Perfect Days, una vita analogica

17 Gennaio 2024 di Paolo Morati

Perfect Days

La chiave dell’ultimo film di Wim Wenders, intitolato Perfect Days, è un termine giapponese che non vi sveliamo. Il suggerimento è quello di guardare per intero i titoli di coda. Partiamo da qui per raccontare una storia che in due ore ci ha affascinati calandoci in un contesto di vita rallentata e minimale. Storia il cui protagonista, Hirayama, un tranquillo operatore delle toilette pubbliche di Tokyo, parte nel mutismo assoluto per poi aprirsi su una serie di gesti metodici e ripetitivi, precisi e in parte enigmatici che cambiano in parte solo nel giorno di riposo.

Hirayama è un uomo di poche parole, gentile, profondamente analogico nel suo ascoltare musicassette (perfetta la colonna sonora, a partire da The House of the Rising Sun degli Animals), leggere libri di carta e scattare fotografie con la pellicola. Musicassette che spaziano da Patti Smith a Lou Reed, con canzoni capaci di coinvolgere i più giovani (esemplare l’episodio con Redondo Beach di Patti Smith), e fotografie misteriose, casuali, selezionate e raccolte in contenitori divisi cronologicamente e aggiornati ogni settimana. Con il suo silenzio si incrociano personaggi diversi, dal giovane assistente squattrinato all’affascinante ristoratrice agli avventori dei bagni dove quotidianamente si lava fino alla nipote, ai quali Hirayama non smette mai di offrire la sua calma, il suo inchino cordiale.

È una storia, quella narrata in Perfect Days, che ci ha fatto voglia di ritirare fuori le nostre musicassette (ovviamente nel film non manca Perfect Day di Lou Reed) ma anche di riflettere su un modello di vita per sottrazione che permette di cogliere tanti piccoli particolari che nel vortice della frenesia quotidiana possono perdersi. Le foglie delle piante annaffiate ogni mattina, la signora che scopa la strada, l’agitato commesso della tavola calda nella sotterranea, è tutto un susseguirsi e ripetersi di capitoli di cui Hirayama sembra godere perché “Un’altra volta è un’altra volta, adesso è adesso”, fino a un finale da interpretare sulle note di Feeling Good di Nina Simone.

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