Sottovalutazione di Dražen Petrović

7 Giugno 2022 di Stefano Olivari

Dražen Petrović moriva 29 anni fa, a nemmeno 29 anni di età, il 7 giugno del 1993, e noi non ce lo siamo mai dimenticato. Pochi mesi prima il fuoriclasse croato aveva vissuto una delle sue delusioni sportive più forti, con l’esclusione da un All Star Game NBA che avrebbe strameritato. Di seguito parte del capitolo del nostro libro Gli anni di Dražen Petrović – Pallacanestro e vita, proprio su quella vicenda.

(…) Il 21 gennaio i Nets ospitano i Bulls campioni e quindi Michael Jordan. Che pur ritenendosi superiore a qualunque altro essere umano, non solo su un campo da basket, è costretto a rispettare Petrović come ormai fanno quasi tutte le stelle NBA. Atmosfera delle grandi serate, palazzo pieno: la Byrne Meadowlands Arena fa il tutto esaurito con 20.049 spettatori. Inno nazionale cantato da Carl Lewis, l’esibizione del fenomeno dell’atletica è più che dignitosa. Partita interessante perché Daly tira fuori dal cilindro una delle mosse che usava ai Pistons per innervosire Jordan, cioè farlo marcare da un giocatore diverso da quello che lui affronta in difesa.

Così da una parte del campo MJ contiene Petrović, mentre dall’altra è Morris (su cui difende Pippen) a stare su di lui: i risultati stavolta sono tragici, perché Jordan si mette in post basso e da lì massacra Morris e i Nets, senza forzare e regalando i classici sorrisetti alla Jordan. Un trentello e via, verso una vittoria tranquilla. Si impegna molto di più nell’altra parte del campo, dove costringe Dražen a un 5 su 17. Per il croato 20 punti e tanto nervosismo, ma nessun complesso di inferiorità. A undici anni e qualche mese dal loro primo incontro, durante la tournée americana della Jugoslavia di Tanjević, Petrović continua a pensare di essere dello stesso livello. A fine partita, quando gli chiedono del fuoriclasse dei Bulls, gli fa un complimento alla Petrović: “Jordan è un grandissimo difensore e stasera lo ha dimostrato, perché non è facile fermarmi”.

 Quella del 24 gennaio è forse la più grande serata NBA di Petrović, alla caccia della convocazione per l’All Star Game di Salt Lake City. I Rockets sono una squadra caldissima, vengono da una striscia di otto vinte, ma si trovano contro un mostro. 44 punti, di cui 32 nella seconda metà e 25 nel quarto quarto, uno solo in meno dell’intera squadra di Houston, 100 a 83 il punteggio finale. I 13.136 della Byrne Arena assistono ad un’esibizione di tiro clamorosa, con tanto di tripla per arrivare al 100. 17 su 23 al tiro totale, 3 su 3 da tre punti, 7 su 7 ai liberi. Nessuno dei Nets segnava tanto dai tempi di Ray Williams…

Partita che è ricordata non solo per il career high di Petrović nella lega, come punti segnati, ma anche per un numero irridente  ai danni di Olajuwon: arresto micidiale dalla media distanza, finta, il centro dei Rockets che salta a vuoto, pallone fatto sparire dietro la schiena dell’avversario e tiro in controtempo con canestro. Lo stesso spirito di certi finali di partita in Jugoslavia ma portato ad un livello, anche di pericolo fisico, molto più alto. Alla fine complimenti da Anderson e Coleman, che a un certo punto hanno addirittura giocato solo per lui e il suo All Star Game. Petrović ha appena strapazzato Maxwell, sente di meritare la vetrina mediatica più luminosa, pur disprezzando quel clima da esibizione.

Tutti gli danno pacche sulle spalle e viene fuori anche una storia curiosa. Petrović è solito pedalare sull’amata cyclette anche prima delle partite, un’abitudine che Daly detesta. Il caso vuole che proprio prima della partita dei 44 punti con i Rockets abbia convinto Petro a lasciar perdere, dicendo che il calendario è fitto e che in fondo lui è già abbastanza caldo. Grandi risate e in conferenza stampa un Petrović rilassato come non mai: “A un certo punto Derrick e Kenny hanno giocato per me, essere una squadra significa mettere i compagni in condizione di dare il massimo e adesso sento che siamo diventati una squadra. Quanto al tiro, quando uno tira non è cosciente di ciò che fa. Deve essere allenato, ma una volta in partita non si pensa più di tanto”. Morris è fuori per infortunio, ma tutto l’ambiente è carico: Cheeks, Dudley e Mahorn fanno la loro parte, forse sta davvero nascendo qualcosa. I Nets sono 23-17, hanno nel mirino i playoff ma non più come obbiettivo massimo.

Il 29 gennaio nella rivincita con i Rockets i Nets perdono di tre ma Petrović tira fuori un’altra prestazione mostruosa. 32 punti e una quantità di numeri davvero alla Maravich, paragone mediatico sempre in uso: non solo canestri e assist, ma voglia di stupire ed essere ammirato. Tutto questo insieme ad una sfida di trash talking con Maxwell e un professore della materia come Robert Horry. Petrović è rispettato da quasi tutti, adesso. Anche se c’è troppa enfasi sul suo tiro e troppo poca sui miglioramenti negli altri aspetti del gioco. Lo stesso Maxwell dichiara che Petrović dovrebbe essere convocato per l’All Star Game e che in ogni caso lui lo voterebbe.

