Pinocchio ad Affori

12 Luglio 2013 di Oscar Eleni

Oscar Eleni dalle meraviglie del Quanta Village ad Affori, Milano da bere sul tardi nella zona dove un tempo chi doveva andare a militare passava giorni d’inferno, non lontano dal feudo leghista di via Bellerio, dove Werther Pedrazzi ha ospitato sotto la sua tenda di grande sciamano dell’anima perduta tutti i nostalgici di quelle Scarpette Rosse che si sono rotte nel tempo e che ora vengono usate soltanto da messer Pinocchio e dai suoi servi di scena per far capire che il mondo intorno a loro conta meno del due di briscola. Siamo nell’epoca del basket diviso in 14 sezioni in un palazzo che andrà purificato per le finali di eurolega.

Pomeriggio speso bene sfogliando le pagine di un libro scritto col cuore e  costruito con sguardo di bimbo, lontano dal pianeta Olimpia, ma esploratore che ha cercato alberi, leoni, tigri, occhi speciali, gente che pensa in grande e con stile. Merita i 18 euro che si possono spendere in una libreria, anche adesso che al posto dei libri ti piazzano una banca, ma siamo nel mondo delle vacche magre dove se avevi una rosticceria di fiducia te la travolgono con prodotti dozzinali.

Ecco, il Wertherone da sbarco non è tipo da atelier italioti, per lui che fiuta e confessa i Pinocchio del tempo, per lui, che ogni tanto confessa di aver perso nel bosco i denari e il talento, ci vorrebbe la gioia di vivere della Disegual, una casa di moda catalana, di Barcellona, dove si cambia scrivania ogni giorno, dove il motto è “La vida es chula”, divertimento e non oppressione ascoltando cose che noi al di fuori del sistema non riusciamo più ad immaginare, ma che gli epurati dalle palazzine Lliberty, i martiri dell’amianto milanese, gli hanno confessato, nella speranza che, meglio prima che poi, si venga a sapere tutto. Succederà, come diceva Verdi a chi voleva  chiamare Violetta la sua Traviata.

Inebriati dal mondo che gioca, nuota, balla e  si diverte al Quanta Village, e poi dicono che la gente non fa sport: chi erano allora quei viaggiatori su campetti e su sabbia che poi ci hanno fatto compagnia dove si poteva mangiare e bere? Esistono. Sono in un centro diretto da Ricky Tessari, l’unico allenatore  a Milano che ha vinto uno scudetto in questo 2013 delle occasioni perdute, delle squadre mascherate, cambiate, perdute e nate per perdere. Il titolo dell’hockey in line non sarà il massimo, ma è scudetto e allora giù il cappello che serve per farsi vento e accoppare zanzare così fameliche da attaccarti anche sul pantalone se hai la sfortuna di sederti di fianco al capitano Toio Ferracini che ha il battito e il profumo giusto per non passare nel gruppo vittime insieme a noi e all’Alice Pedrazzi che per sostenere il babbo scrittore ha lasciato i figli, ma non il marito, e le sue belle idee, ma non i sogni, a Cuccaro.

Nel giardino Quintavalle leggendo a voce alta il pezzo che il professor Vittori ha scritto per Indiscreto. Ora, diteci voi che esiste la molesta senectute se hai una testa come quella del Prof? Caro Giomi, presidente della federatletica, non esiste età se hai cervello e se sai distinguere la seta dalla juta di un velocista, se dici pane al pane e mandi a quel paese chi allena facendo compromessi con i vizi del campione o presunto tale.

Dunque Scarpette rosse e con quelle camminiamo ancora come direbbe il Faina smanioso che soffre la pensione cestistica lui che avrebbe ancora tanto da dare, idee, passione e mai a scopo di lucro, la sua colpa, la sua croce, il suo stemma gentilizio.

C’erano in tanti. Varese e la sua bella delegazione con Ferraiuolo e  monsù Zanatta che, avendo probleimi di cuore, si è subito accoccolato di fianco al professor Carù, uno dei luminari che lavoravano quasi per la gloria in Olimpia e che, ovviamente, sono stati messi in un angolo come avvenne con il Carnelli che poi, gira e rigira, tendinite, frattura, guai alle ossa, devi sempre andare a cercare. Cantù con il Corsolini che ti affascina anche se al momento di chiudere riapre sempre ogni discorso, con il Roberto Allievi che ci ha portato a spasso nel vero Cantuky della pallacanestro costruita fra Parini e Pianella e portata all’onor del mondo quando  le squadre erano nemiche in campo, ma alleate al momento di decidere per il bene comune.

Cantù senza il Marzorati presidente del Coni regionale che forse aveva altre telefonate da fare a Roma. Cantù con addetto stampa Luca Rossini magro da Tour, e poi la mitica Cinzia. Varese con altro addetto stampa, il Minazzi boy. Assente la Milano di oggi, a parte l’addetto stampa. Stupiti? No. Certo Portaluppi, che in quel libro c’è e la storia la conosce, lasciamo perdere gli altri, sappiamo chi sono e, soprattutto, cosa non saranno mai, avrà sofferto, ma è tempo di America e di ricerca per cui salute a lui nella speranza che diventi almeno un buon dirigente quando avrà soffiato via la nebbia di chi ingaggia Iago e poi lo porta nella torre per costruire la mappa dei nemici da ostacolare, da far soffrire fingendo che sia colpa del bayon e del destino.

