Oltre il gatto arrostito

1 Luglio 2020 di Biro

Il caso del gatto arrostito per strada a Campiglia Marittima, Livorno, per la sua assurda crudeltà ha colpito l’Italia non soltanto di destra: purtroppo esiste il video, non è uno scherzo. Io che non ho tabù lo posso dire: anche senza essere animalisti, molti dovendo scegliere avrebbero arrostito l’immigrato e non il gatto. Il Direttore di Indiscreto va oltre: lui al posto di un gatto farebbe morire chiunque, anche un italiano da ventotto generazioni (quindi un bergamasco o un vicentino appassionato del genere), quindi figuriamoci un immigrato clandestino.

In questa vicenda però c’è un gigantesco non detto, che sarebbe il seguente: perché questa ondata di indignazione per un gatto ammazzato in strada, al limite anche per la declinante caccia, e niente per l’allevamento intensivo, la macellazione occidentale o halal che sia, in generale l’equiparazione degli animali ad oggetti? Non dimentichiamoci che gli chef e gli appassionati cucina, ma anche il medio telespettatore di Masterchef, definiscono ‘materia prima’ la carne, come se stessero parlando di frumento o di palladio.

La risposta è semplice: le Sottilissime Aia, i bastoncini Findus (ipotizzando che siano pesce), i Teneroni di Casa Modena, eccetera, ed i miei stessi sfilaccetti di tacchino Gourmet Diamant, hanno alla loro base un dolore e una crudeltà programmati e organizzati su scala industriale, ma non ci costringono a confrontarci con le sembianze dell’animale. Mark Zuckerberg asserisce di mangiare soltanto animali uccisi con le sue mani, per una questione di consapevolezza: se l’aneddoto non è vero, è comunque bene inventato. Ma la consapevolezza può essere la via giusta, non solo per il cibo: chi pensate che esegua le cuciture a mano del vostro pallone Nike? Fare meglio è meglio che fare bene, perché è più realistico.

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