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Elkann da guardia del potere
Stefano Olivari 06/08/2014
Siamo affascinati dal tono asettico e neutro con cui è stata raccontata la fusione fra La Stampa e il Secolo XIX. Confluiti in una nuova casa editrice, Italiana Editrice, in cui la FIAT avrà il 77% e la famiglia Perrone il 23. Il giornalismo italiano, di qualsiasi parte politica o sportiva, non si è mai distinto per inchieste sulle aziende degli Agnelli e nemmeno per battute sugli Agnelli. Al massimo qualcuno rideva a quelle dell’Avvocato (in realtà non avvocato), tipo ‘Baggio coniglio bagnato’ (ah ah ah, che sottile ironia) o ‘Boniek bello di notte’ (questa è veramente bella)… Però in mezzo a tutte queste risate bisogna osservare che in quello che rimane del giornalismo si è ormai formato un blocco unico, con ovvie conseguenze sulle notizie da dare e soprattutto su quella da non dare. Se alla nuova-vecchia creatura si assommano il controllo di fatto di RCS (Il Corriere della Sera e la Gazzetta dello Sport) e una sorta di patto di non belligeranza con Repubblica, quando si parla dei fatti riguardanti gli Agnelli-Elkann o De Benedetti (vedere la vicenda Sorgenia), si capirà facilmente che i famosi cani da guardia del potere fanno sì i cani da guardia, ma per conto del potere. Da grandi questioni internazionali fino alla modestia del duello Tavecchio-Albertini (parentesi: il fatto che Sky, visto l’asse Murdoch-Elkann, abbia sostenuto Albertini con un comunicato è significativo) passando per la trombatura di Montezemolo dal board FCA, non occorre leggere fra le righe per avere conati di vomito e pietà per chi come noi certi giornali continua a comprarli giusto per i necrologi e qualche notizia locale. Non è una questione di 10 centesimi in più o in meno (da lunedì scorso Gazzetta e Repubblica costano 1,40 euro raggiungendo così il Corsera, da lunedì prossimo La Stampa passa a 1,50), perché chi non legge continuerebbe a non leggere nemmeno se il giornale costasse 3 centesimi, ma di credibilità. Insomma, chi tocca Elkann muore. In senso professionale, si intende, come magari pensa anche Luciano Moggi.