Telecronista senza ascolti

6 Giugno 2011 di Oscar Eleni

di Oscar Eleni
Il manager Proli, Arrigoni numero uno, la sfida di Pianigiani, i soldi di Peterson, il dormiente Pecherov, il ripescaggio di Eze, la cena della domenica, l’anno di Gentile, i numeri di Sky e l’estate degli eliminati.

  

Oscar Eleni da villa Arzilla, rifugio per anziani pieni di rancore nella Linguadoca, dopo aver camminato borbottato da Tolosa, nuova campione di Francia nel rugby, ad Alby, alla ricerca dell’oro blu nella terra dei Catari, cercando di capire Dan Peterson interpretando Toulouse Lautrec che è nato da queste parti, evitando di farsi bruciare dai Livio Proli di passaggio sui roghi dove un tempo arrostivano gli eretici nel paese di Cocagne, fuggendo alla tentazione di urlare “ofelè fà ‘l to mestè” che a Milano vorrebbe dire quello che pensano anche al castello di Magrin: ognuno faccia il proprio mestiere e un grande manager non può credere davvero che le società sportive si gestiscono come aziende dove ogni mese leggi i conti, eh no, lo devi fare ogni giorno cercando di capire chi hai sotto salario, sotto il tallone, sotto il tetto.
Linguadoca per sistemare bene il fegato in vista di una finale che dal Canal du Midì era già scritta: Siena, la migliore di tutte per lunghezze, di vedute, di gioco, di scelte, contro Cantù la più brava a far apparire ricchi scemi quelli che hanno speso almeno tre o quattro volte di più, la più armonica delle contendenti ai probabili pentacampeones, la più invidiata perché ha già preso come premio l’Europa che Roma e Milano rivorrebbero entrando dalla porta di servizio, la più tormentata perché sono stati scelti come numeri uno nel ruolo anche quest’anno il suo manager-tutor tecnico Bruno Arrigoni e l’allenatore, il Custer Trinchieri che sfida le giacche blu fidandosi troppo della protezione, mai fedele, del gruppo di scassamaroni da “pizzarra elettronica benefica” che non verrebbero mai ammessi alla villa Arzilla di Carcassonne, né al castello di Montsegur dove abbiamo incatenato Dan Peterson per fargli passare la nottata , convincendolo che la sua felicità per l’avventura a 75 anni, un Jack Lemmon scappato dal Cile, è fuori luogo, e se vede ancora nel gruppo di falene che gli hanno dato da allenare delle farfalle tigre allora è meglio che torni a fare soltanto il commentatore televisivo.
Eh sì, uno che nelle telecronache pigliava fuoco quando vedeva gente palleggiare troppo, quando non avvertiva il sacro fuoco della caccia alla palla, del contropiede, del gomito rostrato a rimbalzo, non può assolvere quella squadretta che gli hanno fatto presentare ad inizio anno come vera rivale di Siena. Tutti stavamo al gioco, persino l’astuto Minucci che ancora non sapeva bene cosa sarebbe venuto fuori dalla nuova pesca estiva, dalla rivoluzione di una squadra vincente, anche se aveva il sospetto di averla costruita anche meglio insieme al figlioccio Pianigiani con il quale, magari, emigrerà a Milano, se l’aria in piazza Salmbeni dovesse cambiare, se volesse sganciarsi da tutto per sfidare la convivenza con il prode Proli che non aveva mai messo in conto di poter desiderare una spalla veramente competente, lui che somiglia alla protagonista del Diavolo veste Prada, anche se poi è Armani.
