Notti senza cuore

23 Maggio 2011 di Oscar Eleni

di Oscar Eleni
I risentimenti di Buzzavo, i settimini della sintassi, la differenza fra Benetton e Sabatini, il facchinismo da playoff, la mano di Cedolini, la balalaika di Vescovo, i nuovi maturi baskettari e Cantù che ne aveva di più.


 

Oscar Eleni dalla Ghirada di Treviso con un biglietto di sola andata per andare poi in Emilia, Bologna, a Monte San Pietro, ponte di Rivabella, vicino alla tana di Ugo Bartolini che ci manca perché ci manca il mondo fortitudino, centro Jesse Owens per l’Happy Hand organizzato dal Willy the King Group, una cosa speciale messa in piedi da gente davvero speciale. Esistono. Alla Ghirada c’era invece il mondo antico che ci liberava dall’angoscia delle notti senza cuore dei play off, da troppe notti senza nome. Maturi baskettari in parata dietro al Giorgio Buzzavo tonitruante, pieno di risentimenti e alla ricerca di verità perdute.
Cara gente la verità dovrebbe stare nel mezzo, non a Nord, Sud, Ovest o Est. Scrivere quello che si pensa è già abbastanza costoso. Lo devi fare gratuitamente e la platea non è certo quella che vorresti. Ogni tanto arriva un mohicano e ti dice: dai scrivi la verità. Lo abbiamo fatto più spesso di quello che si crede e non è colpa nostra se per certi giornali, per certa gente, non siamo mai stati all’altezza della loro odorante e adorante prosa. Ti giri indietro e pensi di aver vissuto anni giusti, di avere avuto tribune importanti. Adesso non è più il tempo e sapere che c’è in giro aria di rivolta, di rivincita, ci dice davvero poco. Il campo, i giocatori, gli allenatori sono la vita di un sistema e questa vita deve essere coordinata da bravi dirigenti, meglio se propositivi per il bene comune, meglio se illuminati e non arpagoneschi. Non è questo il momento nella stanza d’oro legaiola, quella della A1, pazienza. Si può tirare avanti. Dire che non ci si muove per paura di bocciature è peggio che girare le spalle ai nemici dello sport alimento dell’anima, unico film della vita senza possibilità di ripetizioni. Bocciature interne, badate bene, un modo di governare nelle satrapie dove i figli illegittimi si nascondono anche se poi tutti sanno che esistono, anche se poi li vedi in azione, questi settimini della sintassi.
Ghirada per piaaatre un chiodo sulla montagna Benetton, un appiglio per riprendersi la passione di Gilberto, quella degli altri non l’avevamo mai sentita, ma sembra impossibile e vedere Buzzavo che gira infuriato cercando un’idea per nuovi campi gioco, per animare un centro che perderà il professionismo del basket e la pallavolo ci fa stare male. I Benetton pronti a cedere gratis, con bilancio pulito, al primo appassionato, una cosa un po’ diversa dal Sabatini che a Bologna sbatte porte, abbassa canestri, sposta squadre, idee, progetti, che annuncia di aver perso l’ardore per la Vu nera che un tempo lo spinse a chiederla in sposa. Due cose diverse, tutte e due molto dolorose, mentre è davvero comica la situazione del Madison di Piazza Azzarita, per noi è il palazzo del genio Porelli, dove vogliono entrare quelli che non hanno squadre di alto livello da far giocare. Una Bologna intristita da troppe cose, con un futuro sportivo che rischia di essere avvolto nella nube tossica delle ripicche e, ultimamente, oltre che con Sacrati e Sabatini abbiamo sentito anche gente che se la prendeva con l’onorevole Tesini per aver lasciato andare alla deriva il progetto giovani della casa madre Fortitudo, la vera depositaria della fede e dei marchi. Non abbiamo indagato. Siamo stanchi. Provati da troppe rincorse su sabbia riportata da posti dove esce il veleno.
Alla Ghirada per contarsi, come ogni anno. Nel gruppo Maturi baskettari che sperano di andare in Toscana l’anno prossimo a casa di Sauro Bufalini che lotta duramente con la vita. Rimpatriate alla corte trevigiana, rianimati dalla cucina che negli anni ha sfamato il mondo rotondo e quello ovale, involtini al radicchio, creazioni primavera, risotto e asparagi, il vino portato dal tigre Mauri. Un mondo, il nostro, dove anche arbitri gentiluomini come Morelli, Gorlato, Tallone si sentono a casa, benvoluti e non odiati come questi di oggi che si fanno prendere dalle smanie del facchinismo come un tempo succedeva col lobellismo, come i troppi che fischiano a pene di segugio, made in Giordani, come i molti che non hanno ancora saputo dirci, alle porte delle semifinali, se i contatti per prendere posizione meritano o non meritano l’attenzione di chi dirige. Troppi vorrebbero fischiare tutto e non sanno che i playoff, da sempre, in ogni sport, sono risse dove le regole stabilite all’inizio devono valere sino alla fine e su ogni campo. Tremare e pentirsi è la cosa che ti aspetti da chi ha fatto i capricci, da chi, pilotato da fuori, come sempre, ha persino lanciato pietre contro Meneghin, per avere autonomia, elezioni interne e adesso litiga sulle puzzette, e va dietro a gente che poi in campo tradisce se stessa, il gioco e i valori tecnici.
