Soft core business

3 Aprile 2009 di Stefano Micolitti

I cani da guardia del sistema impediscono alla Lega Calcio di crearsi una propria tivù e di raggiungere sul mercato interno i risultati della Premier League, per i motivi più volte ricordati: finché i due principali clienti, Sky e Mediaset, saranno i vessilli di due distinte parti politiche il prodotto sarà sempre svenduto. Poi magari la Infront ci smentirà e farà incassare alla serie A i 1600 milioni l’anno che televisivamente vale, ma per la gioia del cavallo di Troia è più probabile che non ci riesca. Non si parla però mai di Dahlia, che altro non è che l’erede di La7-Cartapiù: il gruppo svedese che fa capo alla famiglia Wallemberg (quelli della Saab) ha rilevato la baracca pay da Telecom (quindi con i contratti fino al 2010 di Fiorentina, Palermo, Bologna, Sampdoria, eccetera) ed ha ripreso, curiosamente, molti dei concetti di quel progetto che circolava in Lega qualche anno fa. Potremmo spiegarne la filosofia, ma amiamo la sintesi: il progetto che per qualche tempo fu portato avanti dalle medie società potrebbe essere definito elegantemente ‘calcio e figa’. Basta vedere le cinque colonne della programmazione di Dahlia Tv in Italia: calcio medio, generici ‘altri sport’ (una medaglia però la collaborazione di Rino Tommasi per la boxe) con diritti non contesi da nessuno, sport estremi per chi cerca il brivido mangiando i Cipster sul divano, film soft core per chi preferisce aspettare novanta minuti prima della scena madre (tipo certe pellicole del magazzino di Sette Gold) e film porno in senso stretto per noi di periferia. Ma se di filmacci è pieno il mondo, la serie A è un bene limitato: chi ce l’ha in mano può decidere le sorti televisive italiane, fondando una tivù da zero (a maggior ragione con il digitale terrestre diffuso in tutta Italia). Basta guardare il principale oppositore del supermanager per capire tutto.

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