Ci credevano davvero il Proli, il Bucchi e il Pascucci, poi si sono separati in casa perché Livio non capiva più Piero con due finali dallo scantinato, poi hanno coinvolto Peterson mettendolo davanti ai fulmini di una squadra costruita con un vecchio manuale dell’usato insicuro, sono riusciti a farlo tuonare persino contro chi voleva proteggerlo, sistemandogli meglio il conto in banca, una cosa che non ha mai lasciato indifferente il Nano Ghiacciato, quell’omarino pieno di vitalità, di grande cultura universale per le cose dello sport, capace di pretendere persino soldi dallo sponsor per aver indossato, scusandosi con la società dopo aver dimenticato a casa quelle di cuoio, scarpe di gomma in una diretta televisiva. I soldi non dovrebbero essere tutto e sfinirsi per andare dietro ad una squadra che neppure lo ascoltava o che fingeva di leggere i suoi cartelli evocativi, per esserci in tutti i posti dove i contratti lo avevano vincolato, non gli ha certo fatto bene anche se poi ci ha detto di essere felice. Felice per aver visto da dentro come è cambiato il suo sport dai tempi in cui era re? Bastava prendere un gin tonic con quelli che lo prendevano in giro, dietro le spalle, per aggiornarsi, per non cadere nella trappola, nel peccato di vanità che brucia il cerone, i trapianti, le plastiche, le cose finte insomma.
Non aveva sbagliato la società a ripararsi dietro Dan Peterson, ma poi doveva riflettere su tutto il resto e non lo ha fatto perché avrebbe scoperto che sotto il vestito, la presunzione di saper tutto, c’era il nulla. Spendere così tanto per essere comparse non può avere senso e ora si trema sapendo che nelle mani degli stessi costruttori del castello d’argilla ci sono 45 milioni per la gola degli agenti, una cifra enorme per rifare nuovamente la squadra anti Siena e, ora, anti Cantù. Nella villa Arzilla di Argeliers i vecchi bavosi avrebbero detto che riportare a casa Hawkins era mettersi al collo la pietra che aveva rifiutato Roma e che Siena non vedeva l’ora di scaricare. Prendere Pecherov, un dormiente che l’NBA aveva rimandato in Europa con fiocco giallo, segno di quarantena, prenderlo a prezzo altissimo come dicono i cattivi o a prezzo bassissimo come sostiene una società che si rifiuta di farci vedere i compensi per i suoi mimi da canestro, era comunque un azzardo conoscendo le debolezze strutturali del gruppo che dietro doveva vivere sull’effimero di Finley e sugli sbalzi d’umore di Jaaber che avevano già mandato alla neuro Roma e i suoi allenatori.
Peterson ha poi avallato tutto e quando i russi hanno scaricato Eze si sono ingoiati tutto, anche il sovraprezzo: ora dobbiamo confessare che Pianigiani meriterebbe il premio di super numero uno non tanto per quello che stravince o ha stravinto, ma per aver mascherato un tipo come questo eccellente atleta che salta a vuoto e commette fallo a prescindere, per averci convinto che la struttura verticale della sua difesa non era al ponte levatoio Stonerook, ma molto più indietro dove Eze giocava, però, una ventina di minuti nelle partite vere. Spartire il compenso con il Khimki alla canna del gas aveva un senso, strapagare questo irascibile Benjamin è stata un’altra mossa sbagliata, almeno come quella del ripescaggio dalla isola della tristezza di farfallino Greer. Non capire il peso di Mordente e Rocca in un sistema non sistemato, non rendersi conto che Mancinelli diventa un pericolo per la squadra se segna il primo tiro da tre è stato un voler nascondere la testa nella sabbia, una presunzione di chi non ha capito che il Mancio può esistere in una squadra soltanto alle ferree regole imposte da Pianigiani nella Nazionale con qualche filtro, non certo nella prateria dove certi giocatori amano farsi leccare i piedi dalle mandrie che non vedono l’ora di avere qualcuno da idolatrare perché lo sport di squadra non lo capiscono come diceva un tempo il principe Rubini pensando al talento sprecato di chi stava altrove e che gli lasciava scudetti e gloria mentre gli avversari si godevano il capo cannoniere.
Basta. Ora vediamo le nuove mosse. Tornare ad allenatori di valore medio alto non è più possibile. La Milano che ha disertato il play off con Sassari, e non soltanto per la musica a palla, non soltanto per disattenz
