Parole dure

16 Aprile 2010 di Stefano Olivari

di Stefano Olivari
L’opinione di Phil Jackson, la favola finita di Kim Hughes, il cuore di Calipari, il ritorno degli Harlem e Napoli che non ha risposto.

1. ‘‘Quel giocatore viene trattato dagli arbitri come una stella, va a tirare i liberi un po’ troppo spesso”. Parole di Phil Jackson riferite a Kevin Durant, suo avversario nel primo turno dei playoff NBA. Non proprio ‘scudetto di cartone’ o ‘sapete solo rubare’, ma con gli occhi di una lega i cui membri hanno pari dignità (che non significa pari importanza: se i Lakers fanno male per la NBA è commercialmente una sciagura, mentre sotto questo punto di vista chi se ne frega di Oklahoma City) queste parole sono valse all’allenatore dieci volte campione una multa di 35mila dollari. Al di là del fatto che Jackson abbia ragione, e secondo noi ce l’ha (non che Bryant venga trattato diversamente dagli arbitri, Bennett Salvatore a parte), una notizia per il nostro metro incomprensibile.
2. La passione per le cose inutili ci fa tifare per le carriere dei grandi stranieri della serie A degli anni del boom, per questo l’esonero di Kim Hughes da allenatore dei Clippers ci addolora. Pivot dell’Innocenti Milano 1974-75, poi dei Nets di Doctor J ultimi campioni della vera ABA, poi del Banco Roma di inizio anni Ottanta (la sua sostituzione con Clarence Kea fu decisiva per i successi italiani ed europei della squadra di Bianchini) e per tanti anni a Reggio Calabria, con una parentesi a Brescia, Hughes ha più volte nella vita dimostrato grande forza d’animo. Dal tumore alla prostata alla prima chance da capo-allenatore NBA a quasi sessan’anni: una storia bellissima che si è schiantata contro la pochezza della squadra e gli infortuni dei giocatori con maggior margine, Blake Griffin su tutti.
 3. Pur detestando gli ipocriti ‘one and done’, dannosi sia per i diciottenni già pronti per la NBA che per la credibilità della NCAA, troviamo ammirevole il comportamento del coach di Kentucky John Calipari, che ha spinto verso il professionismo il dubbioso DeMarcus Cousins dicendogli che la certezza di essere fra le prime dieci chiamate del draft val bene il dispiacere di lasciare un ambiente che Cousins ha dimostrato di amare tantissimo. Calipari non ha la fama di ‘educatore’, ma piuttosto di reclutatore. Però nell’occasione ha dimostrato molto cuore, perchè la convenienza avrebbe consigliato una pressione di altro tipo: già ingaggiati il nuovo Wall, cioè Brandon Knight, e l’europeo con più prospettive, il turco Enes Kanter che all’Hoop Summit ha impressionato, con Cousins Kentucky sarebbe stata di nuovo la favorita per il titolo.
4. Domenica scorsa durante l’intervallo di Armani Jeans-Air abbiamo visto due giocatori degli Harlem Globetrotters, di cui onestamente non ricordiamo il nome, pubblicizzare le loro prossime esibizioni. La cosa ci ha un po’ intristito, non come la partita in cui si sono inseriti ma quasi. Eccellente spettacolo per bambini, a cui non a caso tutti abbiamo assistito da bambini, gli Harlem hanno perso gran parte del pubblico adulto che quel clima da esibizione lo può trovare anche in molte partite ufficialmente ‘vere’ (lo Spurs-Mavs dell’altra sera in questo senso non scherzava). Rimangono intatti il loro messaggio positivo, dello sport come divertimento, e la loro importanza storica: dal 1926 a fino a quando la NBA diventò una cosa seria (quindi l’era Chamberlain-Russell) molti dei migliori afro-americani passarono o furono costretti a passare da lì, dalla creatura del geniale Abe Saperstein. Geniale anche nel dare loro il nome: nonostante tutto fosse partito da Chicago, ‘Harlem’ faceva più nero e più basket-spettacolo. Come dargli torto?
5. Bene ha fatto la Federazione non solo ad escludere la Sebastiani (ci sembra ingiusto offendere Napoli e Rieti) dalla serie A, ma anche ad annullare tutte le partite già disputate. Perché la stagione dell’orrido ibrido di Papalia ha avuto varie fasi: in alcune la squadra è stata semi-vera o almeno prometteva di esserlo (fra Damon Jones e Traylor), in altre ha mandato in campo ragazzini senza nemmeno un medico al seguito e ha regalato un facile palcoscenico a maramaldi sfigati che adesso vedranno (si spera) sparire le loro statistiche. Facile il tiro al bersaglio, ma non abbiamo ancora letto una considerazione forse banale: Papalia ha portato avanti una scommessa perdente, ma se qualche imprenditore napoletano si fosse entusiasmato adesso saremmo qui a fare altri discorsi. Questo per dire che quello del basket di serie A che deve per forza essere nelle grandi città, dogma di molti giornalisti (residenti in grandi città, ovviamente), è un’idiozia. Se non c’è interesse è meglio chiudere.

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