Ghirada amore nostro che te ne stai andando. Un anno e poi soltanto bocia in fiore. Certo sarà importante anche questo, ma quel filmato sulle vittorie della casa verde dove lo metteranno i signori Benetton? Lo faranno vedere ancora in giro? Peccato davvero che ci sia stata questa separazione non consensuale e ora speriamo che nella Marca non finisca tutto come all’Omobono Tenni, cioè sulla spiaggia del calcio perduto. Bastava resistere, battersi e contrastare con le idee di sempre per avere ancora soddisfazioni. Insomma noi siamo, eravamo, tutti, come Giorgio Cedolini, mano d’oro della scuola veneta, 71 anni, due by pass, in campo ancora con il Vecio basket, con i due figli, sempre sorridente, sempre attivo: “ Gioco perché mi piace ancora e se dovessi proprio morire sarebbe meglio se accadesse dopo un bel tiro da tre punti”.
Abbracci con tutti, con il capitano Pieri che resta bandiera sulla piramide del basket come gioia e cultura, sempre identico, sempre con la sua Pierisa, sempre impeccabile come il Longhi alla ricerca dei riconoscimenti perduti. La gente come Pieri o Andolfo Basilio non va più a vedere Milano, l’Armani dalla tribuna vuota che non ha mai voluto riempire con i suoi campioni del passato per pura avarizia più che per ignoranza: loro dicono che non si divertono più e forse è vero, ma non tutto vero. Anche la sagacia di Rundo ci fotografa il paesaggio lunare di Bologna, lui e Maldini scuotono la testa pensando al vuoto cosmico, mentre Serafini e Ferracini, come nei tempi del vino, delle rose, ma anche del pane duro, sorridono con gli stessi occhi del vecchio capitano trevigiano Zin. Dal Pozzo cerca sempre amici che sfuggono alle feste per malattia e per avarizia. Corrado Vescovo sembra ancora quello che tornando dalla vittoria Simmenthal di Tbilisi, la prima di una squadra italiana nell’URSS, scese dall’aereo e si mise a cantare strimpellando una balalaika.
Maturi baskettari traditi da molti che avevano pormesso di esserci, ma è bastato scoprire Gracis
per sorridere al passato più recente e poi commuoverci fermandoci a parlare con Vazzoler, uomo di grandi qualità professionali passato dai Benetton al “nemico” Stefanel, dopo pit stop alla Marzotto, davanti al solito trasandato Giulio Melilla, per scoprire che alla Pasina si festeggia ancora come ai tempi belli e che il Nestore Crespi si presenta all’appuntamento carico come i tempi in cui animava notti con il cuore, uno che sfida i trigliceridi e il fegato furente dandogli tutto quello che può far male, uno da viaggio notturno in macchina Varese-Treviso-Varese con riserva antipalloncino. Merlat
i e il suo Brasile, il suo mondo adulto dopo aver vissuto i complessi dell’uomo alto che prima veniva isolato e poi veniva vezzeggiato. Insomma il basket cuccando, lo stesso ricordo di Buzzavo sul povero Bovone: per tutti e due gli universitari furono momento di gloria speculando sulla debolezza del dolcissimo Enrico. Paolo Vittori, l’uomo che non ha bisogno di autovelox, il più grande, ci parla del suo convegno a Gorizia, della sua vita varesina proprio mentre Chiapparo dalla città giardino fa conoscere date ed accoppiamenti del torneo che ha messo in piedi portando anche gli americani, la scuola di Shaq, poche ore prima di veder eleiminata la Cimberio non da alieni, non da arbitracci che pure ci sono stati in tre partite, ma dalla foza Bennet che è notevolmente superiore. Ricordi e abbracci per Rigatti il primo a stoppare un americano, era un aviere ma pur sempre dell’altro mondo, per Gianni Corsolini con la schiena a pezzi che non ferma la creatività mentale, la Mara ironica anche sulla sua impossibilità di muoversi che deve aver contagiato il figlio Luca rimasto davvero a riva nella ricerca delle immagini sul basket dei Maturi e dei matusa, per Spinetti e il gruppo romano guidato dal solito Falcomer che è riuscito a stanare Costanzo dal suo rifugio riportandolo nel regno che fu di Luciano Bortoletto. Dolori, acciacchi, Augusto Giomo solitario e ancora pieno di idee. Spoon river per chi ci ha lasciato. Poi il rientro silenzioso ascoltando i pensieri del Tony Cappellari che ancora non capisce i rancorosi e si domanda ossessivamente se davvero per essere dirigenti sportivi basti aver studiato altrove, se il basket ha bisogno di gente che nei corridoi urla sproloqui e tira in ballo persino la politica, di maestri del pensiero debole che non sanno ancora interpretare il vero spirito della psicologia nello sport, quello del cavalier Trombetta: “Alè fioeuu”.
Rientro domandandosi se vale la pena ritrovarsi ancora, se ha un senso mettersi a discutere sui premi agli allenatori e ai dirigenti perché appare chiaro che Siena deve essere considerata sempre fuori concorso in questa categoria. Per la verità contestano anche da Avellino e da Varese come è successo a Cannes. All’inizio dici che non ha senso, che fa diventare tristi, ma scopri che ne hai bisogno che ce ne sarà sempre bisogno anche se i padovani erano venuti solo alla viglia perché Justo Bonetto, l’uomo del club Casanova, ha riportato Tonzig verso la festa di famiglia. Sui playoff una sola pagina scritta: Cantù aveva di tutto e di più rispetto a Varese e non poteva reggere l’urto. Ne parleremo giovedi o venerdì, a fine corsa.
  
Oscar Eleni

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