L’umiltà dello scalper

21 Luglio 2011 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari
La analogie fra scommesse e mercati finanziari sono innumerevoli, al punto di avere portato al successo un sottogenere letterario in cui professori universitari di economia o di matematica vendono ricette miracolistiche con una spruzzata di espressioni che intimidiscono (tipo ‘La distribuzione di Poisson’). Nella realtà quotidiana queste analogie hanno portato alla nascita di un nuovo tipo di scommettitore, il cosiddetto scalper.
Uno al quale non interessa l’esito finale di una partita, ma solo trarre profitto in pochi minuti dall’oscillazione delle quotazioni. Lo scalper è diverso dal trader, che lavora anche lui sulle oscillazioni di una quota ma crede in un risultato (infatti il suo obbiettivo è coprirsi nel caso non esca). Lo scalper crede solo nel movimento delle quote, che può sfruttare anche decine di volte sullo stesso evento. Il professionista opera sugli exchange, dove può puntare e bancare, ma a livello teorico lo schema è applicabile anche con bookmaker tradizionali e sugli eventi con due soli possibili risultati (come tennis e Over-Under nel calcio). Il guadagno avviene su ogni tick o doppio tick, cioè movimento minimo percentuale (esempio: da 1,29 a 1,31), a patto di avere preso posizione  nel modo corretto (nel nostro
esempio bancando a 1,30). La parte meno intuitiva del sistema è quella dell’uscita: se non si individua la direzione (esempio: la quota scende a 1,28) nel breve periodo bisogna subito uscire limitando la perdita (quindi attuare uno stop loss) perché comunque fra le centinaia di operazioni fatte durante il giorno, osservando i volumi, saranno sempre di più quelle chiuse in guadagno.

stefano@indiscreto.it

Articolo pubblicato sul Giornale

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