Nell’ambiente Nets c’è grande entusiasmo, addirittura si pensa che a Salt Lake City andranno in tre: Dražen, Coleman e Anderson. Ma nessuno è nel quintetto base dei votati dal pubblico, Dražen è l’ottavo in classifica fra le guardie. Nessuno è poi nemmeno chiamato fra le riserve, la cui scelta spetta all’allenatore della Eastern Conference che quest’anno è Riley. Anderson la prende malissimo, era il più convinto di andarci anche se le chance migliori erano in realtà per Dražen e Coleman, fino a quel momento macchina da 20,2 punti e 11,4 rimbalzi a partita. Bowie parla di mancanza di rispetto da parte della lega, ma sceglie Riley e l’ex profeta dello showtime è ormai convertito al basket sporco e porta avanti questa sua convinzione anche in un contesto da esibizione.

Petrović è anche sfortunato, perché di solito ogni team ha cinque guardie, mentre quest’anno il selezionatore ne gradisce solo quattro: dietro a MJ e Isiah Thomas vengono chiamati Joe Dumars e Mark Price. Così uno che tira con il 51,6% dal campo e il 49,6 da tre viene lasciato a casa… In privato, ma non troppo, più che a Riley Petrović dà la colpa di tutto alla fama perdente dei Nets, che nella percezione comune sono destinati a rimanere perdenti. È anche convinto che i Nets abbiano spinto di più per le convocazioni di Coleman e Anderson, ma questa è soltanto una sua impressione. Beffa nella beffa, l’uomo che toglie la convocazione a Coleman è Schrempf, che diventa così il primo europeo mai convocato per un All Star Game.

La rabbia è tanta e la dirigenza dei Nets pensa sia arrivato il momento giusto per parlare di nuovo del contratto: l’offerta per Dražen è di 3,1 milioni di dollari a stagione per cinque anni, quindi fino al 1998. Un supercontratto, per i parametri dell’epoca, ma Dražen ribadisce che la sua decisione arriverà al termine della stagione: “Magari si potrebbe fare tre anni invece di cinque, comunque ne parlerò con la mia famiglia”. LeGarie parla di discriminazione dei giocatori europei da parte degli allenatori NBA, riferendosi non soltanto all’All Star Game. A proposito, a Salt Lake City vogliono Petrović ma ancora per la gara di tiro da tre punti. Dražen adesso vive questa convocazione minore come una beffa e si sfoga con Daly, osservando che pochi giorni prima a Detroit non ha fatto toccare palla a Dumars… La protesta nei confronti del razzismo NBA arriva a modo suo. Il 16 febbraio a Milwaukee, due giorni prima delle convocazioni per l’All Star Game ma con le indiscrezioni già quasi certezze, si assiste a uno pseudoinfortunio: dopo un fallo di Jon Barry, roba normale, Dražen scivola e quando si rialza inizia a zoppicare. La caviglia destra gli fa male, dice. Visite, esami, poi l’annuncio: “La caviglia deve guarire, ho bisogno di riposo”. Nei giorni dell’All Star Game si allena blandamente e riparla del contratto. Ai giornali LeGarie dice che “È la prima volta nella storia che un giocatore NBA rifiuta l’estensione del contratto a più anni e più soldi”. In cuor suo pensa però che Dražen dovrebbe firmarlo subito, quel contratto. I Nets non mollano, tramite Reed arriva un’offerta informale che sfiora i quattro milioni l’anno: Dražen gli dice che è buonissima e ringrazia, ma nulla di più.

Il Petrović di stagione ha un buon rapporto con l’assistente Rick Carlisle, che dopo ogni canestro da tre (non prima…) gli urla ‘Pucaj tricu’, in croato ‘Tira da tre’, per gasarlo facendogli sentire la sua vicinanza. Il futuro allenatore dei Mavericks campioni NBA ha avuto da Daly il preciso mandato di far sentire Dražen come a casa e Carlisle non ha difficoltà ad eseguire, perché la sua sintonia con il giocatore è totale. Non conosce il croato e questo delle frasi motivazionali è un gioco, ma Dražen sembra gradirlo e così Carlisle impara a memoria una ventina di altre parole in croato, per scuotere Dražen quando lo vede giù. Dopo ‘Pucaj tricu’ la più usata è ‘Igraj odbranu!’, cioè ‘Difendi!’.

Iniziano ad arrivare a pioggia anche i complimenti degli avversari. Reggie Miller confessa la sua frustrazione quando prende un suo canestro in faccia, direttamente dal palleggio, senza che la palla nemmeno tocchi il ferro. Petrović continua a sostenere che lui non è solo un tiratore da tre e che comunque l’America è piena di cattivi difensori con un contratto NBA… Di certo i pregiudizi anti-europei si mescolano a quelli anti-bianchi, visto che Sean Elliott rivela ciò che i fratelli pensano di Petrović: “Mi dicono tutti che è davvero forte, per essere un bianco”. Mentre Sean Elliott fa questa affermazione la percentuale di giocatori neri nella lega è di circa il 75%, ma soprattutto i giocatori nati all’estero (magari anche con il passaporto americano, ma nati all’estero) sono 22… un quinto rispetto a quanti saranno vent’anni più tardi. In un’altra intervista Dan Majerle dei Suns dice, da bianco americano, che in effetti contro Dražen  c’è questo doppio pregiudizio, ma che l’unica soluzione è dimostrare sul campo di essere forte. Sull’argomento Dražen è sempre stato evasivo, pur comprendendo fin troppo bene una realtà che non si può circoscrivere al basket. (…)

Estratto del libro ‘Gli anni di Dražen Petrović – Pallacanestro e vita’. Uscito nel 2015, in vendita su Amazon ed in libreria oltre che in versione Kindle.

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