Quel doppio caffè mai preso

28 Ottobre 2009 di Libeccio

di Libeccio
1. “Il Giro d’Italia 2010 partirà da Amsterdam”, leggiamo su alcuni giornali senza soffermarci troppo. Poi ci riflettiamo e pensiamo che magari nel Trentino o in Val D’Aosta ci possa essere un paese che ospiterà l’inizio del prossimo Giro con questo nome: un semplice caso di omonimia geografica, insomma. Invece no, il prossimo Giro d’Italia parte proprio dalla capitale olandese. Perchè la corsa simbolo del ciclismo nazionale prende il via fuori dei nostri confini? Il Giro, è bene ricordarlo a chi legge solo la Gazzetta, non ha la dimensione internazionale del Tour: queste scopiazzature da poveracci, peraltro già viste in passato, sono un po’ tristi.
2. Era il lontano 1963 ed avevamo appena 5 anni. Abitavamo in un piccolo paesino di montagna dell’Italia Centrale, escluso da ogni cosa: compresa la tv che ancora non arrivava nelle nostre case. Straordinariamente però arrivò in paese una tappa del Giro d’Italia con enorme stupore del paese intero e in particolare di noi bambini che assistemmo alla scena con uno sbalordimento che ancora sentiamo addosso. Poco prima che la tappa partisse, un ciclista di cui non avremmo saputo mai il nome ci si avvicinò e ci chiese in modo super segreto di procurargli un piccolo contenitore di caffè (‘Due-tre caffè’, disse) con molto zucchero. Aggiunse che non avremmo dovuto farci vedere da nessuno. Ci diede anche 200 lire per il disturbo (una enormità, in quei tempi). Considerandoci eletti del destino, corremmo a casa a perdifiato chiedendo a nostra madre di riempire una piccola bottiglia di vetro con una macchinetta di caffè (cosa che stranamente nostra madre fece senza discutere). Sempre di corsa tornammo nel posto dove la tappa era in partenza ma non trovammo più nessuno. Erano già corsi via prima che potessimo portare a termine la missione segreta. Nel 1963 un atleta che correva il Giro d’Italia durante la gara non poteva usare altro che acqua e qualche frutto (ricordate i tascapane posti dietro la schiena delle maglie pieni di banane?). Anche il caffè era considerato vietato. Bei tempi.
3. Per noi e per tanti altri suoi amanti il ciclismo è finito il 5 giugno del 1999 quando a Madonna di Campiglio vennero resi noti i risultati delle analisi (relativi alla tappa del giorno prima) riguardanti Marco Pantani, con globuli rossi ed ematocrito superiori al consentito. In quel posto, su quei tornanti, sotto quelle cime baciate da sole e vento per noi morirono il ciclismo e Pantani, che consideravamo uno straordinario antieroe positivo. Aveva tutto dell’antieroe, Pantani, e proprio per questo divenne per milioni di persone in Italia e al Mondo una straordinaria figura mitologica dell’uomo che può ogni cosa perchè poggia (esclusivamente) sulla sua ferrea volontà il destino intero della sua vita. Sembrava tutto tranne che un atleta, tutto tranne che un vincente, tutto tranne che un ciclista professionista. Eppure, a parte i valori ematici di un certo tipo, aveva qualcosa dentro che lo sollevava dal terreno insieme alla sua bicicletta quando decideva che era giunto il tempo di chiudere il gioco. Qualcosa che non si compra in farmacia.
4. Per noi il ciclismo è finito definitivamente quel giorno, in quel posto. Poi c’è stato il resto del film che aveva già un finale scritto. Pantani è uscito di scena a suo modo ed è stato un giorno di immenso dolore per chiunque gli abbia voluto bene e insieme a lui è uscito di scena il ciclismo a cui i mercanti del tempio hanno inflitto pene e fango a non finire. Da allora tutto e tutti sono stati travolti dal discredito in nome del vincere facile, dei soldi a mazzi, dei limiti sempre di più spostati “oltre”. Vale però anche il discorso fatto tante volte anche su Indiscreto: il ciclismo non è lo sport più sporco, è solo l’unico (fra quelli popolari) ad avere cercato e quindi trovato il marcio.
5. Al ciclismo servirebbe una pausa (anche lunga) di riflessione, più di mille partenze da Amsterdam. Uno stop consapevole e regole ferree che colpiscano squadre e atleti in modo durissimo in caso di doping (radiazione perenne). Ma ci sembra che manchi il coraggio o che prevalga comunque il principio sciocco dello spettacolo che deve continuare. Ad ogni costo.
Libeccio
(in esclusiva per Indiscreto)

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