ione societaria nel preparare l’evento, quella che nella partita decisiva ha dato mille spettatori in meno degli 8.000 che si erano illusi in gara tre perché alla domenica l’orario della cena è sempre sbagliato, vuole gente con spalle grandi, gente che abbia presa mediatica, ma vuole soprattutto uno che abbia un’idea sul come si costruisce una squadra, rischiando anche di andare a cercare giocatori utili al gruppo fuori dal solito album delle figurine.
Diverso il discorso su Treviso, altra eliminata di questa settimana, perché almeno ci ha dato un talento come Alessandro Gentile, perché ha mosso la scena e non ha parlato a vanvera se poi ha portato al titolo la sua under 19 contro la Virtus Siena che dimostra di essere l’unica società per cui le nuove formule meritano che si faccia eccezione utilizzando l’esperienza del gruppo Bruttini per indicare la strada ai parolai che ancora sguazzano nel pantano dove vale il detto che chi alza più la voce la vacca sarà sua. Nelle finali under 19 la Lombardia, che ha 4 squadre in serie A, non aveva una rappresentante nei quarti di finale. Qualcuno ci ragionerà su questo dato? Difficile. Non porta visibilità soffrire sulle cose che servono davvero.
La porcata della wild card postdatata ci porta a chiedere perché lamentarsi se fossimo la bocciata di A2: carissimi, i 500 mila euro non li prenderete mai salendo di categoria, né incasserete molto di più giocando per non retrocedere, né avrete ossigeno dal famoso nuovo contratto televisivo che tutti aspettiamo per il prossimo “fine mese qualunque” dell’agenda Renzi, perché in giro non c’è trippa per gatti e formaggio per topi dirigenziali. A proposito di SKY e della sua fuga pilotata: dire che gli ascolti sono bassi sarà pure una verità, ma allora avete preso in giro, oltre all’abbonato onnivoro di basket che già aveva perso l’Eurolega, anche quelli che fanno pubblicità negli spazi interdentali delle partite soffiate con enfasi da maison tellier nelle case di appassionati misteriosi, perché far pagare una cosa che non vede nessuno sembra anche assurdo, a meno che…A meno che non siano tutte bugie e qualcuno, per far dispetto alla moglie che lo ha sorpreso con le braghette in mano, si è tagliato gli zebedei di famiglia.
Qui a villa Arzilla, in Linguadoca hanno voglia di chiudere e non vogliono più darci l’oro blu promesso da Peterson a nome degli ultimi samurai che non si disonorano con la modernità di partite giocate in posti tutti uguali, con sedute video lunghissime tutte studiate nella notte dell’infelicità, con riscaldamento sul campo dedicato più al richiamo muscolare che alla ricerca dell’equilibrio nel gesto tecnico. Pensare che abbiamo rinunciato alla giornate di Rivabella, al convegno di umanità variamente innamorata degli altri nel nome di Willie the King per stare dietro a questa chimera del play off. Saremo puniti nella prossima vita come ci ha detto Boscia Tanjevic che continua a credere nel nuovo progetto di Roma bella e che non riesce ancora a capire cosa fanno i giocatori italiani delle squadre che non sono arrivate nelle prime otto dal giorno dell’eliminazione a quello del raduno estivo. Si limano le unghie, si lamentano, bevono cuba libre, parlano con i loro agenti e aspettano la befana d’agosto. Domande per i più insaziabili: Ci capite qualcosa in un mondo dove ha più credibilità il papero che ripete “il basket è cambiato” di quello che esiste davvero sopra Rivabella? Per fortuna non siamo tutti incatenati e i 4.000 al campo Owens valgono più dei titoli fasulli per una caccia senza senso, del tutto contro tutti come avviene adesso nella Bologna che fu regno e che ora vive emozioni come quelle di chi le cose ama farle sul serio e non le propone per vedere se fanno effetto sulla solita gotta borghese.

Oscar Eleni

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