Politica

Uccidere un fascista

Stefano Olivari 24/04/2025

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Il nostro modo di prepararci al 25 aprile è stato la lettura di Uccidere un fascista, libro che riporta la mente al 29, di aprile. Quello del 1975, quando Sergio Ramelli morì dopo un mese e mezzo di agonia, causato da alcuni militanti di Avanguardia Operaia e dalle loro chiavi inglesi. Ci ha attirato non tanto l’argomento, su cui con spocchia pensiamo di sapere tutto (la vera passione è sempre per il mondo dei fratelli maggiori, quasi mai per il nostro), ma l’autore, Giuseppe Culicchia, di cui abbiamo letto tante cose, da un capolavoro come Tutti giù per terra, a tutti gli effetti il Generazione X italiano, fino al più recente e strano, comunque interessante, Il tempo di vivere con te, ispirato dal cugino Walter Alasia.

Dalle Brigate Rosse al fiduciario del Fronte della Gioventù nella sua scuola, l’ITIS Molinari, il passo è breve soltanto per i cultori della fantomatica memoria condivisa e di un imprecisato ‘spirito del tempo’ tirato fuori per mettere tutto e tutti sullo stesso piano, come se le responsabilità individuali non esistessero. Perché Alasia era un terrorista, morto mentre ammazzava poliziotti, mentre Ramelli era soltanto un ragazzo di destra, mai coinvolto neppure in una manifestazione, entrato nel mirino dei suoi stessi compagni di scuola per un tema. Più corretto sarebbe stato applicare lo schema del romanzo su Alasia a un terrorista di destra, visto che non mancavano di certo, non a uno che a tutti gli effetti è stato una vittima. Nemmeno salvata dal cambio di scuola.

Detto questo, il saggio romanzato di Culicchia pur lacunoso in alcuni capitoli (manca quasi totalmente la parte dell’ospedale, secondo noi agghiacciante più di quella dell’agguato: fra parentesi, gli aggressori erano quasi tutti studenti di Medicina) è capace di spiegare a chi non c’era quel clima di paura fisica oggi incredibile e all’epoca diffuso non soltanto nelle università e nelle fabbriche ma anche in licei e istituti tecnici. Un clima che si saldava con il 25 aprile e il mito della Resistenza tradita, in realtà tradita da chi ne aveva fatto una bandiera (rossa) di parte scippandola a chi aveva altre idee. Culicchia è bravissimo nel raccontare e nell’immaginare tanti episodi di vita quotidiana, con il senno di poi tutti segnali ma con quello di prima no, perché anche negli anni Settanta era difficile pensare che un diciottenne venisse ammazzato sotto casa senza ‘essersela andata a cercare’. Eppure la famiglia Ramelli, prima, durante e dopo quel periodo è stata trattata in maniera atroce.

In definitiva Uccidere un fascista lo consiglieremmo perché pur puntando anche a un tema altissimo, la critica alla disumanizzazione del nemico, ci fa immergere in un mondo di cui non abbiamo nostalgia ma dove indubbiamente c’erano ideali diffusi in una piccola borghesia, quella degli Alasia e quella dei Ramelli, non ancora lobotomizzata e omologata, come quella del green pass e dell’app Immuni. E in questa omologazione rientra la memoria condivisa, senza senso anche in una stupidaggine come il calcio e quindi figuriamoci per temi seri. Semmai di condiviso ci può essere l’interesse per la politica e per il voler migliorare il mondo, guardando oltre la quotidianità. Bisogna accettare che qualcuno celebri il 25 aprile e altri no, che qualcuno pianga Sergio Ramelli e altri no. Senza condivisione, ma con un minimo di rispetto.

stefano@indiscreto.net

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