Stanchi di Costante e Fausto

15 Maggio 2010 di Simone Basso

di Simone Basso
Bilancio di una settimana di Giro, fra le solite nostalgie in chiave marketing e gli stranieri che ci spiegano l’Italia…
Eppur si muove, direbbero alla Galilei. Un italiano di valore, l’ennesimo, rimosso dalla memoria collettiva degli italiani. Meno male che la carovana rosa, per merito dei suoi munifici sponsor, ci ricorda rumorosamente che il Giro esiste e lotta tra noi. Oggi, sabadì, l’inizio tecnico della corsa, quello agonistico (come ovvio) è già in divenire dalle calli di Amsterdam: ed è potenzialmente favoloso, di sicuro vero, ma poco premiato finora dal sacro responso televisivo, dopato dalla ricerca del personaggio (il valentinorossi) a tutti i costi. Dopo una settimana si è assistito a due mezzi sprint, il risultato di una contesa pancia a terra (anche glutei e clavicole talvolta..) che raramente è stata del caro vecchio Giro: il passaggio nella terra dei Campionissimi ha autorizzato nostalgie infinite nell’immaginario mediatico, a confermare l’assioma che nel ciclismo il passato ha sempre ragione.
Con tutto l’amore per Costante e Fausto, siamo abbastanza stufi di captare per la milionesima volta la stessa solfa, sicuri che la maggiorparte delle pecore belanti conosca solo per sentito dire quell’epoca e le altre. Infatti certi Giri del dopoguerra (1948, 1954, per esempio) sono mitizzati perchè ricordati con la giusta dote di Alzheimer; in verità furono orribili esteticamente e figli di un mestiere, uno sport, decisamente dispotico e caratterizzato da dinamiche paramafiose. Ben diverso l’ideale prometeico di questi anni, spiegato benissimo in questa prima settimana dagli stranieri: gli stessi che comprano cascine sperdute nelle nostre campagne e le coltivano come gioielli in pietra e fiori. Matthew Lloyd, il canguro varesino vincitore a Marina di Carrara, ha definito il Giro “..una corsa favolosa, romantica”: loro lo capiscono al volo, gli indigeni (pronti a taffazzarsi ad ogni occasione utile) no.
Resta comunque la sensazione, fortissima, che tutto quel pubblico sulle strade sia l’incarnazione inconsapevole di che cosa dovrebbe essere l’Italia
, un (bel) paese molto meno feroce e più consapevole delle proprie fortune. Le strade bianche del Chianti, sguardo estatico su un paesaggio unico nella Via Lattea, porteranno a Montalcino, il covo del Brunello: conteremo finalmente i favoriti in prima fila, sicuri che almeno per rispettare la semantica della tappa ritroveremo Vino col coltello tra i denti. A Cuneo, il luogo dove l’uomo di mondo Totò fece il militare, lo abbiamo ammirato, con il ghigno di un biondo nazionalsocialista de “Le Benevole”, mentre sfasciava il treno Astana; inconsapevole, sul pavè in lieve salita, di uccidere i compagni con quell’andatura degna del leggendario Sergei Soukhouroutchenkov.
Nibali, che comunque è un predestinato al rosa, lo aspetteremo anche i prossimi anni: è veramente uno sfregaselle che promette un cambio generazionale meno angoscioso a BiciItalia. Oltre che passista scalatore da Tour, è anche uno dei migliori nella conduzione tecnica del mezzo; fattore sottovalutato dai cretinetti che pensano solamente ai watt e al vam, nemmeno fossero categorie dell’anima. All’ombra della coppia descritta, vediamo un ottimo Basso (se son rose..), un minaccioso Carlito Sastre e il solito Paperino Evans, le gambe migliori del plotone imprigionate in una squadraccia (la Bmc) incapace di supportarlo (e sopportarlo) degnamente. Domenica, andando verso la montagna dei romani (il Terminillo), avremo le idee più chiare sui cinque: che non sono i Monty Phyton ma ci divertiranno (quasi) come loro. Se poi preferivate i Giretti di Moser e Saronni, quelli sceneggiati da Mario Puzo, sono cavoli vostri: noi, che a Beethoven preferiamo l’insalata, stiamo con il Giro 2010.
Simone Basso
(in esclusiva per Indiscreto)

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