Rob de matt, direbbe Basilio Andolfo perno centrale nel racconto wertheriano. Gente in scarpette rosse come capitan Pieri che è sempre sulla tolda come ai tempi in cui cambiava ruolo, pelle, testa e diventava uno dei grandi ispèirato dalla Pierisa, magari non come il Paolo Vittori che dietro la sua straordinaria ironia ha sempre fatto finta di non vivere nei ricordi, ma poi lo trovi se i Maturi baskettari lo vogliono incontrare, lo trovi se c’è da fare attività giovanile vera a Varese o Gorizia, lo incontri se c’è un libro sulla società dove ha vissuto alla grande, ma dalla quale si è staccato dolorosamente per altri percorsi di gloria sul fronte  opposto, la Ignis di Napoli e di Varese che non fa una piega se il Cappellari dall’energia misteriosa  che sponsorizza il partito contro la medicina tradizionale  anche quella moderna, insomma medici state lontano fino al gong, lo mette nella squadra che ha vinto la prima coppa dei campioni, lui che avrebbe voluto esserci e che, invece, fu il grande sacrificato per dare al cumenda Giovanni Borghi il talentone che potesse far dimenticare gli sgarbi Vianello, Gennari, anche se non ha mai digerito certe cose, ma lui era così: sornione, gato dalle sette vite e dal talento vero  dei numeri uno come diceva sempre Rubini anche se ad istigarlo era Basilio.

Festa in famiglia per chi ha creduto, ha vissuto e ancora fa sacrifici pensando che l’Olimpia esista in questo secolo. Ci sarà sempre, se Armani resiste, ma con basi e idee molto diverse. Tifosi nuovi, giovani, gente da musica rap. Adatta ai tempi, agli usi e ai costumi. Roma, Atene e Sparta li avrebbero mandasti al fronte, ma senza obbligarli a dimenticare con il loto del moderno che annienta e vuole gente part time in tutto, con  roba da vendere, non da ammirare. Per lorsignori un riconoscimento richiesto, perdinci, hanno rifatto tutto, rimesso a posto scale, zerbini, conti e organizzazione. Vero. Allora noi di qua e loro al centro della luna che si sono inventati, ma adesso non vadano in giro a dire che il mercato è difficile perché appena si presentano i centurioni Armani il prezzo raddoppia. E’ sempre stato così e poi dovrebbero sapere che se prendi a calci il mulo agente quello poi te li dà indietro. Stessa cosa per la Virtus Bologna quando era al centro del sistema, per la Roma del Toti confuso, per Siena prima che i conti e la storia legata alla grande Banca mandasse tutto in confusione. Aspettare che sia Siena ad abbassare pretese su Moss ed Hackett ha senso come  invitare a cena una cicogna e farla mangiare su piatti davvero piatti.

La famiglia in rosso con Sandro Gamba, monumento che non le manda a dire: da via Washington all’eternità, uno che per il quale Olimpia e Milano non sono solo marchi. Ma cosa dico marchi? Brand. Famiglia in rosso con Peterson e Casalini abbracciati come ai tempi della grande rimonta sull’Aris che ha dato un vitalizio a tanti, magari anche a qualche arbitro dell’Est dicono ancora i greci che continuano ad accusare tutti, pure i loro dei, di aver venduto l’anima al Trussardi, ma non per vincere. Pedrazzi ha voluto quei 5 minuti di Telenova con la telecronaca del Tullio Lauro a cui ha dedicato il libro, fratello radicale per tutti noi peccatori, peccato che il nipote Giorgio tanto amato non abbia potuto essere al Quanta perché il ruggito del suo bel coniglio, probabilmente, lo teneva nella repubblica di Seborga scoperta insieme al Sabelli Fioretti che amava il basket e che era un tipo di luce nel vero Panorama. Telecronaca in coppia col Virginio Bernardi, l’uomo culla per tutti gli allenatori, tecnico fantasioso, di  qualità che in quella notte magica mostrò i suoi talenti da grande attore. Finale da stralunati, gioco inguardabile, fischi molto dubbi, nubi tossiche da fumo. C’era esaltazione, non quattro gatti sovrappeso a fare il tifo, insomma baraonda, dovevi mentire e accompagnare la nave dove poi sarebbe arrivata: coppa di Losanna, fine dell’incubo. Cenone  Torchietto. Peccato che Sergio Ragazzi non abbia trovato la stessa bisarca che ha portato il Gallotti Miranda al Quanta.

Grazie a Indiscreto siamo andati a vedere questa notte magica dove Colnago ha tenuto accese le telecamere di Sky da vero credente, ma lo sapevamo che altri erano solo puffi golosi e finti adoratori. Amareggiato l’autore per il tradimento Rai, per l’assenza di Sport Italia, ma qui dobbiamo preparaci ad altri salti nel vuoto. Insomma, come diceva Giando Ongaro, che vive di basket televisivo come lo accusava la fedele compagna di sempre, ai veterani l’Olimpia di oggi chiede l’obolo, stiamo andando verso un anno a monitor spenti. Nessuna nuova per gli Europei, per il campionato, l’eurolega.

La Lega non sa, forse non sapeva neppure della morte di Piero Parisini se non ha mandato nessuno, un uomo, una bandiera, al funerale nella chiesa duecentesca di via Indipendenza, bellssima, nascosta, vera arte bolognese, vero segreto felsineo del nostro Papa che si ribellava alla morte senza poterla sconfiggere. Gli altri tacciono e adesso è venuto anche il sospetto che manchi la passione, oltre alla motivazione, in molti che il destino ha posto al comando del sistema, del gioco, del basket Italia che diventa rana e scoppia salutando con fazzoletti bianchi il Datome che punta su Detroit prendendo per buono tutto, senza ancora aver chiarito se i ragazzi d’oro dell’italNBA sono quelli descritti da frate Castellano, dalla comunità italiana di Toronto.

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