, ma è vero che in 11 anni si può ricostruire anche la Piramide di Cheope. I veri ostacoli per la città di Cacciari sono ovviamente fisici, non a caso fin da subito si parla di Olimpiade veneta invece che veneziana. Per il momento gli aspetti interessanti di questa nuova sfida italiana sono due: a) La trasversalità provincial-localistica del tifo (romani del PD insieme a romani del PdL, veneti del PD insieme a veneti del PdL) che rappresenta un caso politico in sè ed una situazione potenzialmente più esplosiva di una finale olimpica di fioretto a squadre; b) la (temporanea?) assenza di quella morale rassegnato-pauperistica che in Italia ha sempre bloccato grandi opere, non solo quelle a beneficio della mafia: l’ultima Olimpiade estiva chiusa in perdita da un paese è stata Mosca 1980 (il vero disastro finanziario fu Montreal 1976), per il resto l’affare è stato sempre di tutti. Il punto a) gioca a favore di Roma, candidatura che può più facilmente essere venduta come italiana, il punto b) potrebbe dare qualche carta al Veneto, soprattutto se passerà il principio che dallo Stato non dovrà uscire un euro.

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