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Quelli che il rating

Stefano Olivari 29/09/2010

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di Stefano Olivari
Il calcio non è una scienza esatta, tranne che per chi lo vende come scienza esatta. Per questo negli ultimi anni sono dilagati, soprattutto a livello universitario, studi statistici con l’obbiettivo di battere i bookmaker. Ne avremo letti, in forma totale o parziale, almeno una cinquantina (agli interessati consigliamo di partire dal saggio di M.J. Maher, Modelling Association Football Scores) ed il tratto comune è che prima o poi si arriva all’esplicitazione di un ranking o di un rating.
La scuola di pensiero del ranking è basata su vari parametri di squadra e sul fatto che la formazione delle quote ‘giuste’ avvenga poi dall’incrocio con un sotto-ranking dato dai risultati recenti. La corrente del rating propone invece un concetto più soggettivo ma anche più vicino alla realtà, perché dà una valutazione a tante sotto-aree (abilità difensiva, forma degli uomini chiave, affidabilità del portiere, fattore campo, eccetera) che poi portano ad una valutazione globale. Entrambe le scuole hanno propri modelli statistici di riferimento, quello più usato è la distribuzione di Poisson: cioè la probabilità per un numero di eventi indipendenti fra loro, sapendo che in media se ne verifica un determinato numero. I metodi basati sul rating forniscono i risultati migliori per trovare le quote di valore su cui giocare in modo ponderato (cioè puntando cifre diverse in modo da perdere lo stesso importo), a volte con rendimenti vicini al 30% del capitale, per una ragione semplice: sono gli stessi usati dai quotisti per la parte tecnica del loro lavoro, al netto di considerazioni di mercato.
(pubblicato sul Giornale)

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