Un solo Rocco

4 Giugno 2009 di Jvan Sica

di Jvan Sica

Rocco è ricordato con affetto in tutte le città in cui ha lavorato. Al di là della natìa Trieste, città-perno della sua intera vita, in quale altra città ha lasciato le tracce più forti?
GIGI GARANZINI: Sicuramente Padova. Basta ricordare che il 20 maggio, per festeggiare la ricorrenza della nascita del Paròn (20 maggio 1912), il calcio Padova ha organizzato il “Rocco Day”. Per l’occasione due squadre di Pulcini del Calcio Padova si sono affrontate sul campo del mitico stadio “Appiani” sotto gli occhi di 22 ex giocatori di Rocco, tra cui Gastone Zanon, classe 1924, mediano e punto di riferimento dei “panzer” di Nereo, e Kurt Hamrin, “uccellino” d’ala che a Padova si esaltava nel gioco di rimessa. Per capire l’affetto che Padova ha nutrito per Nereo Rocco basta chiedere proprio a Zanon chi era Rocco per i padovani. La risposta sarà secca: “Un gradino sotto Sant’Antonio veniva San Nereo”.
Qual è il più grande debito che il calcio deve a Rocco: l’importanza del gruppo, la tattica italiana rivista con sistemi innovativi, il saper creare leadership carismatiche?
Tutte e tre. Il gruppo oggi è un luogo comune che si trascina stancamente nelle analisi dei giornalisti e degli addetti ai lavori, mentre per Rocco era la pietra angolare su cui fondare tutto. Nel libro quasi tutti gli intervistati sottolineano la capacità di Rocco di costruire un gruppo solido e unito. Fra gli altri, Scagnellato mi ha sempre evidenziato questo aspetto: “Eravamo tutti uniti”, mi diceva sempre il grande Aurelio, 354 partite nel Padova dal 1951 al 1964, “dietro la sua guida onesta e competente”. E per cementare il gruppo Rocco usava tecniche geniali che nessuno psicologo di gruppo sa insegnare. Dividere i premi partita ad esempio, prendendo gli stessi soldi dei giocatori e consegnati a mano dal capitano della squadra, era un segno di amicizia e rispetto che tutti riconoscevano.
Lei riesce a non buttare in parodia e giornalismo d’accatto il “Ciò, speremo de no” e tutto quello che Rocco è stato per l’opinione pubblica meno sagace. Considera questo uno dei pregi del libro?
Mi fa piacere che abbia sottolineato questo aspetto. Rocco in vita ma anche dopo è stato associato in modo troppo limitativo alla sua “triestinità“. Negli anni ‘70 fu ingaggiato dalla Domenica Sportiva come commentatore. Dopo poche puntate, gli autori del programma gli fecero capire che parlando in italiano perdeva tutto il suo “appeal”, consigliandogli di dedicarsi ancora al campo. Questa idea di Rocco è sciocca oltre che errata. Rocco ha frequentato le scuole quando a scuola lo studio era studio e conosceva perfettamente l’italiano, che parlava correttamente. Il triestino era un vezzo e un modo per distinguersi. Parlando triestino Rocco non recitava, semplicemente esprimeva la sua natura e le sue emozioni senza ipocriti filtri che ne avrebbero limitato i rapporti con le persone.
Come ha vissuto Rocco i cambiamenti epocali a cavallo tra gli anni ‘60 e ‘70?
Rocco era attento a tutto quello che lo circondava. Leggeva molto e non si alzava dalla sedia fin quando non aveva letto l’intero quotidiano. Era informato su tutto e cercava sempre di apprendere quello che non riusciva a capire. La politica attiva non gli interessava, anche se nel 1948 partecipò alla “resa dei conti” elettorale tra DC e PCI e fu eletto consigliere comunale di Trieste per lo scudocrociato. Ma fu convinto a partecipare un po’ perché quelle elezioni erano per tutti la sfida decisiva tra Occidente e Unione Sovietica e tutti dovevano prendere parte, un po’ perché convinto dagli amici che cercavano di attirare il massimo dei consensi verso la sua persona in quel momento all’apice della fama in città.
Tra istant book, storie leggendarie piene di retorica e libri di grande valore letterario, cosa pensa della letteratura sportiva italiana?
La situazione non è entusiasmante. Vengono pubblicati troppi libri che dovrebbero servire a vendere copie e non riescono nemmeno in questo intento. Altri invece partono da progetti interessanti ma finiscono per essere troppo pesanti, pieni di statistiche e numeri. In molti testi che ho letto manca l’atmosfera del tempo, il clima che si respirava all’epoca dei fatti raccontati, mentre credo che questo sia il punto forte del mio libro. Ho cercato di guardare a Rocco al di là degli albi d’oro, aiutato da Rocco stesso che è riuscito ad essere più di un semplice allenatore di calcio.
(per gentile concessione dell’autore, l’intervista completa è sul blog Letteratura Sportiva)
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