Crediamo in Vingegaard?

20 Luglio 2023 di Stefano Olivari

Credete nel ciclismo di Jonas Vingegaard? Ma potremmo dire anche in quello di Tadej Pogacar, ieri crollato ma sempre mostruoso e in tante situazioni diverse. Il danese della Jumbo-Visma, che ha 7’35” di vantaggio sullo sloveno nella classifica generale, e più di 10 minuti su tutti gli altri, si sta avviando a vincere il suo secondo Tour de France consecutivo e mai come nel suo caso leggiamo articoli sospettosi da parte dei giornalisti specializzati, nonostante Vingegaard sia sempre risultato negativo ai controlli antidoping: può voler dire poco, ricordando quante volte fu testato Armstrong, ma questa è l’ufficialità.

Così come sono ufficiali la velocità ascensionale ed i wattaggi, peraltro non soltanto di Vingegaard, superiori a quelli dei grandi degli anni Novanta e primi Duemila, con l’asterisco delle bici migliori e di tutto il resto. Al di là della pazzesca cronometro di martedì, a noi ignoranti di ciclismo ed anziani telespettatori (è lo sport con la più alta audience di vecchi, non soltanto per l’orario) di Vingegaard e soprattutto di Pogacar colpisce l’incredibile quantità di scatti, anche lontanissimo dal traguardo, roba da far sembrare Merckx un attendista.

Il prodotto finale è un ciclismo molto più spettacolare di quello degli anni Ottanta-Novanta, con campioni anche più versatili, aggiungendo al girone dei fenomeni anche Evenepoel e a quello dei campioni Roglic, oltre a Van Aert e Van der Poel. La pensiamo sempre allo stesso modo: dopato è chi viene trovato positivo all’antidoping, se no dovremmo dare del ladro a chiunque vinca qualcosa. Il che non significa che i ‘negativi’ siano di sicuro puliti, e nemmeno che l’antidoping sia giusto visto che il sistema premia chi è è seguito dallo staff medico migliore. La cosa che ci interessa non è il doping ma che ci siano uguali condizioni di partenza: siamo cresciuti con le articolesse che esaltavano le nuotatrici con i baffi della Germania Est, contrapposte alle italiane magroline e che non si allenavano abbastanza.

Inutili i paragoni con il calcio, dove l’antidoping è soltanto formale: quando alle sette del mattino gli ispettori della WADA si presenteranno a sorpresa a casa di Messi o di Mbappé cambieremo idea. Alla fine, se siamo onesti con noi stessi, dobbiamo ammettere che anche nel ciclismo ci facciamo guidare dal tifo o per lo meno dalla simpatia: a parità di prestazione quella di Tizio è un’impresa, quella di Caio è una prestazione sospetta. Questo genera cortocircuiti mediatici: come si fa a denigrare il ciclismo degli anni Novanta e contemporaneamente ad esaltare Pantani? Quindi la domanda su Vingegaard ha mille asterischi: crediamo al suo/ai suoi Tour de France?

stefano@indiscreto.net

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